Le 19 sale dell’Appartamento del Real Bosco e Museo di Capodimonte, riproposte in una spettacolare e coinvolgente scenografia, ideata dall’artista Hubert le Gall, come la regia di un’opera musicale, sono il palcoscenico d’eccezione nella quale è possibile ammirare gli oggetti del Teatro San Carlo e la sua sartoria, oggi diretta da Giusi Giustino, insieme alle bellissime porcellane di Capodimonte, gli strumenti musicali del Conservatorio di San Pietro a Majella di Napoli, oltre a dipinti, oggetti d’arte e di arredo, minerali e animali tassidermizzati. Napoli, Napoli. Di lava, porcellana e musica, è il titolo della mostra curata da Sylvain Bellenger, allestita nelle sale del Museo di Capodimonte, fino al 21 giugno 2020.
E’ un viaggio nella storia della città partenopea, capitale del Regno nel corso del Settecento e oltre, dagli anni del re Carlo di Borbone a quelli di Ferdinando II, con il susseguirsi di scene della vita quotidiana caratterizzate da estrema raffinatezza estetica e gioia esistenziale, ma che hanno come sottofondo il passaggio del potere, i cambiamenti della storia, delle mode e dei gusti estetici. E’ un mondo incantato in cui immergersi insieme alle musiche di Giovanni Pergolesi, Domenico Cimarosa, Giovanni Pacini, Giovanni Paisiello, Leonardo Leo e Niccolò Jommelli.
Un’esposizione con oltre 1000 oggetti, oltre 300 porcellane delle collezioni delle Reali Fabbriche di Capodimonte e Napoli, di altre manifatture europee e pezzi originali cinesi e più di 150 costumi del Teatro San Carlo con firme prestigiose: Ungaro, Odette Nicoletti, Giusi Giustino e altri.
Il percorso espositivo si divide in diverse sezioni. Ad accogliere i visitatori è la spettacolare riproduzione di una tazza gigante, liberamente ispirata alle porcellane della manifattura di Capodimonte. Al suo interno, svetta la figura di Maria Carolina d’Asburgo Lorena: moglie di Ferdinando IV di Borbone e Regina di Napoli e di Sicilia. La regina contribuì attivamente, spinta da ideali illuministi, a fare di Napoli un centro culturale e artistico. Alle pareti, il trompe-l’œil dell’artista Tommaso Ottieri, un’immagine che riproduce l’interno del Teatro San Carlo e che invita il visitatore ad “entrare in scena”.
Nella Sala della Musica Sacra si ascoltano in sottofondo le note dello Stabat Mater di Giovan Battista Pergolesi, a cui si sposano i preziosi manufatti esposti, come il grande Ciborio seicentesco e il Corredo d’altare in porcellana bianca, destinato all’oratorio segreto del re nel Palazzo Reale di Portici, e l’Immacolata Concezione, raro esemplare a soggetto religioso della manifattura. Incorniciano la scena, i costumi di Odette Nicoletti, realizzati per lo Stabat Mater eseguito in occasione della Commemorazione di Giovan Battista Pergolesi nel 250° anniversario della morte, con la regia del Maestro Roberto De Simone, a cui è dedicata la mostra.
La Sala della Musica Profana è un omaggio a Napoli: gli strumenti musicali, pianoforti di Paisiello e di Cimarosa e l’arpetta Stradivari sono messi a confronto con un dipinto di Gaspare Traversi e un quadro di Louis Nicolas Lemasle, raffigurante le Nozze della principessa Maria Carolina di Borbone con il duca di Berry, del 1816, in cui si riconoscono Giovanni Paisiello e Niccolò Paganini.
Il tema musicale è variamente interpretato dalle manifatture di porcellana napoletana ed europea: si fondono così i due elementi più alla moda e caratterizzanti del secolo. Accompagnano la visita le note de Il Flaminio di Pergolesi: un nuovo genere della commedia in musica si contrappone all’opera seria e si rivolge a tutti i ceti sociali. In sala i costumi di Odette Nicoletti da Il Flaminio e quelli andati scena per Il convitato di Pietra.
