Si chiude The Poetics of Reason, quarta edizione della Triennale d’Architettura, unica manifestazione del genere nell’intera Penisola Iberica. Cinque le mostre principali distribuite fra il MAAT, CCB/Garagem Sul, MNAC, Palacio sinel de Cordes e Culturgest, ben organizzate e allestite dai rispettivi curatori, con la curatela generale di Éric Lapierre. Da segnalare l’importante presenza di architetti italiani, che hanno portato un grande contributo di pensiero e di tecnica. Contestualmente, dal 28 al 30 novembre si è tenuto il ciclo d’incontri Talk Talk Talk, in cui architetti, critici, giornalisti, si sono confrontati sulle tematiche più urgenti dell’architettura.
Lisbona. L’armonia e la bellezza del territorio – che già nell’Antica Grecia erano considerati elementi indispensabili alla buona qualità della vita – risiedono in buona parte nella capacità dell’individuo di marcare la propria presenza nella giusta misura. L’edilizia è da sempre il fattore principale dell’impatto dell’uomo sull’ambiente, un impatto che alla luce dell’emergenza climatica è quanto mai doveroso ripensare. In quest’ottica, il curatore capo Éric Lapierre ha voluto sottolineare la necessità di ripensare l’architettura stessa, rendendola accessibile anche al pubblico meno esperto, poiché è questo pubblico che costituisce la maggioranza dei fruitori dell’architettura. Il titolo dell’edizione, The poetics of reason, afferma che, nonostante tutta la sua dimensione soggettiva e non scientifica, l’architettura riposa sulla ragione e il suo scopo è far luce sulla specificità di questa razionalità, usarla come chiave per diffondere la cultura di questa disciplina. Obiettivo, lasciarsi alle spalle gli anni folli delle archistar, per recuperare l’identità originale dell’architettura, ovvero quella di disciplina razionale volta a creare dignitose e confortevoli condizioni di vita negli ambienti urbani (ma non solo), in armonia con la cultura delle varie società così come con il territorio e la natura circostanti.
Da sottolineare come la presenza autorevole di curatori italiani in Triennale, dimostra ancora una volta che anche nel campo dell’architettura, in Italia le possibilità per chi ha competenze e talento sono purtroppo limitate, e l’espatrio resta l’unica soluzione per lavorare in maniera dignitosa. Una piaga che nessuno degli autorevoli membri del governo e del parlamento è interessato a prendere in considerazione.
Ciò detto, entrando nel vivo della Triennale, si comprende come costruire sia una sorta di sfida, poiché l’architetto deve misurarsi con una serie di condizioni preesistenti del territorio così come dei materiali a disposizione (vincolo quest’ultimo più stringente nel passato, con le difficoltà di trasporto e collegamento fra le varie zone); oppure, limiti imposti dalle esigenze per le quali l’edificio viene realizzato. Economy of means (visitabile al MAAT fino al 13 gennaio 2020) illustra come nella storia l’utilizzo di pochi e accuratamente selezionati mezzi abbia consentito agli architetti di dare significato e intelligibilità ai loro edifici. Poiché la forma è l’orizzonte di qualsiasi attività umana che riveli un minimo di ambizioni artistiche, rientra anche fra gli scopi dell’architettura.
Alla metà dell’Ottocento, con la diffusione delle dottrine socialiste e il conseguente sviluppo dell’edilizia sociale gli architetti applicano una strategia di economia dei mezzi per esplorare scale radicalmente piccole. Economie di spazi per offrire agli inquilini abitazioni confortevoli, raggruppate in un unico edificio, ovvero il condominio. Alla base del moderno concetto di appartamento sta la capanna primitiva: mitica e immaginaria, edificio arcaico che immaginiamo come la prima costruzione umana. Nella nuova ottica sociale, questa doveva essere offerta a tutti, e naturalmente, questa dimora doveva essere piccola per poter essere accessibile.
La questione dei costi è sempre stata all’attenzione degli architetti, a partire soprattutto dal secondo Ottocento, quando si sviluppa l’edilizia legata alla borghesia e alle classi popolari; gli edifici di grandi dimensioni non vengono abbandonati, ma devono essere ripensati: per questo nascono gli elementi prefabbricati, utilizzati in particolare per le coperture, che all’inizio furono in ghisa o legno, ripresi dalle teorie pionieristiche di Philibert de l’Orme, che le sviluppò a metà del Cinquecento. Contenere i costi non significava necessariamente abbassare la qualità e la sicurezza dell’edificio. Concetti che ancora oggi, in Italia, non sono purtroppo ben chiari.
Ripensando a uno degli elementi fondamentali dell’estetica dell’architettura, Ambra Fabi e Giovanni Piovene hanno curato allo spazio Culturgest What is ornament, una riflessione sull’attualità e la necessità della decorazione e dell’ornamento, se esiste un legame fra estetica e qualità dell’edificio; ma anche un collegamento fra architettura e arte. La colonna, l’intarsio, la modanatura, elementi che contribuiscono a dar forma al volto dell’edificio, alla sua personalità. Su questi presupposti, la mostra ha ricostruito un viaggio nella storia dell’architettura contemporanea, con esempi che raccontano l’evoluzione nella concezione e nell’utilizzo dei vari elementi, dal Liberty all’Art Déco fino alle correnti razionaliste e alle nuove tendenze che usano le facciate degli edifici come fossero tele da coprire di motivi e colori, anche accostando materiali diversi. Ma anche ripensamenti funzionali di elementi tradizionalmente estetici, ad esempio la colonna, che nei suoi progetti Vetilard utilizza come uno spazio in sé, ricavando al suo interno uffici, punti informativi, bookshop, negli atri dei musei. Gli approcci possono essere differenti, ma è innegabile che il concetto di ornamento sia parte integrante dell’architettura, e pur in forme più sobrie a seconda del tipo di progetto, sarà sempre presente nel lavoro degli architetti.
Guardando all’immediato futuro, i giovani Laurent Esmilaire e Tristan Chadney hanno curato Natural Beauty, che riunisce una serie di progetti realizzati dagli studenti della Facoltà di Architettura di Lisbona per Marvila, la potenziale area di sviluppo urbano a bassa intensità che potrebbe sorgere nei prossimi anni appena fuori Lisbona. Un segnale per uno sviluppo consapevole, nel rispetto del territorio e in considerazione delle emergenze ambientali. La mostra pone a confronto questi progetti con l’opera di affermati architetti, dal XIII Secolo ai primi anni Duemila. Un approccio intende la disciplina architettonica come una serie di teorie sviluppate nel tempo e che possono essere rinnovate, reinterpretate e ridefinite in termini di mezzi e bisogni contemporanei. Coinvolgendo, appunto, i giovani ed evitando il vergognoso immobilismo che invece caratterizza, ad esempio, l’Italia.
Fra teoria e pratica, excursus storici ed esperienze dell’attualità, la Triennale 2019 racconta e analizza l’essenza dell’architettura, la sua presenza nella società e il contributo che vi porta per uno sviluppo in armonia con il territorio e la natura, mantenendo viva la ricerca tecnica ed estetica, nella prospettiva delle radici storiche.