L’ufficiale e la spia, in sala il nuovo film Roman Polański sull’Affare Dreyfus
L’ufficiale e la spia, il nuovo film Roman Polański, ricostruisce le dinamiche dell’Affare Dreyfus, il complotto a sfondo antisemita che ha rappresentato uno degli snodi fondamentali nell’identità della Francia moderna.
Proiettato in Concorso a Venezia 76 dove ha vinto il Leone d’Argento per la migliore regia, L’ufficiale e la spia arriva nei cinema italiani dal 21 novembre.
Tutto ha inizio il 15 ottobre 1894 quando il capitano Dreyfus (interpretato da Louis Garrel), ebreo nato in Alsazia, in questo periodo già territorio tedesco, viene accusato di alto tradimento per aver fornito informazioni militari alla Prussia. Processato e condannato all’ergastolo, Dreyfus viene deportato nell’Isola del Diavolo: è innocente, ma dovranno passare 12 anni e 2 processi prima di poter esser scagionato, solo nel 1906 Dreyfus viene reintegrato nell’esercito dal quale era stato cacciato con disonore.
Quello dell’Affare Dreyfus è un soggetto rimasto nella testa Polański per molto tempo, il progetto prima di vedere la luce ha dovuto aspettare sette anni. La sceneggiatura è tratta da un romanzo di Robert Harris nato proprio da un’idea dello scrittore inglese e dello stesso Polański: i due dopo aver lavorato assieme per L’uomo nell’ombra (adattamento di un altro libro di Harris, Il ghostwriter) avevano deciso di girare un film sull’Affare Dreyfus, prima pensando di impostare la storia dal punto di vista dell’accusato, Dreyfus, preferendo poi come protagonista Georges Picquart, colui che si è battuto per la ricerca della verità in questo intricatissimo complotto diplomatico.
Nel frattempo Polański ha girato altri tre film per batter cassa (Carnage, Venere in pelliccia, Quello che so di lei) e Harris ha dato alle stampe il romanzo An Officer and a Spy, dopodiché, una volta trovati i finanziamenti per girare il film in francese, i due si sono ritrovati e il film ha preso forma.
In questo scandalo, uno degli snodi più significativi della storia del XIX secolo, si intersecano nazionalismo, antisemitismo, complotti e errori giudiziari: per dodici anni l’Affare Dreyfus ha letteralmente diviso la Francia, con echi in tutto il mondo. La storia di un uomo accusato ingiustamente è sempre un ottimo soggetto cinematografico (The Wrong Man di Alfred Hitchcock, Suspect di Peter Yates, Colpevole d’innocenza di Bruce Beresford, etc.), ma in questo caso, per Polański, non si tratta di una mera scusa per mettere in scena un legal thriller in costume.
Il colonnello Picquart (Jean Dujardin), colui che si batterà per far luce sul complotto, è un personaggio complesso, carismatico e pieno di zone d’ombra. Non si definisce come antisemita, ma non gli piacciono gli ebrei, più per consuetudine che per posizione politica, perché – in parole povere – l’aria che tirava era quella. Dreyfus poi era un ebreo di origini alsaziane, quindi agli occhi dei francesi nazionalisti doppiamente straniero (e quindi doppiamente meritevole d’essere guardato con sospetto e fastidio). Alsazia e Lorena, in passato della Francia, sono diventate tedesche nel 1870 con la sconfitta di Sedan durante la guerra franco-prussiana. Questo le rendeva terre perdute, simbolo di una ferita nazionale, profonda e ancora freschissima. Proprio in Francia tra l’altro, per capire meglio il contesto, troviamo uno dei teorici del razzismo, Joseph Arthur de Gobineau, che nel 1853 dà alle stampe il suo saggio Saggio sulla disuguaglianza delle razze umane. Nei meccanismi di questa propaganda che metteva sullo stesso piano antisemitismo, xenofobia, nazionalismo e antigermanismo, Dreyfus non poteva che essere visto come un nemico in patria, uno straniero in una terra straniera.
