Uomo, lavoro, fotografia. Dal 24 ottobre al 24 novembre torna a Bologna FotoIndustria, appuntamento biennale totalmente dedicato alla rappresentazione fotografica dell’industria e del lavoro, giunta quest’anno alla sua quarta edizione. Per 32 giorni, 11 mostre occuperanno altrettanti luoghi sparsi per il capoluogo emiliano, dal MAMbo alla Pinacoteca Nazionale, dalla chiesa di Santa Maria della Vita fino alla Fondazione MAST, promotrice dell’iniziativa stessa.
Fotografie e video, grandi maestri del passato e nuove tecnologie, uomo e terra. Fil rouge sotteso a tutto l’atto del costruire e le implicazioni che esso porta con sé. Quest’anno FotoIndustria, l’unico evento al mondo dedicato interamente alla fotografia industriale, gravita attorno al concetto di Tecnosfera, termine coniato nel 2013 in ambito geologico per indicare l’insieme di infrastrutture costruite dall’uomo per rendere il pianeta adeguato ad ospitarlo. Un processo di modificazione dell’esistente la cui origine si perde nell’alba dei tempi, nato in parallelo con la stessa vita umana, di cui si fa naturale esplicazione per consentirne lo sviluppo. Una visione, questa, che se portata avanti senza cognizione di causa potrebbe giustificare l’azione indiscriminata degli essere umani sulla natura circostante, cosa che purtroppo non si può dire non essere mai avvenuta. Una riflessione che si fa quanto mai attuale oggi, in un momento in cui lo sfruttamento delle risorse sta mettendo in ginocchio un ecosistema ormai giunto agli sgoccioli, rendendo difficile fare rosee previsioni per il futuro.
L’operare dell’uomo, i cambiamenti da esso generati e i conseguenti risvolti sono stati impressi su pellicola, seguiti da una cinepresa, raccontati da video e raccolti in 11 mostre in cui sono confluite meravigliose opere ma anche spunti iniziare una riflessione non solo su ciò che l’uomo costruisce, ma soprattutto su come e perché lo fa. Se da una parte c’è chi sceglie di dedicarsi all’indagine dei processi di costruzione –Luigi Ghirri e André Kertész per esempio- c’è invece chi si focalizza sulle implicazioni sociali che questi processi hanno, come Lisetta Carmi, che attraverso la sua macchina fotografica osserva la realtà dei lavoratori del porto di Genova, o Délio Jasse, le cui fotografie parlano della crescita edilizia di Luanda, capitale dell’Angola e sua città natale. Dal tema ambientale -lo sfruttamento dei fondali marini di Armin Linke e il recupero di rifiuti messo in atto da Yosuke Bandai– fino ad arrivare all’analisi dei segni indelebili lasciati dall’uomo sulla superficie terrestre su cui si focalizza Anthropocene (la mostra allestita alla fondazione Mast fino al 5 gennaio 2020), FotoIndustria riesce a dare al problema un respiro globale e diversificato, a cui contribuiscono gli artisti più vari per provenienza, formazione e modalità di lavoro. Alla solitudine sospesa dello Stadio Olimpico di Berlino ripreso da David Claerbout si affiancano le perturbanti tecnologie studiate da Matthieu Gafsou, in un evento che riesce a far dialogare due facce della stessa medaglia, che il medium fotografico rende brutalmente vicine allo spettatore, anche se lontane nel tempo o nello spazio.
Yosuke Bandai. A certain collector B – Museo Internazionale e Biblioteca della Musica
Plastica, pietre, pezzi di oggetti ormai diventati rifiuti. Tutto raccolto, assemblato e pazientemente scannerizzato in modo tale da sottrarre questi avanzi del mondo allo scorrere del tempo e a un inevitabile deperimento. Yosuke Bandai mette in scena una rassegna di stampe che immortalano ed eternano indicatori primigeni dell’umano bisogno di costruire, componenti di base da cui partire per dar vita ad altro.
Lisetta Carmi. Porto di Genova – Oratorio di Santa Maria della Vita
Genova è sempre stata una realtà fatta di contrasti, quartieri alti e zone popolare, moralismo cattolico da una parte e comunismo dall’altra, città e porto, centro vitale dell’industria e -di conseguenza- dell’economia locale. A queste polarità Lisetta Carmi nel 1964 ha dedicato un intero ciclo di fotografie per portare all’attenzione la realtà di chi lavorava nelle fabbriche e nei cantieri navali, una denuncia sociale che non voleva avere i toni del moralismo ma soltanto portare alla ribalta la realtà dei fatti in tutta la sua durezza.
David Claerbout. Olympia – Palazzo Zambeccari – Spazio Carbonesi
David Claerbout mette in scena una riflessione sul concetto di rovina e su quanto questo sia intrinseco in ogni costruzione nel momento stesso in cui essa “viene al mondo”. Al momento in cui il suo progetto venne concepito, si disse che l’Olympia Stadium di Berlino sarebbe durato mille anni. L’artista belga, grazie all’aiuto di un software grafico, ha provato a simulare il lungo ciclo vitale dell’edificio, mettendo in risalto l’effetto del tempo sull’architettura. In una dimensione sospesa in cui qualsiasi presenza umana è stata eliminata, si assiste al lento scorrere di giorni, stagione, anni e all’effetto che tutto ciò ha avuto e sta avendo sull’anatomia dell’edificio.
Matthieu Gafsou. H+ – Pinacoteca Nazionale Palazzo, Pepoli Campogrande
Come distinguere ciò che è reale da quello che non lo è? Eterna giovinezza, immortalità, futuro utopico. Una ricerca, quella di Matthieu Gafsou, che parla di transumanismo, movimento che mira ad aumentare le capacita dell’uomo attraverso l’uso di scienza e tecnologia. Gafsou cerca di creare una rassegna da cui emerga la realtà dei fatti sotto la patina di finta speranza di cui scienziati e hacker si nutrono compulsivamente.
