Back to the future è la sezione di Artissima Fair, Torino, che si occupa di riscoprire quegli artisti meno considerati da critica e mercato. Anche quest’anno, nel decennale, si conferma con una selezione di qualità elevata.
Back to the future o viaggio nel passato. Comunque la si metta, la sezione giunta al suo decimo anniversario rimane una delle tappe più interessanti di Artissima. Intesa fin dalla prima edizione come un’occasione di riscoperta di quegli artisti che, dagli anni ’60 alle soglie del terzo millennio, non sono riusciti a far corrispondere alla loro valida attività un analogo successo critico e commerciale, quest’anno Back to the future si è concentrata sull’intero periodo a disposizione. Una scelta che ha consentito ai curatori Lorenzo Giusti, Cristiano Raimondi e Nicolas Trembley di poter attingere da un vasto bacino di possibilità e di alzare di conseguenza il livello della selezione.
Ne risulta un’esplorazione alla riscoperta – o proprio alla scoperta – di 19 artisti presentati da altrettanti espositori, di estrazione geopolitica differente e di eterogeneo campo di ricerca. Non ci sono limiti nei mezzi espressivi e la varietà delle opere esposte lo testimonia. Qui i gli stand che ci hanno incuriosito maggiormente.
Bruno Jakob, Galerie Peter Kilchmann
Più l’immagine pittorica sembra retrocedere fino a scomparire, più sembra di percepirla scivolare nei meandri dello spirito. Da questa intuizione si sviluppa l’arte di Bruno Jakob, caratterizzata dalla ricerca sull’invisibile, sull’incompleto, provvisorio, precario ed effimero. Così i suoi Invisible Drawings riportano solo le tracce di qualcosa che ora non c’è più, ma l’osservatore riesce comunque ad immaginarne l’essenza, impressa debolmente sul foglio di carta. La riduzione delle possibilità visive apre alla possibilità di un’indagine introspettiva senza linee, confini, segni che possano influenzare la nostra libera associazione di pensieri.
William Wegman, Florence Loewy
Prima di concentrarsi principalmente sui suoi bracchi di Weimar, William Wegman aveva già iniziato a intendere il mezzo fotografico in modo non convenzionale. Ad Artissima sono esposti, tra le altre opere, due semplici ma efficaci esperimenti, dove una fotografia viene inserita nel contesto di un disegno che richiama un elemento impresso nell’immagine fotografica. Sorprendono quindi per tenerezza e intimità le figure di un vecchio signore – un nonno, potremmo immaginare, che riempie un largo vestito marrone e nello sguardo conserva un sentimento mite e calmo – e quella di una stanza da notte dal sapore di altri tempi, dove un grande letto azzurro accoglie le presenze premurose di due signore che curano un bambino. Disegno e fotografia innestano così un cortocircuito in grado di riportarci a quegli anni leggeri e inconsapevoli, quando l’affetto dei nonni ci scaldava inesauribile.
Masaki Nakayama, Christophe Gaillard
Ancora fotografie, ancora non convenzionali. Qui è l’incontro con la forma, con l’armonia, le linee che rimandano al design e la compenetrazione tra uomo e geometria a stravolgere un classico approccio alla fotografia. Incorniciati dall’obiettivo, i soggetti immortalati da Masaki Nakayama sono predisposti ad uscire dai limiti in cui sono inseriti. Le fotografie, infatti, sono solo parte del complesso dell’opera e sono già realizzate con l’idea che saranno poi completate da una scultura (o più semplicemente un supporto) esterno.
Superstudio, Pinksummer
Forse l’opera più audace la presenta Superstudio, che si interroga sul ruolo dell’architettura attraverso una provocazione riguardo la sua resistenza e durata. Una teca in ferro ospita una serie di monumenti (una piramide, un anfiteatro, una chiesa) realizzati in sale e mantenuti uniti tramite apparecchiature appositi. Apparentemente solidi, ma intimamente fragili, questi monumenti precari ci rammentano la precarietà dell’agire umane, per quanto maestoso possa essere. Davanti alla fragilità del nostro mondo sembriamo chiamati una volta di più a prestare attenzione all’incombenza del futuro, piuttosto che al peso del passato.