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Emergenza ambientale: tre fotografi che ne parlano in modo originale

© Wolf Silveri
© Wolf Silveri

Dalle case fluttuanti di un futuro in cui costruiremo rifugi per sfuggire alla catastrofe agli eco-attivisti accampati sugli alberi di una foresta minacciata dall’attività umana, fino agli oceani che trovano un modo per integrare i rifiuti umani nel loro habitat. Tre fotografi diversi fra loro che hanno trovato, ognuno, un modo originale per parlare di emergenza ambientale.

Oltre a costringerci in casa alternando gli abbiocchi a brevi picchi di ansia, come scrivono in tanti questa quarantena ci sta dando, per la prima volta, l’occasione di fermarci a riflettere. In particolare si sente parlare della tregua involontaria che stiamo dando alla natura: dalla nube nera che ha smesso di soffocare la pianura padana alle lepri che scorrazzano libere nei parchi, passando per le acque dei canali veneziani, diventate abbastanza limpide da vederci nuotare i pesci. L’emergenza Covid-19 ci ha costretti ad agire subito, a cambiare radicalmente e improvvisamente le nostre abitudini. Allora perché un’emergenza molto più grave e minacciosa come il cambiamento climatico non riesce a smuovere una grande percentuale di coscienze? Perché tutto ciò che non ci tange direttamente appare lontano, e meno pericoloso. E perché molta gente, benché consapevole del problema, non sa che nelle proprie mani ha l’enorme potere di fare la differenza. Ecco tre artisti che affrontano il tema ambientale, ponendo nel mezzo fotografico la speranza di indurre lo spettatore a riflettere. E ad agire.

© Néha Hirve

James Casebere

Non c’è nulla di più rilassante del guardare queste immagini pulite e impeccabili, in cui l’acqua limpida si riflette sui muri di edifici essenziali. Eppure, a un secondo sguardo, un senso di inquietudine prende il sopravvento: si tratta di costruzioni perfette ma spaventosamente vuote, e sul punto di essere sommerse dall’acqua. Proprio come il mondo che abbiamo costruito, ora minacciato da una natura che ha subito troppo. Partendo dall’assunto che il 40% dei gas serra è prodotto dagli edifici, James Casebere (Detroit, 1953) riflette sulla necessità di costruire e pensare in maniera sostenibile. Lo fa fotografano modellini creati con schiuma, vernice e intonaco in cui l’effetto dell’acqua è ottenuto tramite resina fusa modellata con una pistola termica. Il risultato sono istantanee da un futuro distopico in cui saremo costretti a costruire dei rifugi per salvarci dalla catastrofe ambientale, a cui comunque non riusciremo a sfuggire.

© James Casebere

Néha Hirve

Classe ’92, Néha Hirve lavora da anni sul rapporto uomo-ambiente. Tra i suoi progetti, la serie Full shade/Half Sun segue una comunità pseudo-hippie che si occupa di riforestazione in una delle zone più calde dell’India. La fotografa ne ha ritratto i membri come figure mistiche che incarnano divinità naturali, in perfetta sintonia con l’ambiente. Più recentemente, l’artista ha seguito per diversi periodi un gruppo di eco-attivisti nella foresta di Hambach, in Germania. Questa comunità cerca di impedire che il 10% di quel che è rimasto della foresta venga raso al suolo per permettere le attività della compagnia elettrica RWE. La serie si intitola light that is leaving, riferimento all’idea che sia ormai troppo tardi per porre rimedio ai grossi danni inflitti al pianeta. Hirve ha documentato da vicino la vita degli attivisti, che hanno costruito una vera e propria rete di case sugli alberi, con la speranza che, vedendo altri lottare, lo spettatore si senta ispirato fare altrettanto.

© Néha Hirve

Wolf Silveri

Fotografo freelance dal 2004, l’austriaco Wolf Silveri ha declinato i suoi ultimi progetti secondo il tema ambientale. Le persone sono ormai assuefatte alle immagini scioccanti, incapaci di stimolare azioni concrete. Ecco perché il fotografo mette in campo ironia e straniamento, giocando sul ribaltamento del punto di vista. Nel progetto We’ll Sea, pubblicato sul Washington Post, l’artista parte dall’assunto che nel 2050 ci sarà più plastica in mare che pesci per immaginare un futuro distopico in cui gli oceani proveranno ad integrare la plastica nel loro habitat. In The Way I see things invece, Silveri riflette sul maltrattamento che l’umanità ha inflitto al pianeta, spremendone le risorse fino all’osso. Tra i vari scatti che compongono la serie, quelli in cui il globo viene umanizzato, assumendo l’aspetto di un uomo allo stremo: ammanettato, accasciato a terra o nascosto dietro una mascherina.

© Wolf Silveri

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