Una sala molto interessante è quella del Potere. Nel 1815, in seguito alla sconfitta di Napoleone, la Restaurazione ristabilisce il potere dei sovrani assoluti in Europa. A Napoli, dopo la fucilazione di Gioacchino Murat, salito al trono nel 1808, ritorna dall’esilio in Sicilia il re Borbone, con il nome di Ferdinando I delle Due Sicilie, immortalato in questa sezione, in una istantanea nel tentativo di coprire il ritratto dell’imperatore Napoleone con la bandiera borbonica. L’Inno al Re che accompagna la visita, scritto dal barone Pietro Pisani, diviene il canto di lode della Restaurazione borbonica, così celebre da essere impropriamente considerato di Giovanni Paisiello. I costumi, provengono dagli spettacoli Festa Teatrale e da L’Osteria di Marechiaro.
Nella Sala del Grand Tour ampio spazio è riservato nel Salone Camuccini al tema del viaggio, nato dalle epocali scoperte di Ercolano nel 1738 e di Pompei nel 1748. Gli scavi furono il più grande evento culturale del secolo e furono utilizzati dai Borbone, come un vero e proprio strumento di propaganda. Il Grand Tour divenne la meta imprescindibile per gli aristocratici e gli intellettuali di tutta Europa per completare la propria formazione sociale e intellettuale. Il tema è proposto in maniera originale da Hubert Le Gall con sculture di Righetti, biscuit di Tagliolini, bronzetti della fonderia Chiurazzi, terraglie e porcellane Del Vecchio e Giustiniani, vasi archeologici della collezione De Ciccio, e manichini che indossano i costumi di Emanuel Ungaro realizzati per La Clemenza di Tito di Mozart e di Odette Nicoletti andati in scena per Festa Teatrale e per L’Osteria di Marechiaro di Giovanni Paisiello. Interessante in sottofondo il Demofoonte di Niccolò Jommelli.
Nella Sala dell’Egittomania si nota l’interesse di Napoli per il paese africano a seguito del ritrovamento, tra il 1764 e il 1766, del Tempio di Iside a Pompei. Gli oggetti esposti in questa sezione rappresentano il gusto per l’arte egiziana: sono presenti due orologi di Capodimonte con le monumentali casse impreziosite da marmi rari, bronzi cesellati, porcellane e i biscuit parzialmente dorati e con i telamoni raffiguranti Antinoo–Osiride, il dio egizio. La stessa figura ritorna, nell’insolita funzione di manico del coperchio, nei vasi da gelo del celebre Servizio da tavola con le Vedute del Regno. L’Egittomania coinvolse anche la musica napoletana: alla corte di Caterina II di Russia, Domenico Cimarosa mette in musica, nel 1789, il libretto di Ferdinando Moretti intitolato Cleopatra. I manichini vestono costumi tratti dallo spettacolo Le Convenienze ed inconvenienze teatrali.
La Sala delle Chinoiseries è caratterizzata dall’interesse per il mondo esotico, ovvero tutto ciò che richiama il gusto orientale. A Napoli, tale gradimento si diffonde ampiamente: ne è una dimostrazione, il meraviglioso boudoir donato, nel 1759, dal re Carlo alla consorte Maria Amalia di Sassonia. La moda delle chinoiseries influenza anche il teatro e la musica come testimonia L’idolo cinese di Giovanni Paisiello, i cui personaggi, che invadono il salottino, indossano i fantasiosi costumi disegnati da Luca Crippa ed Emanuele Luzzati.
Nella Sala della Materia sono in esposizione pietre provenienti dal Real Museo Mineralogico e dal Museo Zoologico di Napoli. Le manifatture esposte esprimono una moderna sensibilità estetica verso la materia naturale, vero e proprio elemento d’ispirazione per la porcellana, che induce gli artisti a particolari sperimentazioni tecniche in una sorta di sfida imitativa con i materiali naturali, soprattutto di origine vulcanica e marina. Tra i reperti in esposizione una medaglia coniata nella lava del 1819 e raffigurante Ferdinando, re del Regno delle due Sicilie. In sottofondo si ascolta la Sonata in fa minore K 466 di Domenico Scarlatti.
