Il mare protagonista di una mostra, con l’attenzione rivolta non alla sua superficie, romantica e infinita, ma alle sue profondità, agli abissi, al non visibile, a quei tesori che ha custodito per secoli, a volte millenni. Epicentro di questa esposizione dal titolo, Thalassa, meraviglie sommerse dal Mediterraneo, è la Sala della Meridiana del MANN, Museo Archeologico Nazionale di Napoli, fino al 9 marzo 2020.
Sono circa 400 reperti, provenienti da prestigiose istituzioni italiane ed internazionali, il cui centro simbolico è l’Atlante Farnese, capolavoro marmoreo databile al II sec. d.C.. Il percorso di visita segue le costellazioni rappresentate nella parte superiore della scultura, assecondando, in una suggestiva rotta artistica tra passato e presente, il modus dei naviganti antichi che orientavano il proprio viaggio seguendo il cielo.
Filo conduttore di questo originale itinerario è la scoperta del Mar Mediterraneo attraverso nove sezioni: tesori sommersi; i primi passi dell’Archeologia subacquea; relitti; vita di bordo; navigazione, mito e sacro; il mare, via dei commerci; il mare e le sue risorse; bellezza ed otium e acque profonde. Completa il percorso, nella Stazione Neapolis del MANN, un focus di approfondimento sul porto antico di Napoli.
L’immagine di forzieri ricolmi d’oro, argento e pietre preziose, adagiati in fondo al mare tra i resti di antiche navi ispira una “caccia al tesoro”. Per l’archeologia, invece, l’imbarcazione con il suo carico “non prezioso” di granaglie, olio, vino, marmi, minerali e metalli custodisce una immensa ricchezza. Ad accogliere i visitatori sono sei opere considerate emblematiche, il cui ritrovamento è del tutto casuale, impigliate nella rete di un peschereccio, raccolte dalla benna di una draga o saccheggiate e rivendute per denaro: la Testa di Amazzone, copia romana di un originale greco, proveniente dal Parco Archeologico dei Campi Flegrei; la Testa bronzea del Filosofo di Porticello del V sec. a.C., ritrovata in un relitto ed appartenente al Museo Archeologico di Reggio Calabria; il Tesoretto di Rimigliano, che comprende monete di argento di età romana imperiale, conservate al Museo Archeologico del territorio di Populonia a Piombino; il Rilievo di Eracle e Anteo del II sec. a.C., proveniente dal Castello Ursino di Catania; il Reshef di Selinunte del Museo Salinas di Palermo, una eccezionale statuina bronzea realizzata presumibilmente tra XIV e XII sec. a.C., con ogni probabilità dedicata ad una divinità; e, infine, il controrostro di una nave romana, trovato nel porto di Genova alla fine del Cinquecento dei Musei Reali di Torino.
La seconda sezione è dedicata all’archeologia subacquea e comprende una parte didattica, arricchita da pannelli, filmati e fotografie, che testimoniano, dagli anni Cinquanta del 1900 sino ad oggi, la nascita e lo sviluppo di questa disciplina. Accanto al materiale documentario, sono in mostra oltre sessanta opere che attestano i primi recuperi avvenuti nelle acque del Tirreno. Sono visibili i reperti del relitto di Albenga, tra cui figura uno dei sette elmi bronzei trovati dall’archeologo Nino Lamboglia, e un’anfora del I sec. a. C.; le lucerne di età imperiale e l’altare nabateo di Pozzuoli del I sec. a C.; i rilievi dal porto di Baia, appartenenti ad una grande villa con ninfeo di età severiana; le opere tratte dal relitto di Porticello, frutto di una campagna di rilevamento e scavo; dal Parco Archeologico di Paestum proviene la testa in bronzo di Foce Sele del I sec. a.C./I sec. d.C., che apparteneva ad una statua a grandezza naturale nei pressi del Santuario di Hera.
La terza sezione è incentrata sui relitti, all’analisi dei carichi delle imbarcazioni affondate in epoca antica. Sono trenta i reperti provenienti dal Museo Archeologico di Atene ed, in particolare, dal relitto di Antikythera, primo natante rinvenuto agli inizi del Novecento nel Mediterraneo. Tra questi, spiccano raffinati gioielli in oro, pregiate coppe di vetro, parti di statue bronzee ed oggetti della vita di bordo che risalgono al I sec. a.C.. Interessante nel percorso espositivo la ricostruzione in 3D del calcolatore astronomico recuperato nella nave. Dal relitto ritrovato nel 1990 a largo di Punta Licosa provengono, invece, anfore vinarie ed attrezzature di bordo, tra cui la pompa di sentina, che era un sistema per portare l’acqua via dall’imbarcazione.
All’interno di questa sezione, vi è una installazione in plexiglass, che, grazie ad alcune proiezioni, mostra le diverse fasi del naufragio di un’antica imbarcazione sino al momento della deposizione sul fondo marino (da qui si forma il relitto).
