Lucio Fontana: Ambienti Spaziali 1948-1968. A Los Angeles la mostra curata da Luca Massimo Barbero da Hauser & Wirth, fino al 12 aprile 2020
Ciao Luca Massimo,
benvenuto al Motel Nicolella. É un grande piacere averti mio ospite.
Mi è arrivata questa notizia incredibile che stai curando per Hauser & Wirth, una delle gallerie d’arte più importanti al mondo, un’esposizione globale dedicata all’artista italiano più famoso all’estero dai tempi del Rinascimento: Lucio Fontana.
La prima, dedicata agli Ambienti, è attualmente in corso a Los Angeles, mentre quella sulle sculture (H&W a New York) e la retrospettiva della sua carriera (H&W a Hong Kong) avranno luogo nel 2021.
Innanzitutto congratulazioni, pochi meglio di te attualmente in circolazione avrebbero potuto affrontare una sfida del genere.
Una sfida, un grande onore e una importante opportunità: far capire a livello mondiale la portata del suo pensiero precursore e innovativo. Soprattutto in questa prima mostra degli Ambienti, che hanno anticipato di decenni il lavoro su ricerche spaziali, concettuali e immersive.
Al netto dei tanti approfondimenti che sono stati fatti sul suo lavoro negli ultimi 50 anni, perché secondo te è così grande ed importante la ricerca di Fontana?
Negli ultimi 15 anni si è avvertita la necessità di riscoprire l’opera di Fontana, indagandone le varie sfaccettature. L’opera di Fontana che la vecchia critica legava ai movimenti e alle ortodossie era – e oggi possiamo dire per fortuna – sfuggita a ogni etichetta e ad ogni moda.
Ciò è stato possibile per il grande lavoro che a partire dagli anni Cinquanta ha compiuto Enrico Crispolti (quando Fontana era in vita, lavorando anche a contatto diretto con lui) una figura imprescindibile e soprattutto uno studioso profondo, attento e vitale che ha letteralmente traghettato Fontana attraverso i decenni, non imbalsamandolo ma esaltandone proprio l’inventività e la continua attualità.
Insieme alla Fondazione Fontana e ad una serie continua di studi e catalogazione generali, Fontana è arrivato alle nuove generazioni di storici dell’arte – e di artisti – nella sua pienezza, nella sua varietà e soprattutto nella possibilità di un’indagine nuova che non fosse semplicemente antologica ma bensì che rivelasse di volta in volta uno degli aspetti multiformi della sua ricerca straordinaria.
Studiare Fontana è come scoprire ogni giorno un aspetto nuovo, è una sorta di meravigliosa geologia spaziale dove emergono sempre materiali ignoti, invenzioni straordinarie e nuove serie di opere che analizzate in modo più profondo oggi si rivelano anticipatorie e sicuramente questa degli ambienti ne è una straordinaria.
Gli ambienti di Fontana sono certamente una declinazione estremamente suggestiva del suo lavoro, ne ha esposti pochi però in vita, in che cosa consistono? È un po’ come immergersi nelle sue opere?
Gli ambienti sono meravigliose macchine sensoriali immersive. Sono in qualche modo meravigliosi anche se molto semplici tecnicamente e, in fondo, anticipano quelle avventure degli anni Settanta americane ed europee poi proprio di immersione nell’ambiente. Ma la cosa curiosa per Fontana è che ognuno di questi ambienti è concepito come uno spazio effimero e quindi hanno la freschezza del momentaneo, l’immediatezza, qualcosa che passa in fondo. A differenza delle installazioni costruite per durare, in muratura, quelle di Fontana sono più vicine e hanno in fondo il solo scopo di mettere alla prova la percezione umana ed emozionare.
Fontana da subito ha concepito l’opera con un occhio attento all’ambiente; negli anni Trenta sente ed è incline a quella ricostruzione futurista dell’universo e al dinamismo boccio-niano che, contrariamente agli altri, fa suo con nuova forma e materia, concependo anche la transitorietà dell’oggetto e la forza dell’idea.
Già in Argentina nel 1946 scrive e compie opere dalla vocazione ambientale. Non dimentichiamo proprio nel Manifesto Blanco che egli porta con sé nel ‘47 come una sorta di documento esplosivo nell’Italia del secondo dopoguerra si parla di suono, luce, movimento e immersione dell’uomo in un nuovo spazio. L’Ambiente Spaziale a luce nera del 1948-49 è quindi non solo la prima opera spaziale ma anche un gesto rivoluzionario: una galleria vuota senza nulla da vendere dove il visitatore non è più colui che guarda ma che vive immerso in questa nuova dimensione di spazio e anche esistenziale.
