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Storie da Melfi: il sarcofago di Rapolla e l’ultima Roma imperiale

Il sarcofago di Rapolla, una delle testimonianze più vivide dell’età imperiale romana del II secolo d.C., accoglie il visitatore all’interno del castello Normanno-Svevo della di Città di Melfi. E’ proprio qui che nel 1231 Federico II di Svevia promulgò le Costitutiones Augustales, il codice legislativo del Regno di Sicilia.

Il monumento funebre, dedicato alla memoria di Emilia Scauro, figlia di un patrizio Romano, fu rinvenuto nel 1856 lungo il percorso della Via Appia, nel territorio di Rapolla, vicino i resti di una villa Romana. Il sarcofago, dalla colorazione candida e dalla imponente bellezza classica, è giunto ai nostri giorni in ottimo stato conservativo. Sul Kline vi è adagiata la statua della giovane defunta, reclinata su di un fianco, con ai suoi piedi i resti delle zampe di un cane a simboleggiare la fedeltà, immagine che riporta alla memoria Jacopo della Quercia ed il suo monumento funebre a Ilaria del Carretto. Interessante è l’acconciatura dei capelli della donna, ordinati e raccolti in forma ondulata, tipico costume dell’epoca.

Al di sotto del letto marmoreo vi è riprodotto un colonnato in stile corinzio, formato da edicole nelle quali sono presenti, in tutto lo splendore classico, eroi e protagonisti della guerra di Troia. Ritroviamo così quindici statue, rispettivamente cinque nei lati lunghi, tre nel lato breve sinistro e due sul lato breve destro, con al centro riprodotta la porta dell’Ade a simboleggiare il passaggio tra il regno dei vivi e quello dei morti.

Nel lato sinistro si possono ammirare le statue di Elena, Ulisse e Diomede a ricordare verosimilmente l’episodio del ratto del palladio nella guerra di Troia. Cosi distante nella periodizzazione ma altrettanto vicino nella sua struttura, l’opera può essere considerata l’antesignana di Ilaria del Carretto e della Paolina di Canova. In un continuum temporale che unisce epoche tra loro lontane lungo un percorso, quello della via Appia, che restituisce capolavori indiscussi, in una terra, il vulture melfese, che ha dato i natali al grande Orazio.

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