La quarta sezione tratta la vita di bordo. Elementi di prua, chiodi, scandagli e oggetti personali svelano la dimensione quotidiana dei naviganti antichi. Tra le circa cinquanta opere figurano alcuni pezzi di pregio provenienti dal Parco Archeologico di Ercolano, in particolare dall’area degli scavi nuovi della Villa dei Papiri e dell’antica spiaggia, un timone, un fasciame con corde arrotolate e cuoio su cui si distinguono punti di cucitura, ami da pesca, pesi da rete in piombo e galleggianti; alcuni flaconcini in legno di bosso per collirio del II sec. a.C., ritrovati in Toscana, nel relitto del Pozzino; un grande bacile del III sec. a.C., recuperato sul relitto di Panarea III ad una profondità tra i 70 ed i 150 metri, utilizzato per i riti propiziatori durante la navigazione e un frammento di ingranaggio risalente al I sec. a.C..
La quinta sezione è dedicata alla navigazione, al mito e al sacro. Venti reperti raccontano come la leggenda e la religiosità siano legate al mondo del mare: il famoso Cratere con Naufragio dell’ VIII sec. a.C. del Museo di Villa Arbusto a Lacco Ameno ad Ischia. Spiccano i manufatti provenienti dall’isola di Vivara, dove gli scavi terrestri e subacquei hanno restituito le tracce di un insediamento dell’età del bronzo. Tra questi reperti figurano una giara cananea del XVI/XV sec. a.C., che attesta rapporti con l’Oriente, un applique d’oro ed una tavoletta in osso iscritta del XVII/XV sec. a.C.. Infine, un’ancora dell’età del Bronzo. Da Lipari, invece, proviene il carico di oggetti in ceramica, appartenenti al relitto di Pignataro di Fuori, probabilmente il più antico e databile al XX sec. a.C.
La sesta sezione vede protagonista il mare e la via dei commerci. Circa quaranta reperti, tra cui utensili per la preparazione e conservazione del cibo, anfore per il trasporto di olio, vino e garum, così come i lingotti di piombo che, dalla penisola iberica, raggiungevano Roma, testimoniando la ricchezza dei più importanti mercati delle province romane. Eccezionale l’esposizione di lingotti in oricalco, prezioso materiale citato da Platone nei racconti su Atlantide. Impattante è la suggestiva prassi di contaminazione culturale della statuetta della dea Lakshmi in avorio proveniente da Pompei. Nella sezione, sono presenti circa trenta reperti che raccontano quanto il mare fosse una fonte di sostentamento necessario per le antiche popolazioni del Mediterraneo.
Nella settima sezione, il mare e le sue risorse. L’ambiente marino è fonte inesauribile di ricchezze: pesci, molluschi, sale, porpora, bisso, perle, spugne e coralli hanno avuto grande importanza nell’economia antica, stimolando la ricerca di tecniche e strumenti sempre più avanzati per lo sfruttamento delle risorse del mare e per la trasformazione delle stesse in prodotti pregiati e ricercati. Sono in esposizione gli strumenti provenienti da Pompei, Ercolano e dalle acque di Pantelleria, utilizzati per la pesca di cetacei, tonno e corallo. Insieme ad ami, pesi da rete e a una croce di Sant’Andrea, trovano posto resti di garum, la salsa di pesce tanto usata e apprezzata nell’antica cucina romana. Su un’anfora, ritrovata ad Olbia, sono identificabili alcuni resti di pesce.
L’ottava sezione focalizza l’attenzione sulla bellezza e sull’otium. Il Mare Nostrum è raccontato attraverso i luoghi del piacere, grazie alle sculture ritrovate sui fondali della Grotta Azzurra a Capri, ninfeo di età romana, così come i raffinati affreschi da Pompei, Ercolano e Stabiae. Nell’antichità, il paesaggio costiero non era soltanto armonizzato con le strutture architettoniche residenziali e della villeggiatura, ma era anche fonte di ispirazione ricreata dall’apparato decorativo all’interno delle più prestigiose domus antiche. Tra i circa quaranta reperti esposti, anche pendenti, gemme e le famose coppe egittizzanti di ossidiana di età augustea, appartenenti alla collezione del MANN.
L’ultima sezione tratta le acque profonde attraverso una esperienza “immersiva”. Spettacolari filmati girati ad oltre 600 metri di profondità permettono di ammirare i relitti, ritrovati nei luoghi simbolo del Mediterraneo, da Capri a Capo Palinuro, dalla Liguria alla Sardegna. La ricerca oltre i 50 metri, dove il lavoro tradizionale dell’archeologo con bombole ad aria è impossibile, è affidato all’impiego di avanzate tecnologie geofisiche e strumentali, in grado di operare oltre i 4000 metri di profondità. Vengono utilizzati i side scan sonar e i multibeam per il rilievo del fondale marino; i sub bottom profiler e i magnetometri per l’individuazione di reperti e strutture sepolte; robot filoguidati (ROV) per le riprese video-fotografiche e minisottomarini per le esplorazioni e i campionamenti. Il carico non viene toccato, ma solo rilevato, per garantire la conservazione dei giacimenti archeologici nell’ambiente di rinvenimento.
Nella sala Stazione Neapolis del MANN sono esposti i reperti che ricostruiscono la storia e le caratteristiche del porto antico di Napoli, partendo dalla prima fase degli scavi agli inizi degli anni Duemila e giungendo sino agli ultimi ritrovamenti, tra 2014 e 2015. Sono visibili tre importanti e singolari reperti lignei: una splendida ancora di oltre due metri e mezzo databile alla fine del II sec. a.C., un remo ed un albero di età imperiale, residui delle imbarcazioni che attraccavano nell’antico porto cittadino.