Edoardo Manzoni è nato a Crema nel 1993 e ha sviluppato il suo percorso di studio in Visual Arts and Curatorial Studies e in Painting and Visual Arts presso la NABA di Milano, dove è stato assistente di Marcello Maloberti. Con Giada Olivotto, dal 2018, cura Residenza La Fornace, progetto di documentazione artistica sito in un luogo segreto.
Nel suo fare l’essere oggettuale abbandona ogni contingenza e si fa realtà plastica significante, occupa uno spazio e attiva il fruitore. La sua attuale ricerca prende le mosse dal rapporto dialettico fra uomo, animale e natura, sconvolge il rapporto fra istinto e ragione indagando le motivazioni profonde del nostro agire.
Cosa significa essere un artista e quali differenze noti fra i tuoi esordi e oggi?
Avrei molte più domande che risposte su cosa significhi essere un artista, esistono vari campi dell’arte e l’artista può essere e significare molte cose. Io mi rapporto con l’arte contemporanea attraverso un percorso di ricerca iniziato a partire dall’Accademia, dove il confronto con artisti e professori è stato fondamentale. Ho iniziato, come molti, a fotografare ciò che vedevo fuori dalla finestra, raccoglievo materiali di ogni tipo per cercare di riportare nel mio lavoro i luoghi, le sensazioni che facevano parte della mia esperienza quotidiana; i paesaggi di campagna che incontrano le aree industriali di paesini in provincia, dove il rurale e l’urbano si contaminano a vicenda. Questo tentativo di traduzione con il tempo si è sviluppato nella maggiore consapevolezza di una solida realtà sulla quale lavorare. Essere cresciuto in un contesto agricolo ha stimolato il mio interesse verso il rapporto tra il naturale e l’artificiale, l’umano e l’animale.
Quali tematiche trattano i tuoi lavori e che progetti hai in programma?
Guardo sempre più il mondo degli oggetti, cerco di assimilare forme e contenuti per rielaborarli attraverso modalità espressive differenti. Penso alla natura morta di Giorgio Morandi dove l’oggetto funzionale viene svuotato della sua identità specifica per poter diventare un’entità plastica da riempire ogni volta con nuovi significati. Gli oggetti che accompagnano la vita dell’uomo non sono solo “strumenti”, sono anche portatori di messaggi sociali e di energie, sono presenze animiste. Negli ultimi anni sto lavorando sulla caccia, una tematica ancestrale che mi permette di inserirmi in un’indagine più ampia sul rapporto tra uomo, arte e natura. Cerco di attingere dall’immaginario pittorico della scena di caccia, di inventare o rielaborare il design di trappole e richiami usati per attirare, ingannare e catturare l’animale, per riflettere sull’idea di violenza che può celarsi dietro la seduzione.
Mi piace pensare all’artista come un mago, un illusionista o un cacciatore che lascia trappole per l’occhio in cui il logico e l’irrazionale si intrecciano senza offrire una risposta. Ho in programma dei progetti personali in cui svilupperò questa mia ricerca, il primo avverrà a StateOf, un nuovo spazio espositivo a Milano.
Come ti rapporti con la città e il contesto culturale in cui vivi?
Vivo a Milano da qualche anno e vi sono molto legato. È una città che dal punto di vista culturale è molto attiva e stimolante, è sempre più internazionale e allo stesso tempo mantiene quel suo essere un po’ provinciale e un po’ malinconica.
Cosa pensi del “sistema dell’arte contemporanea”?
Lo vedo (dal basso) come una complessa e seducente piramide.
Di quale argomento, oggi, vorresti parlare?
Ne approfitto per parlare di Residenza La Fornace, un progetto che sto curando e che vivo come un ampliamento della mia pratica individuale. Da quasi due anni invito altri artisti a relazionarsi con la cascina nella quale sono cresciuto. Lavoriamo insieme alla costruzione di una mostra che è visibile unicamente online, lasciando in questo modo il posto segreto, senza la possibilità, per il pubblico, di accedervi. Si tratta di un progetto di documentazione fotografica, nel quale la fotografia rende l’opera, il contesto e un preciso momento della giornata, indissolubili.
Un argomento al quale sono particolarmente interessato è l’Installation view come nuovo media. La tendenza alla documentazione di mostre situate in posti spesso fuori mano, dove la scarsa o assente presenza fisica dello spettatore fa si che la documentazione divenga un espediente narrativo fondamentale, se non la mostra stessa.
Questo contenuto è stato realizzato da Marco Roberto Marelli per Forme Uniche.
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