I costruttori di Imperi, una commedia in tre atti con la regia di Emanuele Conte in scena alla Tosse di Genova fino al 27 ottobre
Dietro a tutto ci sta Vian, un fenomeno espressivo fuori del comune. La sua forza sta nel non preoccuparsi minimamente del dilemma annoso che divide il mondo in pessimisti, ottimisti e realisti. Sembra divertirsi tanto a smarrirsi nei labirinti creati da un’immaginazione che non conosce limiti. E’ l’immaginazione ad impartire lezioni di vita, vale il divertimento nell’inseguire un’idea, una sensazione, un sentimento e pazienza se lo scopo sfugge. Non sfugge il momento in cui tutto ciò avviene come per magia, ed è una magia condivisa senza troppi ragionamenti. La vera sconfitta è voler dare un senso a se stessi. Meglio la possibilità di sognare a occhi aperti: non si vedranno neppure gli orrori. Questo è Vian.
E tutto ciò è ne I costruttori di Imperi, la commedia in tre atti che Emanuele Conte ha deciso di portare in scena alla Tosse “per puro caso”, ma che tanto casuale non è certo se si pensa la passione che il regista genovese ha per questo autore. Come non è casuale che al titolo della commedia Conte abbia aggiunto lo Schmürz, perchè è indubbiamente questo strano personaggio, che non parla mai, preso perennemente a calci, pugni, sputi e pugnalate, che è il vero protagonista di questa piece.
Ma allora chi è lo Schmürz? Lo Schmürz siamo tutti noi, provati dalla vita in ogni momento, noi che malgrado gli sputi ricevuti continuamente da un mondo che non ci soddisfa e ci umilia, non soccombiamo e sia pur a fatica riusciamo a rialzarci per poi avere la meglio sui nostri tiranni (metaforici o meno).
Questo Conte lo ha capito benissimo, e se in un primo tempo nella commedia abbiamo pena di colui che sporco e rattrapito sta a terra e non riceve mai uno sguardo benevolo se non dalla giovane ragazzina, figlia della coppia assurda, alla fine sarà quello che la avrà vinta sulla falsità e la menzogna di chi si cela dietro al perbenismo per far vedere quello che non c’è e che forse non c’è mai stato neanche in quelli che ricorda come tempi migliori.
Gli attori della compagnia, capitanati da Enrico Campanati, si muovono nell’assurdo a cominciare dal loro essere assoggettati da un rumore che sentono solo loro e che li ossessiona a tal punto da costringerli continuamente a cambiare casa, salendo sempre più in alto verso una vetta che non sarà mai il Paradiso,ma anzi li condurrà all’Inferno. Ma assurdo è anche il loro porsi, costretti dentro una maschera di gomma aderente al viso che ne deforma i lineamenti e costumi imbottiti di gommapiuma che rendendo difficilissimo il recitare. Ma anche questa scelta è stata pensata con cura: chi non cela dietro una maschera il suo vero essere? Chi non si riempie di orpelli per apparire diverso, e senza dubbio migliore, da quello che è in realtà?
Potremmo quindi dire che in questo testo ben interpetato da un Conte sempre più maturo ognuno si può rispecchiare, sia nel momento in cui si sente vittima di un qualunque sopruso, sia in quello in cui ha la presa di coscienza di aver indossato una maschera, magari una sola volta, ma sicuramente lo ha fatto o dovuto fare, perchè questo accade sempre nella vita.
Il testo di Vian ci offre tutta la sensazione di insicurezza che ci regala la realtà di oggi. Un testo amaro, certo, ma che non si lascia travolgere dal senso di cupo, mai. Ogni battuta, ben recitata degli attori sul palco, desta anzi ilarità. Solo alla fine, nel lungo (forse troppo) monologo recitato dal padre/Campanati, si è pervasi da quel senso di solitudine che lui stesso declama, ma come si fa a non sentirsi soli nella società del nostro tempo?…
Lo spettacolo è in scena alla Tosse fino al 27 ottobre.