La grande onda “africana” attraversa tutto il sistema dell’arte. Da diversi anni l’arte africana contemporanea si sta ritagliando un ruolo sempre più grande nel mercato e nell’interesse culturale, sia a livello internazionale che nazionale.
Anche la Biennale di Venezia ha svolto un ruolo chiave. Nel 2013, l’Angola è stata la prima nazione africana a ricevere un Leone d’oro (Leone d’oro per il miglior padiglione). Nel 2015 la direzione artistica della Biennale è stata affidata al curatore nigeriano Okwui Enwezor e l’artista ghanese El Anatsui ha ricevuto il Leone d’oro per la carriera. Dal punto di vista del mercato, si è visto un aumento esponenziale della domanda da parte dei collezionisti. Le case d’asta si sono dotate di dipartimenti ad hoc, come Bonhams che ha lanciato nel 2009 a Londra la sua prima vendita “Africa Now” che si tiene ogni anno da allora e Sotheby’s che nel 2017 ha inaugurato un dipartimento specializzato in arte moderna e contemporanea africana. La prima vendita aveva realizzato oltre tre milioni $ e ben 16 nuovi record d’asta. Secondo Artprice il totale combinato delle vendite di questo settore di Parigi e Londra è passato da $ 7,6 milioni tra il 2014 e il 2016 a$ 27,9 milioni tra il 2017 e il 2019. Il fatturato dell’arte africana è quasi quadruplicato.
Abbiamo incontrato Rosario Bifulco che oltre a essere Presidente e azionista di riferimento della rinata casa d’aste Finarte è anche un grande appassionato e collezionista di arte africana contemporanea e ci siamo fatti raccontare la sua collezione.
-L’ arte africana contemporanea sta attirando sempre di più l’attenzione globale. Dalle fiere alle case d’aste, fino alle grandi esposizioni. Anche i musei, soprattutto in America, hanno ospitato un numero importante di mostre di arte africana negli ultimi anni. Gli esperti delle case d’asta hanno parlato di una vera e propria “esplosione di interesse”. Cosa pensa al riguardo?
In genere non si parla solo di arte africana ma anche di tutti gli artisti che fanno riferimento alla diaspora africana, quindi artisti di colore, soprattutto in USA e UK. Sostanzialmente nell’ultimo decennio si sono sviluppati alcuni trend nell’arte contemporanea: uno il riaffermarsi del figurativo, l’altro delle donne artista e l’altro ancora che potremmo chiamare delle “minoranze“. Infatti i grandi musei americani hanno deciso, per seguire quanto accadeva nel mondo esterno, di riequilibrare la presenza di artiste donna e di artisti delle cosiddette “minoranze” nelle loro collezioni o nei loro programmi espositivi, a cominciare dagli afroamericani e si é fatto riferimento all’African diaspora. E naturalmente il mercato si é mosso di conseguenza. È in questo contesto che si è inserita la scoperta e la valorizzazione dell’arte africana, l’arte del grande continente africano, lanciata dopo il decennio precedente della scoperta dell’arte cinese. Sono nati dei musei dedicati, come lo Zeitz (Zeitz Museum of Contemporary Art Africa | MOCAA) a Cape Town, in Sud Africa e il MOAD di San Francisco, che raccoglie opere di artisti da tutto il mondo che raccontano la storia della diaspora africana.
– Lei è un grande collezionista di arte africana. Come è nata questa passione?
Non mi sono ritrovato su questo tipo di filone per un motivo commerciale. Mi sono imbattuto in una galleria milanese, Primo Marella, che inizialmente trattava arte cinese e poi del Far East, da cui acquistavo. Ma quando poi ha cominciato a trattare l’arte africana, ho visto subito la grandissima energia che sprigionava. E ne sono rimasto affascinato. Nel mondo occidentale molto spesso questa energia non la si trova più. Poi vedendo che c’era anche uno sviluppo del mercato, si è un po’ consolidato l’interesse e ho iniziato a investire in arte africana.
– Ci può fare una panoramica della sua collezione? Quale è stato il suo primo acquisto? E l’ultimo?
Le prime opere di arte africana che ho acquistato erano dell’artista del Mali Abdoulaye Konaté (classe 1953). Oggi ha anche un riconoscimento di mercato. Lui è stato uno dei primi su cui ho investito. L’ultimo che ho comprato – all’asta- è un lavoro di Khaled Hafez, un artista egiziano. La collezione di arte africana conta un centinaio di pezzi. Se la allarghiamo all’African diaspora saranno 150 pezzi. Ma la collezione è molto più grande, conta 400 opere in totale, con vari filoni. Soprattutto arte del Far East. Ho molti lavori cinesi e di artisti filippini. Ronald Ventura è uno dei miei preferiti. Poi ho molte opere di artisti europei e una collezione di giovani italiani.
