Dieci sale cambiano volto e si aggiungono ai lavori di ammodernamento del Museo di Palazzo Barberini di Roma.
Prosegue alacremente il lavoro di riallestimento del Museo di Palazzo Barberini a cura della direttrice Flaminia Gennari Santori e dei suoi collaboratori Michele Di Monte e Maurizia Cicconi. Dopo la nuova veste dell’ala meridionale del piano nobile – quella cardinalizia, denominata un tempo “appartamento di Sua Eminenza” – dedicata al Settecento ed al secondo Seicento e inaugurata la scorsa primavera, viene ora presentato il nuovo allestimento delle dieci sale (circa cinquecento metri quadri) dell’ala nord, la parte più antica del Palazzo venduta dagli Sforza ai Barberini nel ‘600- l’ala “secolare” dove vivevano un tempo il principe e la sua famiglia – dedicata al Seicento e all’ultimo Cinquecento.
“E’ la seconda tappa di un progetto di riallestimento che investe tutto il Museo” spiega Flaminia Gennari Santori e aggiunge: “questa è l’unica pinacoteca romana che ha la possibilità di riallestirsi. Ci piace pensare il Museo come uno spazio mobile, che cambia e che deve poter cambiare”. Numerose sono infatti le opere custodite nei depositi del Palazzo e quindi non visibili al pubblico: alcune di queste vengono ora esposte per la prima volta ed è previsto periodicamente un avvicendamento, una rotazione, in modo tale da far conoscere in maniera più esaustiva, per quanto possibile, la collezione permanente.
Pochi ma essenziali i principi fondamentali dell’allestimento: l’eliminazione del doppio registro espositivo che rendeva le sale simili alle antiche quadrerie; un allestimento quindi volutamente minimale, con un numero minore di opere disposte su un unico registro e ciascuna opera arricchita da una didascalia ragionata (invece dei precedenti pannelli di sala). Il percorso museale segue un indirizzo cronologico nel quale si innesta, in modo più o meno patente, un criterio tematico.
Le prime tre sale raccontano gli ultimi decenni del Cinquecento: il tardo manierismo romano e fiorentino ancora avvinti all’esperienza michelangiolesca; alcune importanti botteghe veneziane, segnatamente quella di Tiziano e del Tintoretto; la voga della pittura di genere dove anche il soggetto sacro diventava occasione o pretesto per mettere in scena la quotidianità, gli oggetti di vita domestica assemblati come nature morte, alcuni stralci di vita popolare.
Nella sala successiva, un’unica opera, sapientemente isolata, una sorta di tabernacolo votivo, splendido esempio di classicismo carraccesco, ci introduce al Seicento che prosegue con i paesaggi fiamminghi di Paul Bril. Fino alle successive tre sale, dedicate al naturalismo teatrale di Caravaggio e dei suoi allievi e seguaci, che costituiscono il cuore della collezione. Si conclude con due grandi sale dove facciamo conoscenza con la pittura a lume di notte – sempre d’impronta caravaggesca- giocata sui chiaroscuri delle luci di candela; e con il luminismo barocco del Guercino.