Un libro racconta la storia della Disco Music e dei suoi protagonisti, da Giorgio Moroder a Donna Summer. “C’è vita dopo la disco?”
La storia della Disco Music racconta le origini, l’apice esplosivo e le trasformazioni che hanno portato questo genere a non passare mai di moda: in questo libro gli autori, Andrea Angeli Bufalini e Giovanni Savastano, hanno saputo infatti coniugare un lavoro di ricerca alla grande passione che li accomuna fin dall’adolescenza, quello per la musica disco.
È incredibile come la storia di un genere musicale, dall’ascesa al presunto declino, possa diventare un avvincente romanzo popolare costellato di brani che, inevitabilmente, sono stati la colonna sonora dei momenti più spensierati delle nostre vite. Chi non ha mai ballato sulle note di Staying alive dei Gee Gees? Chi può affermare di non aver mai ascoltato, anche solo per sbaglio, l’incipit al pianoforte di I will survive della mitica Gloria Gaynor?
Negli anni della sua esplosione mondiale la disco music era considerata, a torto, un genere superficiale, un mero prodotto commerciale studiato ad hoc per far ballare i più giovani e, chissà, distogliere il loro sguardo dalla realtà. Niente di più sbagliato: la disco music e la sua cultura sono tra le più vivide testimonianze di un periodo storico tanto controverso quanto brillante.
«A metà anni Settanta, quando eravamo adolescenti, la disco ci ha completamente conquistato – racconta Bufalini – È stato un genere innovativo, ha colpito direttamente la parte più “fisica” della nostra personalità: il ritmo, il coinvolgimento nel ballo, l’utilizzo di questi suoni nuovi per l’epoca. Suoni che potevano sembrare creati a tavolino ma in realtà erano un’evoluzione moderna della musica afroamericana, l’“afro rock”. Gli stessi musicisti che abbiamo avuto modo di incontrare e intervistare, negli anni Settanta non sapevano come definirla: per loro era esclusivamente un’evoluzione della musica afro ma con un groove in più, del soul, del funky e anche del jazz».
Uno dei punti di forza del genere, secondo Savastano, risiede proprio nella sua apertura alle influenze di altri generi preesistenti: «La disco ha usufruito della contaminazione di altri generi musicali, un vero e proprio melting pot, e per sua stessa natura è finita col contaminare tutto il resto. Ha rotto le barriere. Questa caratteristica ha prestato il fianco a molte critiche, ma anche dal punto di vista sociale la disco music è stato il primo genere musicale a unire diverse generazioni, classi sociali e culture».
E sfogliando il libro è chiarissimo come il pregiudizio della critica – in particolare quella italiana, sottolineano gli autori – non abbia reso onore alle origini e al valore di un genere che ha saputo riunire intere generazione sul celeberrimo dancefloor. Letteralmente. E quest’ostilità non riguarda solo l’élite intellettuale dell’epoca ma anche il mondo del rock, viene sottolineata in un brillante passaggio dell’introduzione a cura di Ezio Guaitamacchi: «Il fatto che una musica “machista” per eccellenza come il rock potesse essere stata sopraffatta da un genere i cui rappresentanti di spicco fossero donne, gay e persone di colore» non era un’idea facile da metabolizzare in quel contesto storico e sociale. Eppure il sorpasso da parte della disco arrivò e venne celebrato dalla celeberrima copertina di Newsweek, con Donna Summer raggiante e uno strillo (“Disco takes over”, “La disco prende il sopravvento”) che sancì il riconoscimento ufficiale di un genere la cui ascesa fu tanto discussa quanto esplosiva.
Il fatto che su quella copertina campeggiasse una sorridente e quasi sfrontata Donna Summer non è un caso: la storia della disco è costellata di grandi primedonne dall’immagine forte, provocante, orgogliosa. Savastano sottolinea come, anche nel rapporto tra uomini e donne, la disco abbia segnato un ulteriore e importantissimo passo in avanti, «liberando difetti il genere femminile da una sorta di costrizione legata al ballo: prima di questo genere, infatti, la donna doveva “essere invitata” dall’uomo a ballare, costruendo una sorta di rapporto di dipendenza dalla figura maschile; nella disco e con il dancefloor la donna va ballare da sola» e non necessita più di cavalieri che la preghino di concedergli un ballo.
Nonostante questo, all’epoca il genere fu criticato dal movimento femminista, che vedeva nelle esibizioni delle cantanti della disco una sorta di svilimento del ruolo della donna a mero oggetto del piacere maschile. Niente di più errato: basti pensare alla celeberrima Love to love you baby della già citata Summer: «La donna, con la Disco, diventa soggetto consapevole della propria sessualità e la esterna al mondo, affermando il suo essere ‘femmina’ e sfatando il tabù del sesso. Le femministe, ai tempi, presero un abbaglio», afferma Bufalini.
Dalle testimonianze raccolte nel libro – interviste, canzoni, estratti dai giornali dell’epoca – le cantanti emergono come delle vere e proprie “eroine”, figure iconiche e senza dubbio “aliene” all’immagine di performer a cui, almeno fino a quel momento, il pubblico era abituato. Figure che Francesco Vezzoli ha omaggiato con generosità nella performance “TV 70: Francesco Vezzoli guarda la Rai”, ospitata nel 2017 dal Cinema della Fondazione Prada a Milano.
