Vorrei aprire questo pezzo spiegandone il titolo. Non intendo assolutamente parlare di come evolverà la comunicazione nel futuro prossimo, voglio invece provare a capire come sarà il futuro. Come ci parlerà. Il nostro futuro, nella fattispecie di noi che lavoriamo nell’arte.
Questo ultimo mese ha completamente stravolto una serie di asset che avevamo ben chiari e consolidati. Il mondo che ci attende alla fine del lockdown è ignoto, ma qualche aspetto sembra già chiaro: il digitale lo guiderà.
Alcuni di voi saranno stanchi di leggere queste cose, ma è bene farci i conti per tempo per non restare a bocca asciutta dopo. Ci sarà una marea di lavoro, nel dopo. Resta da capire come. Anche nel nostro settore, nel mondo dell’arte.
Vi sarete accorti che fiere come Art Basel, o grandi gallerie di cartello, hanno provato a convertire (in una maniera abbastanza raffazzonata) il business delle ultime settimane sul digital. Addirittura i musei hanno provato a offrire percorsi virtuali per raccogliere un minimo di attenzione, al netto delle devastanti perdite dovute all’ammanco in biglietteria.
Sapete cosa stanno facendo? Come lo chiamerebbero quelli che fanno comunicazione?
Brand Building 2.0
Il mondo del business, non solo quello dell’arte, ha ormai bisogno del digitale più che mai.
Nell’immediato si viaggerà certamente meno (fisicamente intendo, in aereo) e con molti più controlli. La rete dovrà mettere i ponti dove si sono venute a formare delle fenditure.
Chiunque, ognuno di voi, nel business contemporaneo può avere un’idea, e avere un accesso relativamente semplice al funding, con campagne di fundraising online ma anche attraverso investitori privati. Il costo del manufacturing si sta abbassando sempre di più, e si abbasserà ancora grazie alle nuove tecnologie (vedi stampante 3D). Si può andare direttamente al consumatore facendo leva sull’e-commerce, e poi creare un proprio ecosistema di comunicazione molto efficace facendo leva sui social media.
Tutte le barriere che le grandi gallerie e le fiere, ma anche le case d’asta, hanno sempre imposto negli scorsi decenni per recintare il loro business, oggi sono rase al suolo, grazie alle possibilità del digitale. I grandi brand dell’arte si ritroveranno a dover competere con una serie di nuovi arrivati che non solo creeranno problemi di market share, ma anche problemi di rilevanza. Nuovi artisti, nuovi modelli interessanti, con un appeal unico. Per la prima volta i grandi vecchi saranno costretti a dover innovare come mai hanno fatto. A costruirsi un nuovo brand, a creare delle soluzioni che siano sostenibili, diverse dal classico Playbook delle imprese. I grandi esperti di marketing hanno pochi dubbi, stiamo in un certo senso entrando in un’età dell’eccellenza.
Se tu oggi non crei qualcosa di unico, di eccellente, qualcun altro prima o poi lo farà per te.
Non c’è più spazio per le soluzioni mediocri con le barriere all’entrata. Servono soluzioni sostenibili dal punto di vista visivo, sociale, ecologico, emotivo, intellettuale. Le devono adottare gli artisti, i galleristi, quelli che organizzano fiere e anche le aste.
Attenzione, io credo che questo sia un messaggio molto positivo per il nostro mondo. Ci stiamo muovendo da un sistema in cui si creava un messaggio e lo si imponeva, a un altro dove i grandi vecchi non sono nemmeno più gli attori della conversazione, sono oggetti della conversazione, tra tutta una serie di persone online e offline.
E quindi? Come ci si guadagna il diritto di poter parlare al pubblico?
Facendo cose interessanti.
Tutto è e sarà potenziale contenuto. Andremo a creare esperienze che spingano le persone a prendere in mano il telefono e ricondividere quello che abbiamo creato, e solo per un motivo, perché gli è piaciuto.
Parleremo di un’arte che, essendo condivisa dal pubblico, sarà finalmente autentica, positiva e reale.