Un “On Sale” drammatico appeso sui portoni di molte istituzioni americane. Vendere il proprio patrimonio, le proprie opere in collezione, per tirare avanti e restare aperti. Bisogna fare cassa, il rischio è la chiusura. Così hanno deciso i musei americani per far fronte alla crisi che segue la pandemia da Covid-19.
La notizia arriva dall’Association of Art Museums Directors (AAMD) che dà il via libera allo smembramento delle collezioni permanenti per garantire liquidità alle istituzioni. Se nel 2010 la stessa associazione, composta da direttori di musei americani, messicani, canadesi, aveva vietato la vendita delle opere di collezioni museali, punendo i trasgressori in modo esemplare (si ricordi nel 2018 il caso del Berkshire Museum a Pittsfield che dismise oltre 20 opere della propria collezione permanente per raccogliere fondi volti al rinnovamento della struttura, atto che fu sanzionato e denunciato pubblicamente o il caso di musei che avevano messo all’asta pezzi in collezione per evitare la bancarotta), oggi l’AAMD torna sui propri passi, scongiurando l’avvento di una crisi finanziaria senza precedenti.
I musei americani dunque cercano come possono di tamponare l’emorragia in atto, trovandosi davanti alla non facile decisione di salvare capitale umano o opere d’arte. Anche una grande istituzione come il Metropolitan Museum traballa e prevede che il mancato guadagno ammonterà a 150 milioni di dollari. Sembra che ciò che sta avvenendo in America ora, è il dilapidarsi di grandi collezioni museali per guadagnare qualche soldo che ci si augura possa donare un po’ di respiro alle istituzioni in difficoltà. Agli istituti culturali è stato anche permesso di utilizzare l’endowment, i fondi derivanti da lasciti e donazioni private di cui quasi tutti i musei americani dispongono e che vengono utilizzati abitualmente per nuove acquisizioni o ristrutturazioni.
La condizione posta dall’AAMD è una: la vendita di opere è permessa, a patto che i proventi vengano utilizzati per l’assistenza diretta delle collezioni permanenti. Ci saranno però delle regole fornite dall’AAMD. Per usufruire dei proventi derivati dalla cessione delle opere, i musei dovranno disporre di una policy approvata dal proprio consiglio di amministrazione.
L’obiettivo dunque, non è svendere le opere d’arte al miglior offerente, ma salvaguardare la vita del museo. Resta da chiedersi che tipo di oscillazioni subirà il mercato delle opere d’arte, i beni rifugio per eccellenza. È probabile infatti che le istituzioni fortemente indebitate, venderanno i loro pezzi migliori, quelli che difficilmente saranno rigettati dal mercato. Non tanto dunque artisti dalle quotazioni oscillanti o opere d’arte antica, quanto i grandi nomi: Rothko, Warhol, Pollock, O’Keefe, Hockney. La decisione di non procedere alla sanzione dei musei che vogliano per necessità attuare questo tipo di manovre avrà però una scadenza, il 10 aprile 2022. Intercorsa questa data le regole torneranno quelle di prima e sarà ripristinato il divieto della dispersione e vendita di opere e collezioni.
Sebbene in Italia la decisione di vendere parte del patrimonio culturale nazionale per ottenere denaro liquido sia una pratica impensabile, i musei americani non sono del tutto estranei a questa filosofia. Secondo la legislazione americana, è ammesso per un museo vendere parte della propria collezione al fine di accumulare denaro per acquistare opere più importanti. Questo fatto è accaduto nel 2011 al Museum of Fine Arts di Boston che ha ceduto otto opere – fra cui dipinti di Monet, Gauguin, Sisley, Pissarro e Renoir – per acquistare Uomo al bagno (1884) di Caillebotte. Nel 2019 il Brooklyn Museum di New York vende Pope (1958) di Francis Bacon per far fronte ad un deficit operativo superiore a 10 milioni di dollari. La notizia ha fatto subito scalpore, anche perché la tela era una delle sei superstiti della serie Tangeri Paintings, realizzate durante la permanenza dell’artista irlandese in Marocco. Le tele, che erano state realizzate da Bacon durante il soggiorno con l’amante Peter Lacy, furono distrutte dall’artista poco dopo la fine della loro relazione. Pope dunque, rappresenta una rara opportunità di ammirare la psicologia dell’artista in un periodo particolarmente turbolento della propria vita. L’anno prima, nel 2018, il Museo di Baltimora vende le tele di Franz Klne, Rauschenberg e Warhol per comprare opere di artisti di colore e donne finora esclusi dalla storia dell’arte.
Insomma, la decisione presa dall’AAMD in questo momento fa riflettere, soprattutto se pensiamo che molte delle opere riservate al godimento pubblico potrebbero non essere più fruibili presso i grandi musei americani. E soprattutto quando pensiamo alla definizione di Museo dell’ICOM (International Council Of Museum) secondo la quale: “Il museo è un’istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società, e del suo sviluppo, aperta al pubblico, che effettua ricerche sulle testimonianze materiali ed immateriali dell’uomo e del suo ambiente, le acquisisce, le conserva, e le comunica e specificatamente le espone per scopi di studio, educazione e diletto”. L’unica speranza cui possiamo appellarci è che la vendita di questi capolavori sia davvero utile a risollevare i musei in difficoltà e un’economia in profonda crisi.