«Nel libro abbiamo parlato di tre articoli pubblicati, nell’estate 1978, da TV Sorrisi e Canzoni. In questi pezzi Amanda Lear, Grace Jones e Donna Summer vennero raccontate, in maniera sarcastica e a volte eccessiva, da Luca Goldoni, Amanda Lear e Giovanni Arpinò. Proprio Goldoni prese un enorme abbaglio riguardo Donna Summer, una signora della canzone e non un “bluff”, una cantante nata da un pezzo creato a tavolino, come venne dipinta in quel pezzo», racconta Andrea Bufalini.
Gli fa eco il co-autore parlando di un’altra figura sopracitata, Amanda Lear: «Lear ha letteralmente “shockato” la cultura dell’epoca: era un personaggio completamente trasgressivo che ciononostante riusciva a farsi amare al contempo dalle nonne, dalle madri e dai ragazzini che compravano i suoi dischi. Riusciva a veicolare la “trasgressione” con grazia arrivando al nucleo familiare che era davanti al televisore e la guardava cantare canzoni provocatorie: The Queen of Chinatown, Follow me, Blood and honey…».
E la musica italiana? Fu “travolta” con la stessa dirompenza dalla disco e non cronologicamente impiegò molto -rispetto il successo iniziale negli Stati Uniti- a raggiungere le radio e i giradischi del Belpaese. Il primo brano di musica disco fu Nessuno mai di Giancarlo Bigazzi e Gianni Bella: a cantarla era la sorella del compositore, Marcella, che si era imposta due anni prima al Festival di Sanremo con un brano melodico e tradizionale come Montagne verdi. «Non dimentichiamo che Nessuno mai, oltre a essere il primo pezzo di disco italiana, fu anche un grande successo mondiale dei Boney M., che lo adattarono in inglese (Take the heat off me). I primi artisti italiani hanno rischiato incidendo dei pezzi disco: nessuno avrebbe potuto prevedere la fortuna del genere in Italia. In quel momento in cima alle classifiche c’erano i grandi cantautori come De André e De Gregori… Da parte degli italiani la risposta fu forte e in qualche modo inaspettata e, in qualche modo, fornì alla critica una buona occasione di attaccare aspramente il genere senza approfondirne minimamente le sue qualità», rimarca Andrea Angeli.
Quella della disco italiana diverrà, negli anni della “grande conquista”, una storia gloriosa: dai fratelli La Bionda agli Oliver Onions, passando per Gazebo, moltissimi autori e performer italiani balzarono in cima alle classifiche di mezzo mondo; per non parlare del vero Re Mida del genere, Giorgio Moroder, tra i compositori e produttori più acclamati e premiati della storia.
L’iniziale tiepida accoglienza del genere da parte della critica coinvolse anche il film che immortalò e consegnò alla storia del cinema uno dei più vividi ritratti del fenomeno delle discoteche e, più in generale, della società americana degli anni Settanta, La febbre del sabato sera. Un’istantanea – a tratti anche feroce – di una generazione di ragazzi cresciuti senza veri punti di riferimento, in cerca di un momento di gloria sulla pista da ballo e, chissà, di un punto di riferimento da seguire nella vita. Citando una dichiarazione di Lucio Dalla presente nel volume, «Il mondo che appariva nel film di Travolta era interessante almeno quanto la fabbrica. C’erano emarginati veri».
Nel libro, ricco di illustrazioni ricercatissime, gli autori scandagliano la storia della Disco Music senza tralasciare alcun dettaglio: le one hit wonder, i protagonisti, i luoghi di culto (tra cui il mitico Studio 54), la disco in salsa italiana e molto altro; al suo interno, tra le altre chicche, è possibile leggere le prefazioni scritte da Gloria Gaynor ed Amii Stewart, due vere e proprie icone del genere e le postfazioni di Mario Biondi e di Ivan Cattaneo.
L’epilogo del volume (edito da Hoepli) ha come titolo una domanda (in realtà una citazione di una copertina di Rolling Stone del 1978), ovvero: “C’è vita dopo la disco?”. A giudicare dal successo degli evergreen legati ai suoi anni d’oro e delle nuove -seppur rare- produzioni legate al genere, ci sarebbe da scommetterci: lunga vita alla disco!
Andrea Angeli Bufalini è un giornalista, critico musicale e scrittore, ha all’attivo pluriennali collaborazioni con varie testate musicali, tra cui “Radio & TV”, “Dance Music Magazine”, “Raro!”, “Musica & Dischi”, “Rockstar”, collana “Dance” di De Agostini Editore, “Classic Rock”, “RadioCorriereTV”. È co-autore, con Giovanni Savastano, del libro La Disco. Storia illustrata della discomusic (Arcana, 2014).
Giovanni Savastano è psicoterapeuta, docente e scrittore, nonché appassionato e cultore di musica, cinema e filosofia. Ha iniziato il viaggio nella scrittura con articoli e libri di psicologia; poi, dopo aver seminato qualche racconto breve per Feltrinelli e Giovane Holden, è saltato sui vagoni musicali, scrivendo sulle riviste “Musica e Dischi”, “Classix!” e “Classic Rock” e pubblicando, insieme ad Andrea Angeli Bufalini, il volume La Disco. Storia illustrata della discomusic (Arcana, 2014).