La presenza alle Gallerie d’Italia di Napoli del Martirio di Sant’Orsola di Michelangelo Merisi (1571-1610), detto il Caravaggio, ultimo dipinto eseguito dall’artista lombardo, fornisce l’occasione per creare approfondimenti ed eventi espositivi su temi legati alla sua opera e alla sua fortuna.
Interessante è la mostra-dossier, dal titolo David e Caravaggio. La crudeltà della natura, il profumo dell’ideale, allestita nelle sale di Palazzo Zevallos-Stigliano, sede della Banca Intesa-Sanpaolo, fino al 19 aprile 2020. Fonte di ispirazione è l’opera nella basilica reale pontificia di San Francesco di Paola in piazza del Plebiscito a Napoli, una copia molto fedele del capolavoro del Merisi, la Deposizione nel sepolcro, oggi conservata ai Musei Vaticani, ma in origine nella chiesa di Santa Maria in Vallicella a Roma. Questo quadro di grande qualità è stato realizzato nel 1824 dal pittore napoletano Tommaso De Vivo, quando l’originale, requisito per entrare a far parte delle prestigiose collezioni del Musée Napoléon, era rientrato a Roma e trasferito nelle raccolte vaticane.
Michelangelo Merisi, pur non godendo di considerazione da parte della storiografia artistica e della critica, catturava, invece, l’attenzione dei pittori francesi, che in età neoclassica soggiornavano a Roma per un periodo di formazione. Tra questi ha avuto un peso decisivo Jacques-Louis David, nelle cui opere ritroviamo diversi e precisi richiami al pittore lombardo.
Il fulcro di questa mostra è il suggestivo confronto tra le copie della Deposizione nel sepolcro di De Vivo e La morte di Marat dell’atelier di David, una delle quattro repliche eseguite dagli allievi del maestro francese sotto la sua direzione. Si tratta del bellissimo dipinto proveniente dal Musée des Beaux-Art di Reims.
Ad accogliere i visitatori all’interno del percorso espositivo è la proiezione video La morte di Marat nel cinema, tra storia e citazioni. Il lavoro di montaggio prende le diverse trasposizioni cinematografiche del noto omicidio, firmata dai fratelli Lumiére nel 1897, a cui segue la celebre sequenza contenuta nel capolavoro impressionista del 1927 di Abel Gance, dal titolo Napoleon, e l’interessante riscrittura in chiave meta cine-teatrale di Marat/Sade di Peter Brock del 1966. Attraverso alcuni contributi come Charlotte Corday di Henri Helman del 2008 e La muerte di Marat di Patricia Belena del 2001, si focalizza l’attenzione su colei che si rese responsabile dell’omicidio dell’agitatore giacobino.
E’ un assassinio legato al contesto storico della Rivoluzione francese con sequenze tratte da film in costume come Le due orfanelle di David Wark Griffiths del 1921, La nobildonna e il duca di Erich Rohmer del 2001 e Marie Antoniette di Sofia Coppola del 2006. Il montaggio si conclude con una “carrellata” citazionista di alcuni film contemporanei, all’interno dei quali l’iconografia della morte di Marat ha svolto un ruolo icastico dirompente: da Il Padrino parte II, di Francis Ford Coppola del 1974, passando per Le regole dell’attrazione di Roger Avary del 2002 e Imago Mortis di Stefano Bessoni del 2009, fino ai grandi blockbuster come Sherlock Holmes di Guy Ritchie del 2009.
La tela originale di David, conservato ai Musées royaix des Beaux-Arts di Bruxelles, eseguita nel 1793 sull’onda dell’emozione suscitata dal brutale assassinio da parte di una donna fanatica, Charlotte Corday, è stata dipinta dall’artista come omaggio a un uomo integerrimo che aveva speso tutta la sua vita per difendere gli ideali repubblicani. L’evento tragico si svolge in una dimensione metafisica dove risalta il severo stile di vita e la nobiltà di questo martire laico. Il pittore ha paragonato la morte del politico a quella di Cristo, recuperando un sentimento religioso ancora diffuso in Francia, ispirandosi alla Pietà vaticana di Michelangelo, alla Deposizione di Raffaello della Galleria Borghese e alla Deposizione di Caravaggio. Non si tratta di una semplice ripresa della posa, ma dello stesso modo di rendere i volumi e la luce, avendo in comune un realismo idealizzato che costituisce la cifra e la poetica dei due artisti. La suggestione di Caravaggio ritorna in molte altre opere dell’artista francese anche di carattere mitologico come il magnifico Cupido e Psyche del 1817 del Museo di Cleveland, dove è evidente la ripresa dell’Amore vittorioso del grande maestro della Gemaldgalerie di Berlino.
