La mostra Buona Fortuna di Diana Lelonek riflette sulla deriva del nostro sistema produttivo. Visitabile fino al 9 aprile, l’esposizione è curata da Jakub Gawkowskialla Fondazione Cerere di Roma.
L’oscurità non è mai stata così densa e profonda come quella che oggi si percepisce cingere i contorni del mondo, atterrati in un pozzo senza ritorno. Lo smog ha interamente ricoperto il globo terrestre e il fumo ha steso il suo velo sulla verità rendendola inaccessibile. L’urgenza di intraprendere un’azione collettiva è reale e tangibile, così come ancor prima è vitale curare l’indifferenza e la noncuranza del genere umano. Il proposito è arduo, ma la buona volontà e l’impegno a volte ripagano.
L’artista polacca Diana Lelonek sviluppa la sua ricerca artistica sulle derive di un sistema produttivo corroso, ormai al suo termine. La personale Buona Fortuna, curata da Jakub Gawkowski e fruibile fino al 9 aprile, prende corpo nei diversi spazi della romana Fondazione Cerere e si può dire a buon diritto che tale evocazione si materializza in tutto il suo fascino e la sua potente forza espressiva. Nella prima parte del percorso l’immediatezza della luce bianca artificiale penetra con finezza e decisione ogni anfratto e angolo dello spazio, agendo una funzione investigativa e catalizzatrice, che sfocia in un effetto fortemente catartico avvinandosi all’ultima sala in penombra. Incessante volontà di ricerca, esigenza di classificare e necessità di trovare il filo rosso che lega le simmetrie e le coincidenze della vita convergono in un comune destino nelle tre opere sottoposte alla chiarezza del candore lunare.
Yesterday I Met a Really Wild Man, Zoe-Therapy e Center for the Living Things condividono un esplicito processo di catalogazione e il desiderio di trasformazione. Se, infatti, nelle foto dei naturalisti poste una accanto all’altra di Yesterday I Met a Really Wild Man si assiste alla mutazione nella sua fase iniziale, in Zoe-Therapy la trasfigurazione è completa, e l’identità dei filosofi scompare tra i fili d’erba degli organismi vegetali. Mutanti e creature da favola invadono lo scenario generando meraviglia mista a inquietudine, poiché nei loro contorni si perdono le fattezze dell’universo conosciuto e la loro comparsa preannuncia il ritorno a quel mitico mondo originario, primordiale e pre-umano.
Campanello d’allarme è Center for the Living Things che inverte la prospettiva, e l’immaginazione si concretizza in realtà: oggetti abbandonati vengono invasi da forme organiche naturali e mutuati in ibridi erbacei. L’ibridazione genera entità chimeriche vegetali, nuove forme di vita eterogenee che entrano nel pantheon delle specie viventi, pronte a soppiantare i loro rivali, a mettere ordine al caos causato dell’incuranza umana e a prendersi la loro rivincita. Le possibili conseguenze e gli effetti di una sovrapproduzione sfrenata e di un azione globale finalizzata solo al riscontro economico sono evidenti e culminano nella sala in penombra con Melting Gallery. Una volta entrati si è travolti dal suono di una pioggia scrosciante che lava ogni pensiero e purifica la mente, ma in sottofondo l’improvviso rumore basso e profondo, come di una rottura o distaccamento, svela la realtà della provenienza del suono. Non si tratta di pioggia ma della voce di tre ghiacciai della regione industriale della Slesia, registrati nell’atto del loro scioglimento. Lelonek ferma l’urlo di una vera e propria catastrofe ecologica e lo ripropone in un tutta la sua drammaticità. Il boato della frammentazione è un monito sonoro che in loop continua a riecheggiare nella mente e nei cuori di chi l’ode. Il doloroso dialogo tra i ghiacciai non è solo immersivo ma anche penetrante: l’installazione sonora risulta così magnetica e totalmente suggestiva.
Proseguendo nella seconda parte dell’esibizione si scende nel mistero preservato dall’oscurità, in una discesa verso gli inferi simile a quella intrapresa da Orfeo per salvare Euridice. Nell’attiguo e sotterraneo Spazio Molinari si snoda una inattesa rete di cunicoli e stanze ospitanti Barbórka, installazione che ripercorre, in una sorta di reminiscenza a ritroso, la festività di Santa Barbara, protettrice dei minatori, celebrata nella regione dell’Alta Slesia dove l’artista ha vissuto la sua infanzia. Per l’occasione la statua sfila in processione e con lei l’orchestra dei minatori. Riappropriandosi dell’evento l’artista mette in scena una ricostruzione alternativa, in cui partecipa la natura con il ruolo di protagonista. Così alla statua della santa si sostituisce un’essiccata scultura arborea sorprendentemente evocativa che non solo richiama il passato del sito minerario ma che si ricollega anche alle radici di un lontano culto pagano della terra e della natura. Il sincretismo religioso si mescola al folklore e al rito realizzando un’opera carica di senso e suggestione che invita a vivere un tempo più lento e naturale, un’ora di contemplazione e di pacatezza, un secondo eterno in cui l’armonia pervade ogni entità fisica connettendola all’origine del tutto. Accompagna la reliquia un concerto distopico che riecheggia assordante tra le mura del sotterraneo; a tratti quelle stesse mura appaiono come le pareti della miniera.
L’artista costruisce una vera e propria esperienza extrasensoriale nella quale la presenza della marcia – composta da Bartosz Zaskórski e suonata il 4 dicembre 2019 dall’orchestra dei minatori – diventa testimonianza tangibile della fine di un’epoca di sfruttamento indisciplinato delle risorse terrestri, proiettandoci verso nuove soluzioni sostenibili in linea con i desideri e le necessità di una nuova ora che guarda contemporaneamente sia al passato sia al futuro, riconnettendosi alle origini ancestrali della madre terra e immergendosi nella speranza di un domani idilliaco. Lelonek, passo dopo passo, svolge un indagine vitale mostrando gli effetti e le possibilità di un cambiamento reale. L’analisi richiede visibilità e chiarezza, attenzione al dettaglio, scomposizione, colpo d’occhio e rielaborazione ma per conoscere il mistero della verità è necessario anche un atto di fede e di coraggio. La dialettica luce/ombra e natura/artificio scandisce il ritmo dinamico dell’esposizione; il tempo dilatato insegna l’importanza di ricollegarsi all’armonia della natura, al suo ciclo e al suo incedere per ritrovare se stessi, le proprie radici e i propri ritmi in un agire più consapevole e compassionevole verso la vita in tutte le sue forme.
Questo contenuto è stato realizzato da Erika Cammerata per Forme Uniche.