Nella Sala della Natura, particolarmente interessante è la sezione dedicata agli animali, presenti in esemplari tassidermizzati provenienti dal Museo Zoologico di Napoli. Questi soggetti, insieme agli uccelli, trovano largo spazio nella decorazione delle porcellane europee e napoletane. I reperti ornitologici, risalenti al XIX e XX secolo, provengono da importanti collezioni storiche tra cui quella di Mario Schettino, amico di Francesco Saverio Monticelli e valente tassidermista, realizzata tra il 1901 e il 1937, e quella di Cecilia Picchi, ornitologa fiorentina attiva a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento. Molti uccelli sono esposti in una grande voliera al centro della sala accanto ai piatti sui quali sono raffigurati i volatili con estremo rigore scientifico e con colori più vivaci.
Nella Sala dell’Eruzione è protagonista il Vesuvio, narrato in pittura durante la sua attività e testimoniato dai reperti minerari esposti, provenienti dal Real Museo Mineralogico: vesuvianite, granato, leucite, lazurite, ematite e altri. Nel corso del Settecento le eruzioni ispirarono artisti come Hackert, pittore ufficiale di Ferdinando IV dal 1791 e, soprattutto, il francese Jacques Volaire che si specializzò nella rappresentazione notturna del Vesuvio in eruzione. Nel surtout de table con Il carro del Sole, in particolare, realizzato dalla Real Fabbrica di Napoli, ma completato dalla Manifattura Poulard Prad, il bianco opaco e puro del biscuit trova particolare esaltazione nel contrasto con le nere pietre laviche dell’allestimento. Nella sala nera e rossa l’evocazione del sublime è esaltata dalla musica di Giovanni Pacini dedicata a L’ultimo giorno di Pompei.
La Sala dei Pulcinella, sovversivo personaggio e antica maschera napoletana, in voga nella Commedia dell’Arte settecentesca, comico e tragico, ingenuo e scaltro, approfittatore e generoso, servo del padrone e, allo stesso tempo, sbeffeggiatore del potere, domina il Salone delle Feste. La maschera, con il suo ermafroditismo, sovverte la rigida e tradizionale organizzazione sociale e sessuale e, autofecondandosi, partorisce altri Pulcinella: il trionfo ironico della vita. Egli muore sulla scena, come si vede nella pellicola in proiezione “Carosello napoletano” del 1958, e passa la maschera, come succede per la Corona reale. Proprio come il re, non può morire. Si ascolta in questa sezione la “Gioia de st’arma mia, cara nennella”, tratto dal Pulcinella Vendicato di Giovanni Paisiello. Tra i costumi presenti in sala, incantevoli sono quelli realizzati per Igor Stravinskij, ispirati agli studi di Pablo Picasso e storicamente ricostruiti da Giovanna De Palma; a chiudere la sezione, i costumi creati da Giusi Giustino per Le nozze di Figaro di Mozart e quelli di Odette Nicoletti per Il divertimento de’ numi di Giovanni Paisiello, con regia del Maestro Roberto De Simone, e per Te voglio bene assaje di Gaetano Donizetti.
La Sala della Caduta dei Giganti deve il suo nome al monumentale centro tavola in biscuit commissionato da Ferdinando IV. In questo caso, il soggetto mitologico raffigurato, la Caduta dei Giganti, riferibile al diffuso gusto per l’antico, trova una particolare declinazione politica. Nel 1799, infatti, nasce e muore la Repubblica Partenopea, conclusasi con un bagno di sangue voluto soprattutto da Maria Carolina. Quest’ultima, a seguito di questo avvenimento, divenne bersaglio di invettive e parodie, come recita il canto La serpe a Carolina in sottofondo. La regina è immortalata mentre osserva la scena, nel costume realizzato per Festa teatrale, ‘pastiche’ musicale ideato dal Maestro Roberto De Simone per le celebrazioni del 250° anniversario del Teatro di San Carlo. In sala, anche i costumi creati per Il divertimento de’ numi di Giovanni Paisiello. Nei due dipinti, Angelica Kauffmann, pittrice di corte, ritrae, nell’ultimo quarto del Settecento, la Famiglia del re Ferdinando e Maria Carolina, con la numerosa prole, mentre Giuseppe Cammarano, circa quaranta anni dopo, immortala la Famiglia di Francesco I.