– Con una collezione così vasta, ha prestato le sue opere per delle mostre? Ci può dire quali?
Sì ad esempio Konaté l’ho prestato a vari musei. Sono stato uno dei maggiori prestatori per la mostra “Il Cacciatore Bianco/The White Hunter. Memorie e rappresentazioni africane” che si è tenuta a Milano, FM Centro per l’Arte Contemporanea, nel 2017 in occasione di miart e della Art Week.
– Cosa ha esposto in casa?
Non ho molto di esposto in casa e infatti per questo mia figlia protesta. Sto pensando di cercare uno spazio per esporre tutta la mia collezione e renderla fruibile a tutti.
– Come si tiene aggiornato? Dove acquista generalmente, gallerie, fiere o aste? Quali sono le gallerie di riferimento?
Compro sia all’asta che nelle gallerie. Per queste ultime Londra è la città di riferimento. Molte gallerie valide si trovano anche negli Stati Uniti. In Italia segnalo Primo Marella Gallery e Galleria dell’Immagine che sono specializzate in questo filone, ma vi sono anche molte gallerie che hanno nella loro scuderia artisti africani, come la A Palazzo Gallery di Brescia. Nelle fiere dell’arte poi, da Basilea a Milano e Torino, si trovano gallerie che espongono artisti africani. E’ importante vedere e studiare i cataloghi di mostre anche passate ma importanti, come quelle che sono state organizzate in Francia tra il 2011 e il 2017, dalla Fondazione Cartier (Beauté Congo) o dalla Fondazione Vuitton (Art/Afrique) per fare qualche esempio.
– Londra e Parigi sono piazze molto forti per le aste. Ora sembra che le maison puntino anche su New York. Quali sono secondo lei le città dove si possono trovare le migliori vetrine per questo filone? Quali case d’asta tenere d’occhio?
Le case d’asta che si occupano di arte africana contemporanea e che io seguo con attenzione sono Sotheby’s e Bonhams, che hanno dipartimenti specializzati a Londra, Piasa a Parigi e Strauss & Co, a Johannesburg.
– Quali fiere sono imperdibili per gli amanti di questo segmento di arte contemporanea?
Sicuramente va visitata la l’edizione londinese della 1:54. E’ una fiera che consiglio e alla quale cerco di recarmi regolarmente anche perché è in contemporanea a Frieze. Poi tra le Biennali è interessante quella di Dakar.
– Il suo artista preferito in assoluto della sua collezione?
Forse Ronald Ventura. Per tutta la ricerca che mi ha impegnato da quando l’ho scoperto. Mentre per l’arte africana, anche se non viene considerato completamente un “puro”, mi piace molto William Kentridge. E Jane Alexander, anche lei sudafricana. Poi sono legato a un vecchio lavoro di Anish Kapoor. Un’opera di prima che diventasse famoso con le installazioni luccicanti di adesso. Prima faceva un lavoro più povero. Ho una zucca svuotata all’interno della quale c’è un’altra zucca e un bastone blu.
– Un sogno di acquisto non ancora realizzato?
Ne ho tanti!! Bisogna trovare un equilibrio tra occasione, interesse, costo. Normalmente io non investo, tranne in rari casi sporadici, su artisti già affermati il cui mercato è già esploso. Cerco di lavorare sui giovani che non sono ancora conosciuti.
– Ci suggerisce qualche nome da tenere d’occhio?
Ad esempio Joël Andrianomearisoa. Ha 43 anni ed è del Madagascar. Lavora prevalentemente sui tessuti. Ora è già abbastanza noto.
– Molti artisti africani lavorano con i tessuti
Sì. Il tessuto trova le radici nella loro cultura e nell’artigianalità. Tra gli artisti che invece lavorano con le installazioni, vi è Jane Alexander, che è già affermata. Non ha molti pezzi in giro per il mondo. L’avevo vista alla Tate Modern. Ho acquistato una sua composizione. Lei realizza delle vere e proprie installazioni con delle scene realizzate con figure-sculture di piccole o medie dimensioni.
