Com’è cambiata la vita degli artisti durante la quarantena? Come sono mutate le loro abitudini, il loro sentire, il loro lavoro?
L’aria sospesa, gli spazi dilatati, i silenzi, il fluire sordo del tempo. L’attesa pervasa di un chiarore surreale e indefinito che scandisce le vite della quarantena. Abbiamo chiesto a una serie di artisti di raccontarci lo scorrere del tempo dalle proprie case, trasformate in temporanei atelier. La vita di un artista ai tempi della pandemia.
I tempi di Giuseppe Stampone
Come passi la giornata, dove e come dipingi ora?
Ho riattivato il mio vecchio studio in Abruzzo sotto il Gran Sasso, sotto la mia montagna che mi protegge e mi accoglie… Sono tornato dopo le mie esperienze a Bruxelles e a Roma. Sono abruzzese e per me è importante avere la mai base, il mio punto di riferimento, nella mia terra. Con Maria Crispal, compagna di una vita e grande artista, stiamo pensando di aprire un laboratorio delle arti contemporanee proprio all’interno del parco del Mondo della Laga sotto il Gran Sasso, dove creeremo una residenza per artisti che si concentrerà sul rapporto tra uomo e natura, tra corpo e natura… sarà un luogo dove veicoleremo tutte le nostre esperienze di questi anni in giro per il mondo con la nostra meravigliosa terra chiamata anche “polmone d’Europa”, Lo sento come il luogo giusto per creare una struttura consolidata, non solo per una questione affettiva ma anche scientifica, ovvero cercare eticamente attraverso l’arte di valorizzare il rapporto privilegiato fra uomo e natura, in una regione attenta all’ambiente… Non ho mai lavorato così tanto come in questi giorni! Paradossalmente senza fiere, senza mostre, senza viaggi, senza chiacchiere, senza cene con i collezionisti… tutto il tempo lo impiego per lavorare alle nuove opere. E poi sono sempre in contatto con i miei amici artisti perché è importante in questo periodo confrontarsi con chi condivide il proprio mestiere. Sento quotidianamente la mia super gallerista Ida Pisani con cui stiamo pensando e progettando una grande personale a Milano, presso Prometeo Gallery, quando tutto sarà passato. Con Giacinto di Pietrantonio abbiamo da poco concluso un libro sul tema del peccato originale dell’arte, con Pietro Gaglianó stiamo lavorando alla mia monografia sul concetto di “precipitato formale”, e con Antonello Tolve collaboro al libro sulla didattica dell’arte “Global Education”. Sono molto impegnato con la preparazione del progetto per la prossima Biennale di Architettura a Venezia, all’interno del Padiglione della Repubblica di Corea, che ha scelto come tematica la didattica scolastica del futuro come metodo di sensibilizzazione alle urgenza de nostro pianeta terra con l’ambiente anche qui come uno dei punti cardini.
Presenterò il metodo Golabal Education con il progetto The architecture of inteligent, che è articolato sull’Uomo, sul rapporto tra mente/spazio e mente/network. Parallelamente sto portando avanti anche il progetto per la Biennale di Mongolia a cura di Maurizio Bortolotti, anch’essa focalizzata sul tema del rapporto uomo-natura. Prevedo di fare un intervento nel deserto del Gobi, dove resterò per un mese intero a stretto contatto con la steppa e i suoi abitanti, per evidenziare in un luogo dove tutto è rimasto abbastanza vergine i rapporti che l’uomo e la natura intrattengono con la globalizzazione. Credo sia chiaro, negli ultimi anni sto lavorando molto sul concetto di Natura, non a caso ho ripreso a disegnare in plein air. Avevo iniziato alcuni anni fa un archivio di tutti i paesaggi della mia memoria, della mia infanzia, vissuta fra l’Abruzzo e l’Alta Savoia, dove sono nato e che come l’Abruzzo ha una grande montagna, il Monte Bianco, ed è una regione di parchi. Cercando di entrare un po’ di più nella mia ricerca, sono tre i punti strutturali: Global Education, Architecture of Inteligence e Past to the future. Global Education è un nuovo metodo educativo fatto di innovazione, partecipazione e condivisione di temi urgenti come l’emigrazione, l’ambiente, l’inquinamento e la povertà. Brevemente, partendo dalle griglie grafemiche delle lettere alfabetiche, e dunque dai segni grafici della lingua impartiti al bambino per mezzo del gioco formemico e fonetico, Global Education modella un discorso sull’abbecedario, svuotato di immagini precostruite per lasciare spazio alla creatività infantile, e dunque ai bambini, invitati a disegnare in prima persona la nuova immagine del loro alfabetiere che diventa spazio di presa di coscienza dell’immagine e dei suoi contenuti.
Con un esercizio alla libertà personale e collettiva si vuole insomma ri-educare l’essere umano al tatto, al costruire, a ricucire lo strappo violento che l’avvento dei new media e lo sviluppo del capitalismo hanno creato. Ciò che invece guida l’estetica di Architecture of Intelligence è anzitutto un elemento fisico e sensoriale: lo spazio in cui prende forma originariamente coincide con il contesto cui l’opera fa riferimento (nelle modalità figurative usate per la sua espressione). Concepisco questo lavoro come una sintesi di una condizione relazionale profondamente collegata alle componenti contestuali di tutte le variabili umane – creative e morali – che si intersecano in un dato luogo e momento. Architecture of Intelligence è la definizione di un processo, piuttosto che il titolo di un’opera, e tale processo, è l’incontro con altri autori, secondo la sua libertà e la sua domanda per l’espansione dei suoi confini. La narrazione che ne emerge si distanzia dalle narrative egemoniche, che, per definizione, tendono a semplificare, assimilare modelli pre-esistenti e schematizzare i rapporti.