Su incarico della Convenzione Nazionale furono eseguite diverse repliche de La morte di Marat nell’atelier di David, come modello alle manifatture degli arazzi di Gobelins. Nella versione conservata al Museo del Louvre e quella esposta in mostra a Palazzo Zevallos a Napoli non vi è la dedica del pittore al politico francese presente nell’originale, ma una frase ispirata a Tacito, che allude ad un discorso pronunciato da David alla Convenzione. Il biglietto che Marat tiene in mano, invece, contiene la stessa frase sia nell’originale che nella versione in esposizione.
Questa pratica delle copie realizzate nel suo studio trova legittimazione nelle convenzioni estetiche di David, che assegnava all’esecuzione materiale un valore secondario rispetto all’ideazione del dipinto. Per questo motivo dava spazio, anche nelle opere autografe, soprattutto quelle di grandi dimensioni, all’intervento dei collaboratori, facendo eseguire repliche dei suoi dipinti più famosi, come avverrà nuovamente nel caso del Napoleone che valica le Alpi al Gran San Bernardo.
Alle due opere principali di De Vivo e David, si alternano altre tele, tra cui La morte di Seneca del pittore francese, di cui al Museo Petit Palais di Parigi, si conserva insieme alla versione esposta a Napoli anche un bozzetto realizzato nei suoi anni giovanili. Con questo dipinto partecipò, senza vincerlo, al concorso bandito dall’Accademia delle Belle Arti di Parigi per il cosiddetto Prix de Rome, la cui vittoria gli avrebbe consentito di ottenere una borsa di studio con cui trascorrere tre anni a Roma. Anche se lo stile, che risente ancora della pittura rococò contemporanea, è molto diverso da quello della produzione successiva, vi è un potente senso del dramma e soprattutto il tipico motivo davidiano della contrapposizione tra lo stoicismo maschile e la sensibilità femminile che contraddistinguerà i capolavori della maturità. Egli rappresenterà con una forza e una immedesimazione straordinaria un soggetto simile nella tela raffigurante La morte di Socrate del 1787, presente in mostra una stampa, l’originale è al Metropolitan Museum di New York. Vi si trovano una verità storica e una commozione derivate dalla attenta lettura del dialogo di Platone nel Fedone, dove sono descritti gli ultimi momenti di questo altro martire della libertà. Sempre al filosofo greco si è ispirato anche Canova, che rappresenta con una potenza drammatica priva di ogni retorica il congedo dal mondo di colui che viene celebrato come il “Santo della ragione”.
La Buona Ventura datato 1824, è considerato uno degli ultimi quadri di David. La scelta di questo tema può sembrare un omaggio a Caravaggio che lo ha trattato due volte nei dipinti conservati alla Pinacoteca Capitolina e al Museo del Louvre. Non è da escludere che egli si sia voluto confrontare con un soggetto piuttosto ricorrente nella pittura tra Seicento e Settecento, ritornato di attualità anche nell’Ottocento, come dimostra l’opera contemporanea del suo allievo Jean-Victor Schnetz, intitolata, L’infanzia di Sisto V, del Musée des Beaux-Arts di Arras, di cui è presente una stampa. Vi è rappresentata una zingara che predice un luminoso futuro ad un bambino di nome Felice, destinato a diventare un grande pontefice. Rispetto alla dimensione aneddotica di questa scena di vita popolare ambientata nella campagna marchigiana e descritta nei minimi dettagli, risalta l’essenzialità del dipinto di David contraddistinto da una potente stesura pittorica caratterizzata dal motivo a lui caro del non finito. Il pittore ha ripreso l’episodio nell’antichità, rappresentando in tutta la sua serena nobiltà una matrona romana mentre tende la mano all’indovina che sembra assorta nella sua misteriosa funzione. La posa della protagonista richiama anche quella di una Vergine annunciata e conferisce all’immagine una dimensione universale di riflessione sulle alterne vicende della vita umana.
La Deposizione nel sepolcro di De Vivo, invece, venne acquisita da Ferdinando I di Borbone, re di Napoli, per la perfetta somiglianza all’originale, così da “servire ai giovani studenti per imitare la forza e la originalità del pennello di quel gran Maestro”, parole che attestano un apprezzamento del tutto insolito in quel periodo per la peculiarità della pittura di Caravaggio.
La mostra è arricchita da alcuni capolavori come i volumi dei primi decenni dell’Ottocento dedicati alle raccolte vaticane. Un ulteriore spunto di riflessione a conclusione del percorso espositivo è l’attenzione rivolta a Jacques-Louis David da parte dello scrittore Charles Baudelaire che nell’articolo Le musée classique du bazar Bonne Nouvelle, pubblicato sulla rivista “Corsair-Satan” del 21 gennaio 1846, quando l’artista perse popolarità e prestigio, gli rese omaggio ritenendo la tela La morte di Marat un “poema inconsueto”, scrivendo un’analisi del dipinto destinata a rimanere un riferimento celebre.