La Sala del Gioco d’azzardo e del destino è incentrata su una delle tante tradizioni di Napoli, affascinata dall’azzardo e dal fato: in città ci si dedica a questi divertimenti nei salotti aristocratici e nei bassifondi, nei circoli e nei caffè, nelle case delle più raffinate cortigiane e nelle osterie, e dovunque risuonano espressioni tipiche della musica napoletana, come la villanella Vurria ca fosse ciaula (Vorrei essere un uccello), il cui testo, onirico e surreale, accompagna la visita. Se il popolo spende il suo denaro al gioco del lotto, negli ambienti nobili si dilapidano patrimoni con scacchi e dame, carte, tris, roulettes e tric-trac, giochi particolarmente amati come testimoniano i tavoli e le scatole da gioco di squisita fattura. I manichini in sala indossano costumi realizzati per Le nozze di Figaro di Mozart e quelli per la Festa Teatrale.
Nella selezione di porcellane napoletane ed europee esposte nella Galleria, spicca il Servizio dell’Oca, chiamato in questo modo dalle figure di alcuni pomelli di zuppiere raffiguranti un bambino che strozza l’oca, derivato da un’antica scultura in marmo dei Musei Capitolini. Il tema dominante della decorazione è rappresentato da vedute derivate in gran parte dalle incisioni che illustrano il Regno dall’Abruzzo alla Sicilia. Da cornice si ascolta “Saper Bramante” da Il Barbiere di Siviglia di Giovanni Paisiello.
Il titolo della Sala “Miseria e nobiltà” è tratta dall’opera teatrale di Eduardo Scarpetta del 1888 e sottolinea il complesso rapporto che si stabilisce a Napoli tra classi sociali diverse e il sentimento di vivere della corte e della plebe rumorosa, dei lazzari che non rinunciano ad adornarsi e a sedurre. Ne traccia un quadro straordinario l’opera di Paisiello L’Osteria di Marechiaro del 1769 che narra dell’amore del conte di Zampano per Chiarella, le cui note accompagnano la visita nella mostra. I protagonisti di questa sala sono i materiali pregiati e contemporanei, utilizzati sia per i ricchi, sia per i più umili, con lavorazioni differenti che ne esaltano il potenziale estetico. Questo allestimento sottolinea l’inestricabile rapporto della maglia sociale e conferisce dignità anche agli stracci dei personaggi più poveri.
La Sala della Parrucca rievoca il vezzo della moda tra le corti europee: una passione per le parrucche, gli orologi, le tabacchiere, i bastoni e i ventagli. Questa moda introdotta in Francia nel Seicento da Luigi XIII, diventa, con il passare degli anni, sempre più eccentrica: le complesse acconciature rendono prestigioso il lavoro del parrucchiere che realizza vere e proprie “costruzioni” di capelli, toupet e ornamenti vari, costringendo le dame a trovare nella veglia e nel sonno, posizioni congeniali per non rovinarle. La futilità delle apparenze, in netto contrasto con la profondità del pensiero illuminista, costituisce il grande fascino di questo momento, vissuto dalle corti e dai ceti aristocratici come le battute finali di un’epoca destinata a spegnersi con la Rivoluzione francese e la definitiva caduta dell’Ancien Régime. In sottofondo, La serva padrona di Giovan Battista Pergolesi. In sala, costumi realizzati per Festa Teatrale, tra questi spicca quello realizzato per la figura della regina Maria Carolina, interpretata da Katia Ricciarelli.
Chiude la mostra una videoinstallazione, nella Sala della Culla, dell’artista Stefano Gargiulo / Kaos Produzioni, in cui le immagini della Napoli di ieri e di oggi, si fondono con le scene delle principali opere tratte dall’archivio storico del Teatro di San Carlo e con quelle di Capodimonte, reggia e museo, sintesi di quella città del Settecento ancora capitale delle arti.