E infine Past to The future è un metodo che rappresenta un ciclo di opere che porto avanti da almeno 5 anni sulla rilettura della storia e della storia dell’arte attraverso la reinterpretazione di quadri storici in chiave contemporanea. Ad esempio con La Zattera della Medusa, che che ho presentato alla Biennale della Migrazione voluta da Jan Fabre ad Ostenda in Belgio, riprende il medesimo dipinto in chiave più piccola. In essa io ho rivisto l’Europa di oggi, che su questa zattera si è persa, che tra queste onde sta perdendo un’occasione, e soprattutto che sta evidenziando il proprio fallimento di salvare il suo presente. Il filo conduttore, come sa chi mi conosce, è sempre l’uso della penna Bic, che mi permette di lavorare sulla stratificazione di spazi tempi che, sommandosi, dilatano il tempo quotidiano, caratterizzato da internet e dalla globalizzazione: si tratta quindi, sempre, di una critica del tutto contemporanea.
Tempo, Spazio, Suono. Concetti ricalibrati, relativi, riformulati…
Siamo tornati al tempo naturale dell’uomo, dove finalmente l’arte e l’artista si sono riappropriati del proprio tempo intimo. Nell’attimo in cui disegno cerco teoricamente di rallentare il mio tempo, dinnanzi ad internet e alla globalizzazione reagisco riprendendomi la mia intimità, riacquisto il mio tempo intimo, ottenendo così una gratificazione mentale. Ecco perché uso i termini di godimento fisico e mentale, perché la dilatazione del tempo ti restituisce, ti fa riconoscere, ti riporta all’archè. Sono dell’idea che riappropriarsi del proprio tempo attraverso la dilatazione significhi riappropriarsi della propria vita, avere il tempo di decidere e, soprattutto, di scandire i passaggi.
A questo proposito faccio sempre l’esempio della cerimonia del Tè: un rito che prende un’estetica del quotidiano, come quella di bere il tè, e la eleva a opera d’arte. Un maestro del Tè per trent’anni ripete sempre lo stesso esercizio, ed è proprio la ripetizione a condurre alla perfezione. Il disegno, quando io copio e compio questo gesto quotidiano, ogni giorno, diventa una sorta di mantra per arrivare alla perfezione grazie appunto alla dilatazione del tempo e alla percezione di un nuovo spazio. In questo momento, il Covid 19 ci sta dando ancora di più la possibilità di riappropriarci del nostro tempo. Metodologicamente ho sempre cercato di annullare lo spazio tempo sequenziale e didascalico della storia per riattualizzarlo grazie alla prospettiva di eventi di drammi sociali o urgenze umane del nostro tempo (nel progetto Past to the future, per esempio). Decisamente stiamo vivendo un “nuovo Tempo che si sta riappropriando della propria intimità” e io sono per il recupero del “made in”, del ri-fare. L’artigianalità non è più un fatto manieristico, è concettuale. Se chiedessi a qualcuno di fare un vaso e, ipoteticamente, ci impiegasse un’ora e se poi lo chiedessi a qualcun altro e quest’ultimo ci mettesse sei mesi, quei sei mesi implicherebbero il tempo per riscoprire la storia di quell’oggetto, la memoria, la conoscenza del materiale e, ancor di più, l’attribuzione della qualità attraverso il “giusto tempo dilatato alla formalizzazione del pensiero”.
Questo significa dunque prendersi il proprio tempo per fare le cose con un’attenzione nuova. Vedrei molta più rivoluzione in un gesto simile piuttosto che nella risposta violenta a questa dittatura globale legata a un modo di vivere troppo frenetico, veloce e ossessivo. Siamo la generazione-sommario, ci basta leggere l’indice per dire di aver letto il libro, guardiamo il trailer e pensiamo di aver visto il film, compriamo il posacenere con la stampa di Van Gogh e raccontiamo che siamo esperti d’arte. Tutto questo è purtroppo possibile perché l’approssimazione viene incoraggiata come un valore, un sapere orizzontale e mai verticale, un sapere da fast-food. Ora invece dobbiamo ricominciare a dedicare il giusto tempo alle cose che facciamo e ai contenuti che assorbiamo.
Leggere, scrivere, riflettere, altro…
Disegno e ascolto musica. Ne approfitto per immergermi nel mio “tempo intimo”, appunto… Non ho in questo momento la giusta concentrazione, amo leggere la saggistica…. preferisco disegnare, lavorare ai nuovi progetti. È un momento molto intenso, dal punto di vista della qualità ma anche della quantità di lavoro. Sento la necessità di “vomitare” tutto quello che ci sta succedendo attorno, proprio come qualcuno che ha detto “i luoghi dei drammi sociali sono i luoghi della massima creatività”.
Prima cosa che farai quando finisce la quarantena?
Respirerò. Una volta mi hanno chiesto con che metodo nascessero i miei lavori… ho risposto “respirando”.