Francesco Pozzato è nato nel 1992 e da alcuni anni vive e lavora tra Vicenza, sua città natale, e Venezia. Dopo aver completato gli studi in Teatro e Arti Visive all’Università IUAV di Venezia, si iscrive a Storia del Mediterraneo Antico e Medievale all’Università Ca’ Foscari di Venezia. La sua ricerca artistica analizza alcuni aspetti peculiari e nascosti dell’Antico e li rapporta all’epoca contemporanea creando connessioni temporali insolite.
Cosa significa essere un artista e quali differenze noti fra i tuoi esordi e oggi?
Ho cominciato a fare arte più o meno nel 2017 e, grazie a insegnanti come Liliana Moro, mi sono avvicinato alla pratica contemporanea lasciandomi alle spalle gli studi e le precedenti esperienze in campo teatrale. Inoltre, sono da sempre appassionato di studi storici, in particolare di Storia antica, e quindi devo ammettere che i miei inizi sono stati un po’ confusi e ibridi. Negli ultimi anni ho fatto chiarezza, riuscendo a inglobare le mie passioni: accanto alle collezioni dei grandi musei archeologici ora, per me, esistono anche quelle di arte contemporanea. Forse è stato proprio questo a farmi capire che direzione artistica stava prendendo il mio lavoro e la mia figura di artista.
Quali tematiche trattano i tuoi lavori e che progetti hai in programma?
Ho uno spiccato interesse per l’Antico, che forse può definirsi come una vera e propria ossessione, da intendersi come l’arco temporale di 12.000 anni che inizia, all’incirca, con l’ultima glaciazione. Essendo la Storia la tematica centrale di tutta la mia ricerca artistica, cerco di mantenere uno sguardo critico e analitico che prenda in esame fatti, dati e reperti archeologici, permettendomi di offrire una narrazione del passato per quello che è realmente e non per quello che molti pensano sia. Mi servo della Storia per riflettere e proporre uno sguardo nuovo sul presente, come se fosse una cronaca alternativa del contemporaneo. Cerco di rivelare e rielaborare le conoscenze che ho appreso rappresentandole con il mio esito formale e concettuale. Sicuramente sono affascinato dalla prime civiltà, in particolar modo dalla loro cultura, dall’uso delle loro tecnologie e dal loro modo di interpretare il presente. Sono consapevole di avere, al momento, un interesse storico ristretto al territorio occidentale, come lo intendiamo oggi.
In questo periodo sto lavorando su più fronti. Mi sto concentrando su un nuovo progetto a metà tra arte contemporanea e paleografia, in particolare vorrei riuscire, con l’aiuto di paleografi professionisti, a evidenziare l’evoluzione alfabetica alto medievale attraverso una serie di installazioni. Parallelamente sto sviluppando anche un altro lavoro, avvalendomi del mezzo fotografico, connesso alla realizzazione del catalogo della mia personale dell’anno scorso, In this sign, you shall lose – Schio, 2019.
Come ti rapporti con la città e il contesto culturale in cui vivi?
Io mi muovo tra Vicenza, dove vivo, e Venezia, dove studio. Il rapporto che ho con le due città è molto diverso: Venezia è un po’ come il mio vaso di Pandora, Vicenza è dove sono nato. Fin da piccolo il palladianesimo mi ha permesso di capire l’importanza e la responsabilità che il monumento storico ha con lo spazio e il contesto. In un certo senso posso dire di aver imparato, in questa città, che cos’è la bellezza, intesa come simmetria e armonia ragionata. Vicenza è in qualche modo metafora di misura e qui ho potuto trovare la mia dimensione personale. Proprio per questo ho deciso, insieme ad altri quattro artisti – Martina Camani, Stefan Milosavljevic, Fabio Ranzolin e Gianna Rubini – di condividere li uno spazio-studio, Il Salotto.
Cosa pensi del “sistema dell’arte contemporanea”?
Penso che il sistema dell’arte contemporanea sia un sistema molto complesso, difficile da definire in poche righe. Credo che ogni artista viva questo “mondo” in base alle proprie necessità, per questo mi sento di includere anche altro: dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli alle Terme di Diocleziano. All’interno della mia ricerca, “contemporaneo” può essere anche un reperto del 1200 a.C., dato il valore relativo del tempo nel mio lavoro.
Di quale argomento, oggi, vorresti parlare?
Adorerei approfondire il fenomeno delle “monete incuse” magnogreche. A partire dal VI secolo a.C. in Magna Grecia si afferma un modo particolare di coniare le monete d’argento: il tipo di rovescio è esattamente il medesimo del diritto, presentandosi però in negativo. Quello che altrove, in altre monetazioni, viene classificato come un errore, qui viene presentato come particolarità e innovazione divenendo un fenomeno squisitamente locale del meridione italiano.
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Questo contenuto è stato realizzato da Giorgia Bergantin per Forme Uniche.