– Come è la condizione delle artiste donne africane? Il loro ruolo e la loro affermazione? Hanno meno occasioni di essere esposte o di passare in asta?
No, non credo. In Africa ci sono sicuramente meno donne artiste che uomini. Alcune giovanissime sono bravissime. Ma non mancano anche i nomi di donne già ampiamente affermate come Kara Walker o Marlene Dumas, rappresentanti dell’African diaspora.
– Lasciamo da parte per un attimo la sua figura di collezionista. Lei è Presidente e azionista di riferimento di Finarte. Impossibile non domandarle in questo momento storico così difficile quale strategie la casa d’aste sta mettendo in atto per non subire forti contraccolpi per via del coronavirus. I recenti risultati per la fotografia sono stati molti positivi. Le aste virtuali sono la soluzione?
A dicembre 2019 abbiamo tenuto un’asta che era una sorta di Wunderkammer. Ed è stata fatta come “asta in diretta” da remoto, senza presenza di pubblico ma con battitore, che è un po’ diverso dalle “aste a tempo” che sono solo online. Questa asta ha mantenuto il ritmo e l’adrenalina dell’asta live, mentre quelle solo online mi convincono un po’ meno. Certo, c’è da superare il tema della non visione del lotto. Questa asta di dicembre aveva avuto un buon successo e avendo già pronto questo catalogo di fotografia, bello e internazionale, ci siamo detti: andiamo avanti e “facciamo la scommessa di fare l’asta da remoto”. Abbiamo pensato che ci sarebbero stati compratori internazionali e che, con o senza coronavirus, avrebbero acquistato anche senza vedere il pezzo prima della vendita. La fotografia si presta molto bene a questo tipo di asta. In primo luogo perché una fotografia è già di per sé un oggetto virtuale. Non è come un dipinto antico o una installazione che vanno osservati con attenzione e da vicino. In secondo luogo, i valori in gioco sono non altissimi e di conseguenza neanche i rischi. Ci sono invece remore su pezzi con valori più importanti soprattutto se non sono storicizzati. Così quando si è presentata questa occasione, l’abbiamo colta e ha avuto un certo successo.
– L’asta dedicata ai multipli e alla grafica del 27 aprile ha avuto lo stesso successo di quella di fotografia?
Direi di sì. Il catalogo si prestava molto ed era internazionale. Eravamo confidenti che avrebbe funzionato. Infatti ha visto oltre l’83% di aggiudicato per lotti e il 135% per il valore per un totale di € 159.206,96. Non faremo invece, a causa del covid, l’asta che teniamo ogni anno a Brescia in occasione della Millemiglia, dedicata alle automobili. Quella è impensabile da fare online o da remoto. Per l’auto bisogna visionare il pezzo e già questo a volte non basta. C’è da tenere conto della meccanica e delle ristrutturazioni. E’ un peccato perché il nostro dipartimento automotive è di grande qualità e si é affermato sulla scena internazionale.Nel 2018 abbiamo venduto una Fiat 8V, un pezzo unico, per oltre 2 milioni di euro a un buyer internazionale;l’auto era di una bellezza unica: basta dire che il collezionista venditore ha pianto quando l’ha venduta, non voleva separarsene. Era un vero capolavoro di macchina!. Io non inizio una collezione di auto perché sarebbe impegnativa dal punto di vista fisico la gestione, ma è la mia passione. Per questo dipartimento per cui non si può passare al virtuale,ci stiamo concentrando sulle vendite a trattativa privata. Comunque quando il Covid arretrerá un poco e avremo il via libera per riaprire, il tema del visionare i pezzi e quello del reperimento opere si risolverá attuando tutti i protocolli necessari.
– La prima cosa che farà appena ci sarà la riapertura?
Non sará la prima cosa, ma sogno di andare a una fiera! E’ vero che le fiere e le gallerie si sono riorganizzate e si sono digitalizzate, quindi anche in questo momento si possono fruire e si può comprare. Ma quello che sogno è una fiera da visitare. Non riesco a immaginarmela ancora perché come si fanno a mantenere le distanze in una fiera? L’esperienza virtuale ovviamente non è la stessa cosa. Le vendite sono andate giù, anche se qualcosa è stato venduto. Ma il tema della fiera va di pari passo con il tema della socialità. Andare a una fiera non è solo acquistare un’opera. E’ l’esperienza totale che conta: incontrare i galleristi, scambiarsi informazioni, conoscere persone interessanti. La socialità è quello su cui il Covid ci ha penalizzato maggiormente.