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Fashion film, intervista a Diane Pernet: “La moda ha un ruolo importante nel cinema”

Diane Pernet Diane Pernet by Irma Sharikadze
Diane Pernet
Diane Pernet by Irma Sharikadze

Intervista a Diane Pernet, giornalista, critica e fondatrice del primo Fashion Film Festival: “La moda ha un ruolo importante nel cinema

Coniugare moda e cinema può non suonare nuovo. Oppure può sembrare la cosa più bizzarra che si possa osare, se pensiamo al culto dell’effimero affibbiato alla moda in contrasto alla storia artistica attribuita alla cinematografia.
Ne abbiamo parlato con Diane Pernet, una delle più intriganti figure di fashion blogger e critiche di moda internazionale, che ha messo in dialogo digital culture con moda e giornalismo, ben prima dell’avvento del fenomeno influencer. Un’estetica costante negli anni, impermeabile e porosa, fatta di veli sovrapposti. Neri e grigi. Come il suo noto sguardo, schermato, sulla moda.

Diane Pernet ha iniziato la sua carriera come stilista e costumista negli anni ottanta, a New York, si trasferisce poi a Parigi dove collabora con Elle e Vogue. Nel cinema collabora con Altman (Prët-à-porter) e Polański (La nona porta). Ha fondato il festival ASVOFF (A Shaded View on Fashion Film), primo festival al mondo a occuparsi fashion film. Sede del Festival è il Centre d’Art Georges Pompidou a Parigi. Sul suo blog, ASVOF (A Shaded View on Fashion), promuove stilisti, registi e artisti emergenti.

Diane Pernet
Diane Pernet

A Shaded View on Fashion Film è sia il nome del suo blog che del Festival che ha fondato 12 anni fa. Quale è stata la sua iniziale motivazione e cosa è previsto per l’edizione 2020?
Lo spunto iniziale per il festival risale al periodo in cui lavoravo come costume designer per un film, L’esprit de l’exil di Amos Gitai. Il regista era così turbato dal fatto che io fossi stata una fashion designer che mi ispirò l’idea di lanciare un fashion film festival per mostrare come la moda supporti il cinema e viceversa. Nel 2006, poi, chiesi a un collaboratore del mio blog di Los Angeles se avesse voglia di lavorare con me al mio primo fashion film festival, “You Wear it Well”.
Nel corso di due anni riuscimmo a proiettare film in 24 città, delle quali 20 coperte da me e 4 da lui… Quindi, dal momento che mi sono accorta che praticamente stavo lavorando solo io, ho capito che non avevo bisogno di lui e avrei potuto andare avanti da sola. In più, volevo cambiare il nome velocemente perché era già stato sponsorizzato per il nostro festival a Jeu du Paume, e così ad ASVOF, il mio fashion blog lanciato nel Febbraio 2005, aggiunsi una F e diventò A Shaded View on Fashion Film aka ASVOFF. Anche se ASVOFF fu fondato nel 2008 il mio primo fashion festival risale al 2006.

Per quanto riguarda l’edizione 2020, considerando l’intera evoluzione del COVID19, non prevedo che la gente avrà alcuna intenzione di prendere parte a eventi di massa per i prossimi 9 mesi… Perciò ASVOFF, come molti altri film festival di ogni genere e portata, con ogni probabilità diventerà un appuntamento virtuale e non fisico quest’anno. Sto ancora pensando a come riprogettarlo per renderlo il più dinamico possibile dati i limiti odierni.

Che cosa l’ha spinta oltre nella ricerca di storie, non solo di immagini e suoni, nel mondo della moda?
Ho una laurea in cinema, ho creato e portato avanti il mio marchio di moda per 13 anni a New York e per 5 anni a Tokyo. Mettere insieme moda e cinema è stato per me naturale. Amo la moda, amo il cinema. Così è nato A Shaded View on Fashion Film.

Lei ha spesso parlato del suo desiderio di democratizzare il mondo della moda attraverso i social media. Cosa pensa della produzione di immagini che circolano oggi e delle conseguenti implicazioni sulla body-image? A suo modo di vedere, la cultura della moda può aiutare a diffondere differenti standard di bellezza?
La diversità sembra essere diventata la parola chiave dei nostri giorni. È curioso perché quando ero una fashion designer a New York per il mio brand, la diversità non era qualcosa di imposto, su cui puntare i riflettori, ma era normale. È un cliché pensare che i social media abbiano fomentato insicurezze tra gli utenti, spingendoli a non sentirsi soddisfatti di se stessi. Se si guarda alle creazioni di Jean Paul Gaultier lungo i 50 anni della sua carriera, si noterà come lui abbia sempre concepito la bellezza in tutte le forme e taglie, nazionalità ed età. Oggi ci sono anche canali di comunicazione come BOF (Business of Fashion) e altri social media che organizzano talk sulla diversity, disabilità e similari. Si spera solo che non sia un trend passeggero.

ECHOES by Kevin Frilet
ECHOES by Kevin Frilet

Negli ultimi anni una serie di coreografi come Virgilio Sieni, Yasmine Hugonnet o Sasha Waltz, hanno progressivamente lavorato sulla trasformazione dell’atto di danzare in una sorta di immagine pittorica. Cercando di sfidare il movimento, in altre parole. Lei pensa che i fashion films potrebbero indurre ad un’operazione inversa, traducendo la fissità dell’immagine di moda nel suo movimento?
La transizione dall’immagine statica, fredda, al corpo in movimento, non basta per tradurre una foto di moda editoriale in un fashion film. Ci sono tanti altri fattori che intervengono nella regia di un film che non sono presenti nell’elaborazione di un fotogramma, di una immagine. Sicuramente l’editing non è assimilabile alla regia di un film. L’idea di lavorare con un regista invece che con un fotografo di moda che si presti alla regia funziona solo in taluni casi.

A ogni modo la commistione fra danza e fashion film è abbastanza diffusa così come lo è per la danza nelle sfilate di moda. Issey Miyake ha usato la danza nel suo lavoro sulle passerelle e nei fashion films, per esempio. Coreografi come Sidi Larbi Cherkaoui e Damien Jalet hanno collaborato con fashion designer, Iris Van Herpen è stata una danzatrice in passato. L’influenza del mondo della danza si è vista in varie collezioni di stilisti fra cui quelle di Schiapaerelli, Galliano, Thom Browne, Jun Takahashi e molti altri.

Infine, vorrei chiederle quale sia la sua opinione sullo status di arte e pubblicità della moda nel futuro. I fashion films influenzeranno il cinema tradizionale? Qualche esempio?
Non saprei dire se i fashion film abbiano influenzato il cinema più mainstream ma di sicuro registi affermati – da Wes Anderson, David Lynch, fino a Harmony Korine – si sono dedicati alla realizzazione di fashion film. La moda ha un ruolo importante oggi nel cinema, mentre prima lo aveva solo con un numero limitato di registi quali Quentin Tarantino, Peter Greenaway, Almodovar, Fassbinder. Molti anni dopo si è visto come i registi non siano più così sospettosi verso la moda come lo erano quando io ho iniziato con il mio primo fashion film festival. Con l’attuale pandemia da COVID19 i fashion film diverranno centrali più che mai.

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