Quando Picquart, ufficiale del Servizio di Statistica (il controspionaggio francese), scopre che Dreyfus è innocente prende a cuore il caso e decide di scoprire la verità. Quando ne parla al suo superiore, gli viene intimato di tacere. Nonostante la débâcle del 1870, l’esercito come la Chiesa è sacrosanto: rappresenta il cuore e uno dei valori massimi della Terza Repubblica. Ma in gioco ci sono proprio quei valori che la Terza Repubblica ha ereditato dal ’48 e dalla Rivoluzione francese, e la minaccia è quella dell’avvento di un nuovo cesarismo di carattere militare. Picquart non si dà per vinto e come nel più classico dei thriller diventa l’eroe che combatte le istituzioni dell’interno.
Centrale nella storia dell’Affare Dreyfus sono state due lettere. Una è quella passata alla storia come il famigerato bordereau: una lettera strappata, trafugata dal cestino dell’Ambasciata tedesca, in cui un fantomatico ufficiale francese proporrebbe di fornire ai tedeschi segreti militari. In maniera piuttosto rapida e sommaria si verifica con una perizia (quantomeno bizzarra) che la scrittura è simile a quella di Dreyfus, la condanna è immediata. Questi fatti sono centrali anche in romanzo di Eco, Il Cimitero di Praga, che inserendo un personaggio di finzione nel cuore delle vicende politiche e degli scandali nell’Europa della seconda metà dell’800 traccia un’analisi lucidissima (e tristemente attuale) sulla natura dell’antisemitismo e sul meccanismo delle fake news (ante litteram).
«Il nostro amico Drumont (fondatore e direttore del giornale antisemita La Libre Parole) va alla ricerca di prove che non troverà mai. […]. Il problema politico è dimostrare che ci sono. Converrete che, per inchiodare una spia o un cospiratore, non è necessario trovare delle prove, è più facile e più economico costruirle, e se possibile costruire la stessa spia. Dunque, nell’interesse della nazione, noi dobbiamo scegliere un ufficiale ebreo, abbastanza sospettabile per qualche sua debolezza, e mostrare che ha trasmesso informazioni importanti all’ambasciata tedesca a Parigi». Umberto Eco, Il Cimitero di Praga (p.423)
L’altra lettera fondamentale in questa storia è quella di Émile Zola, che si scaglia invece in difesa di Dreyfus. La lettera è indirizzata al Presidente francese e viene pubblicata sul quotidiano L’Aurore con il titolo J’accuse (che è anche il titolo originale del film di Polański). A causa della sua lettera in difesa di Dreyfus, con la quale accusava apertamente l’esercito e le alte cariche del governo di essere complici di un complotto ai danni di un innocente, lo scrittore viene condannato alla galera per diffamazione e vilipendio. Zola fugge in Inghilterra per evitare il carcere, in Francia i suoi libri vengono bruciati in piazza, ma questa mossa rende l’Affaire Dreyfus un vero e proprio caso mediatico, smuovendo così anche tutto il mondo intellettuale a livello internazionale.
Roman Polański ricostruisce questa vicenda in maniera snella, efficace e ordinata. Imposta il film come un thriller/poliziesco in costume, ma procede senza eccessi, in maniera asciutta, distaccata quasi; non cerca la scena a effetto, l’indignazione facile, si tiene lontano dal mettere in scena un film ricattatorio. Niente eccessi per Polański, solo estrema lucidità e l’urgenza di raccontare con chiarezza una storia drammaticamente contemporanea, relegata per anni in archivi segreti, cartellette polverose e fogli stracciati. Una luce fredda e naturale pervade gli ambienti, le strade, tutto sembra immobile, come in attesa. C’è in atto una crisi segreta, il destino dell’Europa è già segnato, affonda le sue radici nel Medioevo e la porterà in breve a due guerre mondiali. Il nemico va creato e poi espulso, purgato. L’ufficiale e la spia può sembrare un film immobile a un primo sguardo, ma in realtà è bollente.
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