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Stanley Kubrick, un volume sui capolavori del più «controverso» regista di Hollywood

stanley kubrick enrico carocci marsilio

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Stanley Kubrick, in libreria una raccolta di saggi su sei capolavori di uno dei registi più influenti della storia del cinema. Dal Dottor Stranamore a Eyes Wide Shut

Stanley Kubrick, un libro, sei capolavori: Il dottor Stranamore, 2001: Odissea nello spazio, Arancia Meccanica, Barry Lyndon, Full Metal Jacket, Eyes Wide Shut. A vent’anni dalla scomparsa di Stanley Kubrick i suoi film sono ancora al centro di ricerche e analisi alla ricerca di significati e valori. Quasi ogni sua pellicola è diventata un oggetto di culto a sé sia per la critica che i suoi ammiratori più devoti.

Nella sua filmografia si intrecciano senza pericolo di contraddizioni sia l’immediatezza dell’esperienza che la complessità del senso, la sollecitazione dei sensi e l’astrazione intellettuale, la ricerca dell’immersione e la presa di distanza. Lo stile visivo, la funzione della musica, la costruzione dei personaggi e le invenzioni narrative di Kubrick sono diventate a tutti gli effetti parte di un immaginario condiviso che affascina tanto gli spettatori quanto i nuovi autori.

«Il più controverso dei registi della Nuova Hollywood», così veniva etichettato Kubrick nel 1956, e lui non ha mai fatto nulla per sconfessare questo titolo, anzi.

stanley kubrick enrico carocci marsilioIl volume (curato da Enrico Carocci e edito da Marsilio) , oltre ad analizzare sei dei suoi capolavori, riflette sulla figura di Kubrick come regista che ha saputo muoversi sempre a cavallo tra indipendenza e grandi major. La realizzazione dei suoi film difatti era molto spesso il frutto di molte stesure, correzioni e compromessi. Il regista ha sempre adottato una strategia che puntava a sfidare il pubblico e la critica in modo tale da mantenere sempre alta l’attenzione (e l’aspettativa) sui suoi progetti.

Dall’emendamento del Codice Hays, che costituiva un organo di censura su tutta la produzione cinematografica statunitense, il cinema inizia a riappropriarsi di un carattere più “adulto”, anche per porre freno alla concorrenza della neonata televisione che sembrava destinata a uccidere la sala.

Ma il processo fu lento e all’inizio degli anni Sessanta il defunto Codice Hays continuava a essere un ostacolo per la produzione di pellicole come, ad esempio, Lolita. La locandina del film come claim difatti aveva: «How did they ever make a movie of Lolita?». Su quella italiana «Come è stato possibile realizzarlo?» e su quella francese, in maniera ancora più incisiva: «Comment a-t-on osé faire un film de Lolita?». Il poster così focalizzava l’attenzione non tanto sul presunto erotismo dell’opera, ma sul coraggio di portare al cinema temi scabrosi nonostante la possibilità di censure. Un modo per trasformare l’uscita di un film di Kubrick in un vero e proprio evento mediatico.

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Kubrick autore totale? Nel 1972 Norman Kagan scriveva, in una delle prime monografie dedicate al regista: «Kubrick chiaramente è il sohno di ogni auteur critic: scrive, dirige, monta, e spesso gestisce la propria pubblicità […]. I suoi film sono più vicini all’opera d’arte personale rispetto a ogni altro nell’ambito del cinema commerciale». Nel suo caso, insomma, il lavoro dell’artista si sovrapponeva a quello del tecnico e a quello del produttore: l’aspetto estetico non poteva essere slegato da quello amministrativo, riuscendo a unire in una formula vincente arte e mercato.

Stanley Kubrick e l’arte. In Barry Lyndon il regista traduce cinematograficamente le opere dei grandi pittori del Settecento, portando così sul grande schermo un mondo che ripropone le immagini dei quadri – tra gli altri – di Antoine Watteau, Jean-Honore Fragonard e William Hogarth: «un’operazione che riorganizza il mondo attraverso le ricreazioni di altri artisti, ci dà qualcosa che non è la realtà, ma un simulacro, non la storia, ma la sua rielaborazione visiva e mentale, somigliante e differente, proprio come un simulacro».
Un tipo di operazione formale, questo, che aveva compiuto anche con Arancia Meccanica, dove inventa un mondo generato dall’estensione, l’elaborazione e l’astrazione di dei modelli proposti della pop art, da Oldeburg a Lichtenstein, da Warhol a Allen Jones. Eyes Wide Shut? I riferimenti sono quelli alla cultura mittleuropea: Schiele e Klimt.

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