Raffaello e gli amici di Urbino. La mostra prosegue fino al 19 gennaio 2020
Nell’imminenza del 500° anniversario della prematura scomparsa, la Galleria Nazionale delle Marche di Palazzo Ducale a Urbino apre le celebrazioni di omaggio al “divino” Raffaello Sanzio con un’ interessante mostra in circa 60 opere, curata da Barbara Agosti e Silvia Ginzburg, che propone il confronto fra l’urbinate e i suoi contemporanei.
Nell’Italia rinascimentale la corte fu il soggetto politico che meglio riuscì ad avvicinarsi all’idea di Stato, se non proprio a raggiungere almeno a sfiorare quell’ideale di bellezza platonica che stava alla base dell’idea stessa di Rinascimento. Nonostante il potenziale d’ingegni in quasi tutti i campi dello scibile umano, l’Italia non raggiunse ancora la maturità per diventare uno Stato unitario. Ma se la politica non fu delle più accorte, in compenso lo fu il sostegno allo sviluppo dell’arte e della cultura: Ferrara, Mantova, Verona, Milano, Firenze, furono i centri principali della civiltà rinascimentale, ai quali si deve aggiungere la piccola ma altrettanto splendida Urbino al governa della quale presiedeva la dinastia dei Montefeltro, e successivamente dei Della Rovere. Anche qui la scena artistica era assai vivace, supportata dal mecenatismo della signoria: la città ospitava infatti artisti quali Laurana, Berruguete, il Pollaiolo, Signorelli, Piero della Francesca, oltre a pittori locali quali Girolamo Genga e Timoteo Viti (questi ultimi meno noti al grande pubblico, ma interessanti esponenti della maniera moderna): tanta varietà di esempi fu per il giovanissimo Raffaello Sanzio (1483 – 1520), ancora apprendista nella bottega paterna, una vera e propria “università” che risultò fondamentale per lo sviluppo della sua futura “divina maniera”.
Personalità ardente e decisa, quasi a dispetto della levità delle sue opere, Raffaello era caratterizzato anche da un certo narcisismo che si accompagnava all’ambizione. Per questo era fortemente intenzionato a lasciare nell’arte una sua personale cifra, e, fortificato dalla lettura di Baldassarre Castiglione, rifiutò qualsiasi pedissequa imitazione dei vari pittori che conobbe, ed inseguì invece il “suo” stile, che poté costruire grazie certamente all’innato talento per la pittura, ma anche all’opportunità di poter conoscere la grande pittura umanistica del tardo XV Secolo. Fondamentale fu l’incontro con Perugino, del quale fu allievo anche se le notizie in merito sono poche. Ma ancor più importante è il fatto che il giovane Raffaello ebbe la possibilità di esprimere tutto il suo talento, così come l’ebbero, da una parte all’altra della Penisola, tanti altri giovani artisti. L’esatto contrario di quanto accade oggi in un’Italia vergognosamente gerontocratica, nel cui immobilismo si ha la dimostrazione che, a partire dagli altrettanto vergognosi governi che sino succeduti negli ultimi 25 anni, non si sia affatto compreso lo spirito del Rinascimento.
Miserie del presente a parte, questa bella e ampia mostra di studio ricostruisce il clima artistico che fu fondamentale per la formazione di Raffaello, oltre a ricostruire le varie botteghe e personalità che operavano nell’Urbino dei Montefeltro, nonché a tracciare gli sviluppi di Raffaello tra Firenze, Siena e Roma. Proponendo il confronto con i contemporanei urbinati – che ebbero modo di conoscere i medesimi artisti forestieri -, la mostra illustra in maniera esauriente come il talento di Raffaello fosse di ben altra caratura, capace come fu di riflettere in maniera originale sulle lezioni apprese e di innovare la pittura italiana del Cinquecento; dimostrazione, a sua volta, del continuo interesse per l’aggiornamento dello stile, per il confronto con approcci differenti, per quella curiosità, insomma, che è il primo stimolo per tutti gli uomini di cultura. Si apprezzano quindi in mostra le opere di Timoteo Viti, Francesco Francia, Domenico Beccafumi, Giromalo Genga, Domenico Alfani, che Raffaello superò di un buon tratto. Nel perseguire il suo stile, divenne il pittore dell’utopia, valente e delicato cantore di una società civile e politica come avrebbe dovuto essere (e invece non era): nei suoi affreschi rifulgono lo splendore elitario della corte, l’incontro fra la virtù e il potere (che pure in qualche caso si realizzò davvero), le sue donne rilucono di pudica bellezza, di quella modestia che non sarebbe dispiaciuta nemmeno a Dante; i colori non sono mai tonitruanti, ma sempre sussurrati, brillanti ma mai abbaglianti, così come la plasticità muscolare non ha niente di gladiatorio (com’era stato nella pittura assai più “sanguigna” di Michelangelo).
La delicata dolcezza che contraddistingue lo stile di Raffaello ha illustri e raffinati precedenti in Perugino, ad esempio nella Santa Maria Maddalena, dall’incarnato di pesca e gli occhi color nocciola che guardano di sbieco, mentre le labbra sembrano sul punto di aprirsi a un sorriso sensuale, trattenuto per modestia. Echi fiamminghi nell’intensità dell’espressione introspettiva del volto, che giungevano in Italia e vi spargevano abbondante seme. Nel suo San Sebastiano, Raffaello attinge all’iconografia nordeuropea, raffigurando il giovane con una freccia in mano (l’aureola è un’aggiunta ottocentesca), un riferimento di matrice amorosa tipico di quella tradizione. La pittura di Raffaello è densa di paganesimo, a suo modo specchio perfetto dell’atmosfera del Rinascimento italiano, le cui corti (e quella papale non faceva eccezione) erano intrise di gaudente scetticismo.
Una mostra dalla doppia valenza cronologica: è la prima a inaugurare le celebrazioni raffaelliane, ma soprattutto è una mostra di studio che analizza dall’inizio la formazione di Raffaello, indagando quegli artisti che lo ispirarono, lo stile dei quali seppe innovare in maniera unica. E, in controluce, si colgono alcuni aspetti della controversa Italia del Rinascimento.
RAFFAELLO E GLI AMICI DI URBINO
3 ottobre 2019 – 19 gennaio 2020
Galleria Nazionale delle Marche di Palazzo Ducale
Urbino
gallerianazionalemarche.it