Fontana sapeva fare tutto: dipingere, scolpire, immaginare il futuro. In quale disciplina secondo te ha fatto centro per consacrarsi?
Tutta la sua arte, dagli ambienti alla ceramica, pittura, tele, rappresentano il destino dell’uomo e la sua fede nel futuro.
Questa trilogia di mostre affronta appunto tutti gli aspetti di Fontana (se possibile!) e analizza la sua continuità al di là dell’idea di arte. Lui stesso scrive di sé “pittore o scultore astratto o realista”. È questa poliedricità applicativa nelle tecniche che lo rende unico. Ad esempio, a differenza degli artisti che si rivolgono al-la scultura, Fontana materializza un’idea che è sempre plastica ma soprattutto dà corpo ad un concetto che è quello dello spazio vitale, nuova dimensione. E lo fa da scultore -non da ceramista – con quella incredibile velocità di comunicazione tra cervello e mano che lo contraddistingueva.
Fontana è sempre una sorpresa ed è proprio questo suo essere poliforme che lo rende vitale. Penso appunto alla riscoperta delle sue opere degli anni Trenta, quando era già un giovane maestro, le tavolette in cemento graffito, la straordinaria collaborazione con l’architettura, le sculture già informali alla fine di quegli anni e poi l’avventura dello Spazialismo che, tra l’altro, è un movimento che sta emergendo sempre più nella sua forma libera e aperta. Fontana è un genio, ma un genio modesto. Straordinario e scandaloso, ma mai meramente provocatorio. Il suo messaggio è legato ad una fede nel futuro nella tecnologia e nel concepire l’opera come una sorta di luogo depositario dell’idea. Non a caso già negli anni Quaranta, i suoi “buchi” e poi via via le sue creazioni plastiche e pittoriche si titolano Concetto Spaziale.
Dietro ai suoi dipinti si trovano sempre delle frasi, che adoperava per autenticarli e per ricordare quando l’opera era stata eseguita, qual è la tua preferita?
Sono tutte testimonianze straordinarie perché tracciano il fluire del pensiero e del sentire quotidiano di Fontana. Ci restituiscono dediche agli amici e ai collezionisti, ri-flessioni sulla sua poetica, commenti sul mondo dell’arte (come “Che barba con il POP ART”) e battute ironiche sulla sua opera come “Fontana! piantala di fare i tagli” e “io sono un santo / io sono una carogna”, il caso più famoso: la scritta, che recto-verso, assume una valenza titolante.
C’è questa forte duplicità nell’utilizzo della parola scritta nelle sue opere, che oscillano tra il forte concettualismo e la semplice quotidianità. Ad esempio, le frasi nei disegni di Fontana hanno un significato, rappresentano un’idea, sono appunti e registri work in progress, in cui appunta le diverse possibilità. Questo perché i disegni erano molto più personali, non destinati alla visione, tantomeno alle gallerie. Quando si legge una frase sulle tele, vediamo che è molto meno concettuale. Sono pensieri liberi, di vita quotidiana, scritti dopo che aveva finito un lavoro. Una sorta di diario in-timo e inconscio, registrato dalla sua “mano volante”, quel dono straordinario di cui era in possesso.
Ma quando penso ad una frase di Fontana mi viene in mente subito la sua ricorrente “credo all’intelligenza dell’uomo, è l’unica cosa in cui credo“. Nel suo pensiero, questa frase contiene insieme il timore per l’ambiente, per il mondo, insieme alla fede e all’ottimismo per il futuro, alla fede nella tecnologia, che in fondo è credere nell’intelligenza dell’uomo come unico, possibile futuro.
Con questo spirito, le generazioni degli anni Cinquanta lo consacrano come maestro; penso alla grande ammirazione di Gruppo 0, di Azimuth dove Castellani e Manzoni ne fanno pietra miliare per la ricerca del XX secolo. Ma anche per gli americani e i giovani francesi, Fontana, ancora oggi è un mentore.
Il suo messaggio sempre valido, è aperto e attuale, positivo e ottimista nei confronti delle nuove generazioni che lo stanno scoprendo come uno dei padri e pionieri della ricerca dell’arte contemporanea.
Lucio Fontana Walking the Space:
Ambienti Spaziali, 1948 – 1968
a cura di Luca Massimo Barbero
in collaborazione con Fondazione Lucio Fontana
Hauser & Wirth Los Angeles
North A, B, and East Galleries
13 febbraio – 12 aprile 2020
Apertura al pubblico: sabato 15 Febbraio, ore 15-19