Santa subito di Alessandro Piva, la tragica storia di Santa Scorese. La vita e l’uccisione di Santa Scorese, il prodromo del fenomeno dello stalking come lo conosciamo oggi
(Premetto che questa recensione del docufilm Santa Subito di Alessandro Piva (2019), insignito del Premio del Pubblico BNL”nell’ultima edizione del Festival del Cinema di Roma, non potrà non essere influenzato da un mio più ampio lavoro di ricerca accademica che dovrebbe essere pubblicato nei primi mesi del 2020. Ai fini della scrittura di questo articolo, infatti, avevo raccolto materiale ed esaminato interviste soprattutto rilasciate dalla sorella di Santa, Rosamaria Scorese).
Il docufilm di Piva è nelle sale in questi giorni, precisamente dal 9 all’11 dicembre, e fa un ritratto della famiglia e dell’ambiente in cui è nata e cresciuta Santa Scorese, giovane donna ammazzata a Palo del Colle (BA) il 15 Marzo 1991 all’età di 23 anni per mano di un uomo che l’aveva perseguitata per tre anni. Pugnalata sotto casa sua, dopo tre anni di pedinamenti fin nelle aule universitarie dove frequentava prima Medicina e poi Pedagogia oppure fin sotto il tabernacolo quando partecipava all’Eucarestia nella sua parrocchia.
Tre anni di biglietti di lucida follia lasciati sul parabrezza della sua macchina o di quella dei suoi familiari, nella cassetta della posta, oppure fatti pervenire ai vari ecclesiastici con cui Santa era in contatto. Un uomo di cui nel docufilm si parla molto poco, e che è stato rinchiuso in un ospedale psichiatrico per dieci anni dopo il suo delitto – mentre nei precedenti tre anni mai era stato considerato incapace di intendere e di volere anche a seguito di varie denunce a suo conto firmate da altre persone prima di Santa – e di lì in poi affidato ai servizi sociali e alle cure farmacologiche che sua madre si era rifiutata di somministrargli negli anni della persecuzione di Santa perché ‘gli avrebbero fatto male’.
La vita e l’uccisione di Santa Scorese sono state considerate da più parti come il prodromo, almeno in Italia, del fenomeno dello stalking come lo conosciamo oggi, da quando una legge del 2009 lo sancisce come reato. Per questo sarebbe stato utile uno sguardo più particolare alle pratiche di persecuzione del suo assassino, al contenuto delle lettere in cui inveiva contro i dogmi cattolici e ri-teorizzava in maniera blasfema la Trinità, in cui emergeva come una certa sessuofobia fosse alla base dei suoi comportamenti. Tutto questo ci avrebbe dato una lettura della personalità di Santa che si avvicinava alla decisione di consacrarsi nel mentre il suo futuro assassino raccoglieva informazioni su di lei e produceva i suoi contenuti molesti. Certo, Santa Subito dà ampio spazio a questo tumulto interiore della giovane donna ma non lo mette a contrasto con quello che il suo persecutore probabilmente stava rappresentando per lei nel corso di questo processo.
Un mediometraggio non poteva certo coprire ogni possibile aspetto e singolarità di questo accadimento che nasce di per sé come un film, ma qualche domanda in più poteva suggerirla: Santa percepiva il suo persecutore come ‘la prova’ che il suo percorso di unione con Dio fosse il suo Destino minacciato dal Maligno…? L’idea che viene fuori del carnefice di Santa è proprio corrispondente a quella che abbiamo oggi del paziente psichiatrico? Come mai non si fa menzione del fatto che costui – anche dal carcere psichiatrico in cui si trovava dopo l’omicidio, incredibilmente – continuava ad inviare lettere alla famiglia offrendo risarcimenti in forma di manipolazioni genetiche per far resuscitare la ragazza? Tutto questo emerge in forma seppure più drammatica e teatralizzata nello spettacolo Santa delle Perseguitate di Alfredo Traversa e rende al racconto di questa storia tutta la tragicità del colpevole che si è nutrito della stessa cultura profondamente cattolica di Santa, anche a costo di renderlo troppo distante da come oggi apprendiamo le storie di stalking. “È morta bene la bella Santa, come Santa Maria Goretti”, dice l’assassino in una delle sue lettere dal carcere alla famiglia, quasi attestandosi un certo merito nella possibile canonizzazione della giovane, e assente nel film.
Perché il punto è proprio questo. Fin dove si spinge la comunanza fra la storia di un presunto ‘martirio’ secondo la Chiesa Cattolica e, nello specifico, ‘martirio per la dignità della donna’ (Giovanni Accattoli, 2000, p. 257), e quella di un ‘femminicidio’ in senso più generale? La descrizione di Santa anche in questo docufilm risulta fluttuante tra la personalità volitiva ed espansiva (attestata dai numerosi gruppi cattolici e di volontariato laico cui partecipava), controcorrente già al Liceo all’epoca di forti scontri di piazza a Bari fra militanti rossi e neri in cui lei testimoniava di fronte a un professore che negava l’esistenza della Verità Assoluta che la Verità c’era ed era in Dio. Allo stesso tempo, però, non si menziona quanto emerge dalle pagine del suo diario rispetto alla volontà di annullarsi in Dio, sottomettere il suo Io (p. 124), eliminazione di ogni lato passionale e umano per unirsi a Dio (p. 20). Da tutto questo non traspare l’orgoglio per la propria produttività, vivacità, curiosità, quanto una voglia di addomesticarsi per un sogno più grande. In linea con l’immagine di Maria Vergine che aveva amato e seguito in vari gruppi dei Focolarini di Chiara Lubich o delle missionarie dell’Immacolata Padre Kolbe.
