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Quando la critica diventa poesia. Un ricordo per Abraham Mintchine

Abraham Mintchine, Still life with chess-board Abraham Mintchine, Still life with chess-board
Abraham Mintchine, Still life with chess-board
Abraham Mintchine, Still life with chess-board

Il 14 ottobre scorso è morto Harold Bloom. Devo a mia moglie il mio incontro immensamente tardivo con le sue illuminazioni sulla letteratura occidentale e sul mestiere della scrittura. Che è poi il mio, quando mi dedico alla critica d’arte.

Ma fino a che punto sono attendibile? Da tempo diffido della parola troppo usata, della definizione scontata. Tutto è già stato detto, e considero una mancanza di rispetto nei confronti di un artista quel gioco di prestigio intellettuale – e tutt’altro che professionale – di rielaborare testi già scritti, attingendo a piene mani dal Dizionario dei Sinonimi.

Anni orsono, curando la redazione di una monografia di Abraham Mintchine (1898-1931) in edizione congiunta Bolaffi & Mondadori, mi è stato consegnato un saggio critico appositamente commissionato a Giovani Testori. A fronte alla mia emozione per le opere dell’artista di Kiev e per la sua breve e struggente vita, l’autore, pur molto colto e intelligente, mi è sembrato freddo e poco partecipe, riproponendo il mantra sull’École de Paris, comunque necessario, ma del tutto ovvio. Anni dopo mi è stato chiesto un articolo su Mintchine e mi è tornato fra le mani lo scritto di Testori. Ancora una volta sedotto dalla magnificenza non etichettabile del pittore di Kiev, e deluso dalla prosa di Testori, ho rimandato il lavoro alle calende greche. Ho quindi deciso di scrivere dei versi che ho mandato all’amico direttore il quale, non solo si è rifiutato di pubblicarli, ma mi ha anche risposto con un appunto quasi di scherno: “Hai cambiato professione?”

Abraham Mintchine, Child with a Harlequin
Abraham Mintchine, Child with a Harlequin

Li ho conservati fino ad oggi in un cassetto. E oggi Harold Bloom mi ha dato l’occasione di tirarli fuori. In sua memoria esprimo tutta la mia riconoscenza al suo pensiero critico di altissima caratura, alle sue rivelazioni sulla scrittura, per avermi confermato la funzione creativa del dubbio, e soprattutto la necessità di non essere complice di pensieri autoritari utilizzando formule prefissate. Sulla mia costruzione in versi rivolta ad Abraham Mintchine, Harold Bloom mi ha offerto in dono e viatico la 25ma pagina di Anatomia dell’influenza. Poche righe che sembrano scritte apposta per me: “Fare critica nel vero senso del termine equivale a pensare in maniera poetica al pensiero poetico”.

Come per i versi qui di seguito.

Abraham Mintchine, The Grecian
Abraham Mintchine, The Grecian

Abraham Mintchine, Kiev 1898 – La Garde 1931
pittore morto di di fame e di stenti

Se a trent’anni non hai soldi per mangiare
e dipingi sul legno delle porte
non pensi di morire all’indomani.
Hai trovato sepoltura in una fossa

a Tolone senza lapide né scritta.
Sognavi intensamente ad occhi aperti
ne usciva furore di materia granulosa
di solare trasparenza, rose di giardino
nature morte, paesaggi, contadini
di Provenza, Pierrot, Arlecchini.

Gimpel, il mercante di Parigi
ti considerava a pari con Renoir
accarezzando con gli occhi ogni tuo quadro.
Annotava nel diario di rimpiangere
ciò che non avresti più creato:
“La perdita di un giovane irradiante gioia per la vita”
Conservava di Sonia il telegramma
“Mintchine è morto, sono rimasta sola
e senza soldi, mi raggiunga”

Straniero che ti consacri al teatro del dolore
quello delle ombre senza tomba
copriti il capo se ti soffermi ad Auschwitz.
Recita per lui il Kaddish* che non ha avuto
così per Sonia e Irene, ceneri tra le ceneri
ultimo atto di una pietà dovuta.
——–

*Preghiera ebraica per i morti

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