Osservando una delle numerose opere di luce di James Turrell, è quasi naturale domandarsi perché ne siamo così attratti.
È l’intensità dei colori? La bellezza delle forme create? Certo, ma non solo. L’artista statunitense ha un paio di assi nella manica molto efficaci per affascinare i propri spettatori: psicologia e scienza.
Non è molto noto che Turrell abbia, infatti, una prima formazione non da artista, ma da psicologo. L’arte è arrivata dopo la laurea in psicologia, quando decise, nel 1966, di aderire al neo formatosi movimento del Light and Space. Pur non proseguendo gli studi in psicologia, Turrell ha sempre fatto grande uso di ciò che ha imparato. L’ingrediente principale delle sue opere è la percezione, l’esito più evidente è l’utilizzo dell’effetto percettivo del ganzfeld nella famosa serie delle opere così denominate.
Tutto qui? Assolutamente no. Turrell, all’università, ha frequentato anche dei corsi di matematica, astronomia e scienza. La sua fascinazione per il cielo e le stelle, che lo accompagna dall’infanzia, si manifesta nella sua opera in itinere più recente: il Roden Crater, capolavoro di unione tra terra e cielo.
I suoi studi scientifici hanno un risvolto anche anatomico: Turrell ha studiato la conformazione dell’occhio e le onde cerebrali trasmesse dalla visione. Utilizza queste sue conoscenze a suo vantaggio. Negli Skyspace, gli basta cambiare il colore delle “finestre sul cielo” per influenzare i nostri fotorecettori e alterarne il colore del cielo; nei Ganzfeld, manipola e abbassa la frequenza delle onde cerebrali trasmesse dall’occhio per introdurre nello spettatore uno stato passivo, quasi di trance.
Alla fine, cosa rende così accattivanti – e quasi divertenti – le opere di James Turrell? L’esperienza percettiva unica che ci permettono di fare. Turrell quasi ci prende in giro, ci fa vedere cose che non ci sono, crea sagome tridimensionali con soli fasci di luce e ci immerge nel colore fino al punto di farci vedere il cielo viola o giallo. Ci mette davanti alle imperfezioni del nostro apparato percettivo e ci fa comprendere la relatività di tutto quello che vediamo. È esattamente questo che ci affascina: la possibilità di vedere qualcosa che non abbiamo mai visto.