Luigi Ghirri. Prospettive industriali – Palazzo Bentivoglio, Sotterranei
I Sotterranei di Palazzo Bentivoglio si riempiono di scene di vita in fabbrica, componenti meccanici e strumenti di lavoro. Prospettive industriali ripercorre la storia delle collaborazioni intercorse tra Luigi Ghirri e una serie di committenti come Ferrari, Bulgari, Costa Crociere e Marazzi. Scene formalmente asettiche prendono vita grazie personale carica poetica che il maestro riesce a infondere in ogni suo scatto, creando delle composizioni sospese color pastello, nature morte industriali di moranidana memoria.
Delio Jasse. Arquivo Urbano – Palazzo Paltroni
Prima 20 anni di guerra civile, poi il decollo economico, infine la crisi. Délio Jasse ripercorre la parabola storica del suo paese, l’Angola, attraverso un reportage fotografico di quelli che sono stati gli effetti di questa su Luanda, capitale del paese e sua città d’origine. Un vero e proprio lavoro sulle fotografie, tutte provenienti dal suo archivio personale e poi rimaneggiate per essere rilette in modo significativo. Nascono così le fotografie sovrapposte dal sapore irreale e spaesante delle serie Arquivo Urbano e Darkroom e le immagini accompagnate da parole dorate di Sem Valor, in cui il colore delle scritte fa da chiaro contraltare al contesto raffigurato.
André Kertész. Tires / Viscose – Casa Saraceni
Quando, nel 1944, André Kertész viene ingaggiato per documentare ciò che succede negli stabilimenti dell’American Viscose Corporation di Marcus Hook, Pennsylvania, il fotografo francese dedica ad ogni filo di tessuto, ad ogni macchinario, ad ogni mano di operaio una maniacale attenzione, creando composizioni che sembrano piccole nature morte a se stanti. Tires / Viscose è un tuffo nell’America della produzione industriale massiva, spina dorsale dagli anni di guerra, di cui le fotografie di Kertész dovevano essere manifesto ed esaltazione.
Armin Linke. Prospecting Ocean – Biblioteca Universitaria di Bologna
Video, installazioni, libri e documenti. Quella avviata da Armin Linke nel 2016 è una ricerca multicanale sulla condizione degli oceani e sul loro possibile futuro. Le conseguenze ecologiche, sociali, normative dello sfruttamento dei fondali come fonte di risorse minerarie sono state passate alla ghigliottina per tre anni e presente per la prima volta all’Istituto di Scienze Marine del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Venezia nel 2017, per essere ora ospitate dalla Biblioteca Universitaria di Bologna, collocazione simbolo del legame storico tra la città e gli studi di oceanografia e topografia sottomarina.
Albert Renner-Patzsch. Paesaggi della Ruhr – Pinacoteca Nazionale Sala degli Incamminati
Una carrellata di scatti su come un luogo può essere trasformato dai cambiamenti industriali in atto. Albert Renner-Patzsch si fa interprete della rivoluzione che, negli anni ’20 e ’30, ha investito la regione della Ruhr, diventata centro dell’industria siderurgica e carbonifera della Germania. Circa 150 scatti che documentano la nascita di industrie, fabbriche e agglomerati di case sorti in fretta e furia per assecondare le nuove esigenze produttive, realizzate da uno dei grandi maestri della Nuova Oggettività.
Stephanie Syjuco. Spectral City – MAMbo, Museo d’Arte Moderna di Bologna
Un viaggio lungo le strade distorte di una città deserta, uno scenario quasi post apocalittico che fa presumere devastazione e abbandono. Quella di Stephanie Syjuco è prima di tutto una citazione di uno dei film cult del cinema muto, A Trip Down Market Street, filmato nel 1906 dai Miles Brothers ponendo una videocamera davanti a un taxi e riprendendo il suo percorso lungo le strade di San Francisco, esattamente 4 giorni prima che il famoso terremoto investisse e distruggesse la città. Syjuco ripete lo stesso processo servendosi delle immagini riprese da Google Earth, su cui interviene per far sì che le distorsioni e gli errori generati dal programma restino visibili, segno visibile della catastrofe che ora non è più naturale (come il terremoto del 1906), ma indotta dall’uomo, che trasferendo le industrie da Market Street al centro cittadino ha costretto la popolazione locale a riparare altrove, alterando irreparabilmente il tessuto urbano.
Edward Burtynsky, Jennifer Baichwal, Nicholas De Pencier. Anthropocene – Fondazione MAST
Storia dell’uomo e delle devastanti conseguenze delle sue azioni. Fotografie, video, realtà aumentata che parlano delle le ferite di una terra su cui l’uomo si è dimenticato di essere ospite e la fa ormai da tiranno. Lo sfruttamento delle risorse e l’inquinamento sono arrivati a un punto tale da create una sorta di gabbia di infrastrutture che soffoca il globo, la cui presenza stessa è ormai subordinata a quella dei suoi abitanti. Edward Burtynsky, Jennifer Baichwal e Nicholas de Pencier raccontano la realtà dell’Antropocene, la “nuova” era geologica il cui inizio corrisponde all’avvento dell’industrializzazione, in corrispondenza del quale è iniziato lo sfruttamento massivo delle risorse naturali, prima graduale ma subito cresciuto in maniera esponenziale, fino a diventare, ad oggi, il principale problema mondiale. Una raccolta di opere il cui forte impatto visivo e concettuale riesce a dare una voce tanto alle meraviglie della natura quanto agli scempi umani che la imprigionano.
*Lisetta Carmi, Genova, Italsider. La colata dell’acciaio