Mentre il giornalismo nostrano è impegnato senza sosta a raccontare la cronaca della diffusione del coronavirus, Gustav Hofer, corrispondente di Arte (televisione franco-tedesca tradotta in sei lingue) ha viaggiato da Roma a Milano, passando per Firenze e Bologna, documentando l’Italia sospesa che non siamo abituati a vedere.
Il risultato è un reportage in quattro puntate dal titolo Italia: viaggio nel cuore dell’epidemia, fatto di interviste, treni semivuoti, personaggi di strada; ma soprattutto di vedute mozzafiato, monumenti e statue celebri, edifici maestosi, la nervatura di bellezza inconsapevole di cui è fatta l’Italia.
Come in un moderno Grand Tour, Hofer parte dal centro di Roma, dove vive da tre anni. Davanti alla sua casa, tra il Quirinale e il Colosseo, il giornalista vede i locali storici chiusi, quelli che era abituato a frequentare e dove veniva accolto da gestori a volte anche molto anziani. Quale futuro per queste botteghe? Poi si reca alla stazione Termini e documenta i controlli stringenti agli ingressi, parla con i ragazzi del sud che cercano di far ritorno alle città d’origine. Ed ecco il treno che lo conduce a Firenze: tre persone in un intero vagone e una voce che spiega che il posto è a scelta del viaggiatore, purchè sia a debita distanza dagli altri.
Il Duomo fiorentino, le splendide vie attorno, i negozi chiusi: “un teatro senza attori”, li definisce Hofer, come uno dei tanti splendidi teatri italiani che rimangono vuoti in queste settimane. A Bologna, il reporter incontra il leader del movimento delle sardine, Mattia Santori, che interrompe l’isolamento per raggiungerlo in bicicletta; un bell’effetto Piazza Maggiore deserta dopo il pienone delle manifestazioni di qualche mese fa. Ma anche un’occasione per riflettere: sul virus e sul cambiamento climatico, due nemici invisibili, difficili da combattere. Infine Milano, Piazza Duomo. Nello spazio architettonico immenso e armonico, sul cui sfondo si staglia la facciata della basilica, solo una donna che dà da mangiare ai piccioni, “perché non c’è nessuno e anche loro hanno fame”, spiega. Alla fine del viaggio, è chiaro a tutti di che pasta siamo fatti noi italiani.