La montagna si moltiplica a Conegliano (Treviso) grazie all’esposizione Il racconto della montagna nella pittura tra ‘800 e ‘900. Dal 6 marzo al 5 luglio 2020 una selezioni di dipinti e documenti raccontano lo spettacolo delle Dolomiti dalla prospettiva degli artisti-esploratori.
L’insondabile mistero delle Dolomiti si perde insieme a l’occhio che viaggia verso le vette innevate all’orizzonte e non trova pace ai suoi interrogativi. L’immensità dei versanti e le strettoie delle gole, la luminosità delle cime e i chiaroscuri delle valli, la solidità della roccia e la leggerezza dell’aria che spira senza sosta: forse niente è in grado di tradurre in linguaggio umano le emozione che tali elementi suscitano, ma a Palazzo Sarcinelli di Conegliano (Treviso) c’è chi propone una sintesi forse risolutiva.
L’idea dei curatori Giandomenico Romanelli e Franca Lugato è di raccogliere nella mostra Il racconto della montagna nella pittura tra ‘800 e ‘900 i contributi pittorici di quegli artisti che sono stati anche esploratori. Il binomio tra pittori e artisti-esploratori si muove nella direzione di fornire una prospettiva completa ed eterogenea di quella che può essere l’esperienza della montagna, affiancando ai dipinti una selezione di manifesti, mappe, taccuini inediti e volumi.
Accanto alle opere di celebri autori italiani e stranieri che hanno frequentato principalmente le Dolomiti, da Ciardi a Compton, da Sartorelli a Pellis, da Wolf Ferrari a Chitarin, i visitatori potranno scoprire anche i paesaggi alpini di artisti meno noti. Come detto, oltre ai dipinti, la rassegna presenta una selezione di pubblicistica, cartografia, volumi, stampe, a testimonianza della fortuna e del crescente richiamo che il tema assume nella seconda metà dell’Ottocento. Oltre che importante meta turistica, in linea con una tendenza diffusa in altri paesi europei come la Francia e la Gran Bretagna, la montagna ha rappresentato, infatti, un segno identitario dell’Italia e del suo patrimonio culturale, parallelamente al compimento dell’unità nazionale.
Tanti e diversi i modi di rappresentare, guardare e “sentire” la montagna, dal realismo e naturalismo di Edward Theodore Compton (1849-1921), Guglielmo Ciardi (1842-1917), Giovanni Salviati (1881-1951), al simbolismo e intimismo di Francesco Sartorelli (1856-1939), Traiano Chitarin (1864-1935), Teodoro Wolf Ferrari (1878-1945), Carlo Costantino Tagliabue (1880-1960), Millo Bortoluzzi (1905-1995), Marco Davanzo (1872-1955), Giovanni Napoleone Pellis (1888-1962), che sperimentano l’effetto luminoso e cangiante delle cime innevate tra il Veneto e il Friuli. Un elemento di novità si registra con le opere raffiguranti il Carso: scenografiche grotte, fiumi sotterranei, stalattiti, profonde acque increspate sono il soggetto di una serie incredibile e poco nota di Ugo Flumiani (1876-1938). Un effetto di silenziosa sospensione trapela, invece, dalle tele del bosnìaco-erzegòvino Gabril Jurkić (1886-1974), che attribuisce nuovi valori simbolici e mistici al paesaggio alpino oltre il confine italiano.
La selezione di manifesti della collezione Salce dei primi decenni del Novecento arricchisce il racconto con la pubblicità degli sport invernali. Il racconto della montagna si sviluppa anche attraverso inediti approfondimenti dedicati a personalità e temi meno noti. Tra questi emerge in particolare la figura della trevigiana Irene Pigatti (1859-1937), una delle prime e più importanti alpiniste italiane operanti in ambito dolomitico con una vita decisamente anticonvenzionale per i tempi: un’ambiziosa “collezionista” di cime, legata certamente a una concezione pionieristica dell’alpinismo, ma che rivolge l’attenzione anche al record femminile.