La dignità della donna si mantiene nel rinnegare il suo corpo o nel rinnegare la sessualità? Sicuramente nel respingere l’intrusività e le molestie. Ad esempio, la grande maggioranza dei casi di stalking e di violenza sulle donne cui oggi con angoscia assistiamo si realizza fra persone che si conoscono, che hanno intessuto legami intimi, fisici. Santa non conosceva il suo persecutore che compare nella sua vita proprio quando si approcciava alla scelta di diventare suora. E anche qui il docufilm fa intendere, in linea con la tesi che dovrebbe poi portarla alla beatificazione e poi eventualmente canonizzazione, che Santa sia stata presa di mira e poi uccisa perché il suo assassino vedeva in lei quell’emblema della purezza del Bene che lui stesso aveva conosciuto, e che poi aveva ripudiato (essendo anche stato allontanato dal seminario che frequentava per teorie sacrileghe sulla Trinità). Santa, come pure sottolineato dalla sorella Rosamaria in varie interviste, era in esplorazione della sua fede e non è certo che alla fine avrebbe effettivamente intrapreso la scelta di consacrarsi.
La famiglia Scorese e Santa sporgono ripetutamente denuncia per quel fenomeno di stalking che sarà legge solo 18 anni dopo. Per il padre di Santa, poliziotto, la negligenza della Legge fu la causa principale di un senso di impotenza che lo attanaglia ancora oggi. Tra le interviste interessanti che propone il documentario quella dello zio di Santa che riporta le parole di uno dei poliziotti che avevano raccolto la denuncia della donna: «Piccola com’è, se l’avesse voluta ammazzare lo avrebbe già fatto». Santa voleva vivere, difese strenuamente il diritto di poter muoversi da sola e di essere autonoma, anche di fronte alla Legge con i mezzi che poteva e che non ha mai rifiutato. Ciò che quel poliziotto ignorava e che oggi iniziamo ad aver chiaro del fenomeno dello stalking è che ‘il cacciatore’ punta la sua preda, trae soddisfazione dall’occupare i suoi spazi materiali e mentali, gode dell’umiliazione che riesce ad infliggere. Non vuole la fine immediata della sua vittima. Vittima con cui cercò di morire ammazzandosi a sua volta ma che gli fu impedito dalle forze dell’ordine. «Mia o di nessun altro» scrisse nell’ultimo biglietto lasciato sul parabrezza dell’auto di Santa prima di ucciderla e che sarebbe stato illuminante inserire nel docufilm.
Piva riesce bene a mostrare l’umanità del quotidiano dei genitori di Santa, ascoltati in casa, con la mamma che cucina dei grossi pomodori di Puglia, con primissimo piano sul movimento della lavatrice, con gli affetti fermi in un’istantanea perpetua di quel 15 Marzo 1991. «Quel giorno [dell’assassinio] scoppiai in lacrime senza motivo e Santa si preoccupò, mi chiese perché. Non sapevo rispondere». Le lacrime della mamma di Santa nel pronunciare queste parole, questi suoi presentimenti, sono perle di amore. Così come il dolore e la frantumazione personale del padre Piero sono evidenti nel dire «non dovevo ammazzarlo, dovevo solo rompergli le gambe o le braccia. Ancora oggi ho questo rimorso». Un dolore fresco di quasi trent’anni, che non esce dalla disperazione del ‘non si poteva fare niente’ laddove tutto era preannunciato, e come ultima arma contro l’impotenza assoluta pensava a come rendere almeno inoffensivo il persecutore, senza braccia o senza gambe, per sopravvivere come vivessimo nella terra di nessuno.
In conclusione, le parole che una importante guida spirituale di Santa, una missionaria di nome Carmencita, riferisce alla ragazza quando questa le confida di un’esperienza affettiva provata per un ragazzo durante quel periodo di riflessione spirituale che stava attraversando: «Santa, se non sei stata capace di innamorarti di un essere umano, non potrai mai essere capace di innamorarti di Dio». Ecco, la comunità ecclesiastica cattolica e italiana si è aperta nel corso del tempo e specie dopo il Concilio Vaticano II alla santità come fenomeno aperto, ordinario, non eccezionale, forgiato da ciò che si è capaci di fare nel ‘subito’ della vita di ognuno, senza sostare su un ascetico ideale di testimonianza religiosa. Santa pare proprio incarnare questo modello e il suo percorso verso la canonizzazione rappresenterebbe sicuramente un tassello importante per la sua storia religiosa e famigliare.
Ma anche la santità del ‘subito’ non dovrebbe distoglierci dal pensare alla violenza sulle donne come alla violazione della vita pienamente incarnata, significativamente individuale, felice di sé.