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Storia della misoginia. Il progetto fotografico di Laia Abril che ha vinto il Foam Paul Huf Award 2020

Hippocratic Betrayal, 2016, On Abortion © Courtesy Laia Abril & Galerie Les filles du.
Hippocratic Betrayal, 2016, On Abortion © Courtesy Laia Abril & Galerie Les filles du.

Malintesi, verità scomode, tabù. Questi i temi affrontati dalla fotografa spagnola Laia Abril, che con il progetto The History of Misogyny si è aggiudicata il Foam Paul Huf Award di quest’anno.

È dal 2007 che FOAM, Museo della Fotografia di Amsterdam, organizza il Paul Huf Award, premio dedicato all’omonimo fotografo olandese scomparso nel 2002. Acclamato a livello internazionale, il concorso ha lo scopo di supportare e offrire visibilità ad artisti emergenti under 35. A vincere la 14° edizione è Laia Abril con The History of Misogyny (Storia della misoginia), progetto a lungo termine composto da Chapter one: On Abortion (Capitolo uno: Sull’aborto) e Chapter two: On Rape (Capitolo due: Sullo stupro). In concorso con altri 95 artisti, Laia Abril è stata selezionata da una giuria composta da Elena Navarro (fondatrice di FOTOMÉXICO), Yasufumi Nakamori (curatore della Tate Modern), Joachim Naudts (curatore di FOMU), Jenny Smets (curatore indipendente) e Hans Gremmen (fondatore di Fw:Books).

Photonovel of Marta, 29, Poland © Laia Abril

Laia Abril, fotografa spagnola con base a Barcellona, non è certo estranea ai temi delicati, meglio ancora se tabù. In passato ha già esplorato la bulimia, la comunità asessuale o la morte prematura di un bambino. Così, Sull’aborto incrocia passato a presente per dimostrare come nulla vada mai dato per scontato. Partendo da un dato tanto tragico quanto ignorato, ovvero il fatto che ogni anno circa 47mila donne muoiano a seguito di un aborto illegale, Laia Abril getta luce su storie di donne che hanno dovuto fare i conti con un’esperienza traumatica di aborto. Attraverso un bianco e nero pulito ed essenziale, la fotografa ritrae i volti delle sue protagoniste accostandoli a elementi significativi della loro esperienza. Come isolati in un laboratorio asettico, gli oggetti dei suoi scatti emergono in tutta la loro brutale verità. Quel che ne risulta è un progetto che non riflette sull’aborto in sé quanto sulla condizione delle donne che, non avendo accesso a un’assistenza medica gratuita e sicura, sono costrette a mettere in pericolo la propria salute mentale e fisica per esercitare quello che in molti paesi non è ancora considerato un diritto a tutti gli effetti.

Chastity Belt, 2019, from the series Historical Rape, On Rape. © Laia Abril

Altrettanto forte e conturbante il capitolo due, Sullo stupro. Il lavoro è ispirato a un fatto di cronaca accaduto a Pamplona nel 2016, in cui una diciottenne venne stuprata e filmata da cinque uomini. Il fatto fu seguito da un lungo processo in cui gli imputati tentarono di dimostrare come il rapporto fosse consensuale, spostando l’attenzione del processo sul comportamento della donna. Laia Abril ha perciò scelto di indagare miti e malintesi nati intorno al concetto di stupro, concentrandosi sul discorso della colpevolezza delle vittime. Anche qui, immagini statiche ed essenziali in bianco e nero isolano oggetti che parlano da sé. Come ad esempio il vestito da sposa indossato da Alina, studentessa ventunenne vittima della pratica dell’ala kachuu, una forma di rapimento della sposa ancora praticato in Kirghizistan. O ancora, lo scatto che ritrae l’uniforme militare indossata da Meredith, una soldatessa americana costretta in una relazione sessuale con il suo ufficiale comandante.

Ala Kachuu (Bride Kidnapping), Kyrgyzstan, 2019, from the series Power Rapes, On Rape. © Laia Abril

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