La natura, da sempre, ha avuto un ruolo fondamentale nell’arte sia come elemento di contemplazione sia come una vera e propria referenza estetica. La natura che ci circonda oggi, però, è ogni volta più ostile. Il cambiamento climatico, l’emergenza ambientale e l’estinzione di diverse specie animali hanno fortemente segnato il nostro spirito e la sensibilità di molti artisti. La poetica di Jessica Moroni (Perugia, 1984) si inserisce in questo contesto.
Jessica, artista italiana che vive da molti anni in Spagna, cerca attraverso la sue creazioni di ritrovare quelle primordiali connessioni che uniscono l’essere umano alla natura: rami, frutta, foglie, piante, muschio, semi diventano i protagonisti delle sue opere. Le installazioni Amalgamas, O jantar – La cena o Malas Hierbas, ci parlano non solo della natura o della sua relazione con l’uomo e la donna ma anche delle lotte femministe, dei saperi antichi, delle conoscenze che l’oppressione capitalista ci sta facendo dimenticare.
Cosa significa essere un artista e quali differenze noti tra i tuoi esordi e oggi?
Mi sono posta questa domanda molte volte per capire le vere motivazioni del mio fare artistico. Intendo questa domanda come un’interrogazione che ogni artista rivolge a se stesso e la cui risposta serve a motivare la propria ricerca artistica, allo stesso tempo a dare una risposta al pubblico e alla società.
Per quanto mi riguarda, essere artista risponde a una necessità creativa, alla forza naturale che ci parla delle nostre origini: così come in natura si susseguono continuamente processi di creazione e trasformazione, allo stesso modo noi persone esprimiamo questa energia creativa in mille modi, e l’arte è uno di essi. Per me essere artista significa riconoscere e onorare la forza della natura attraverso il mio fare, trovando un posto all’interno di questo grande ecosistema.
Quali tematiche trattano i tuoi lavori e che progetti hai in programma?
Negli ultimi anni ho vissuto dei momenti importanti per la mia ricerca artistica e oggi mi riconosco in un’arte impegnata nella valorizzazione della natura e a favore delle tematiche ecofemministe. I miei ultimi progetti presi individualmente rappresentano riflessioni diverse sul come ci mettiamo in relazione con la natura nell’ambito del cambiamento ecologico. In questo senso, usando le parole di Vandana Shiva, è necessario riconoscere la nostra responsabilità di “non vederci al di fuori della rete ecologica della vita, come padroni, conquistatori e proprietari delle risorse della Terra”, ma come membri di un ambiente di cui dobbiamo occuparci, senza violare lo spazio ecologico di altre specie e persone. In ogni progetto cerco di portare questa riflessione, integrando i processi naturali alla mia creazione artistica.
A gennaio ho presentato al Espai Souvenir di Barcellona Malas Hierbas, un’installazione di sculture di stoffa e piante selvatiche, che in italiano si traduce come “erbacce”. Queste piante nascono e crescono all’interno delle stesse sculture e le invadono così come le erbacce si infiltrano e proliferano anche nei luoghi più inattesi. Le erbacce diventano, allo stesso tempo, il simbolo di ciò che si considera inutile da un punto di vista produttivo e rispecchiano il modo in cui l’uomo occidentale gestisce la natura in base alle proprie necessità. La presenza di queste piante, che spesso non consideriamo, in realtà ci ricorda l’importanza della biodiversità per il mantenimento della vita. Dimenticare la loro esistenza significa perdere una grande sapienza che, seppure con molte difficoltà, è sopravvissuta fino a oggi. Queste conoscenze legate alle piante selvatiche e ai loro usi ci parlano di un passato in cui le donne erano portatrici di un sapere legato alla cura della persona e in equilibrio con i ritmi della natura.
Come ti rapporti con la città e il contesto culturale in cui vivi?
Il contesto in cui viviamo è fondamentale alla formazione dei nostri interessi e a come rispondiamo alla realtà in cui ci muoviamo. Vivo in Spagna da tredici anni e da tre a Barcellona, una delle città più grandi in cui ho vissuto. Curiosamente, trasferirmi in questa città mi ha provocato un bisogno ancora più forte di comprendere la mia relazione con la natura. Il contesto urbano e lo stile di vita della grande città mi hanno fatto sentire una gran mancanza di altri ritmi, paesaggi e odori, vissuti in altri momenti della mia vita. Ed è così che ho avuto l’idea di “collaborare” con la natura nei miei progetti artistici, portandola in città oppure scovandola nei luoghi verdi più urbani, che per fortuna a Barcellona non mancano.
Cosa pensi del “sistema dell’arte contemporanea”?
Il mondo dell’arte è un sistema violento, al quale bisogna essere preparate per non lasciarsi sopraffare. Sfortunatamente la vita dell’artista è costantemente esposta alla precarietà e all’incertezza, condizioni che ci rendono vittime di un mercato dell’arte ingiusto, sostenuto da istituzioni pubbliche e gallerie. Solo negli ultimi anni assistiamo al fiorire di nuove forme di tutela degli artisti, in particolare per il collettivo dei giovani artisti, che considero uno dei più esposti. Prima di poter ricevere una remunerazione per l’esposizione dei propri lavori o la partecipazione a eventi culturali, ogni artista per anni autofinanzia la propria attività, partecipando a mostre e concorsi per i quali, nella maggior parte dei casi, deve coprire le spese di produzione, trasporto, i costi del catalogo, etc.. Insomma, la carriera dell’artista implica una grande forza di volontà e costi economici! Per non parlare della necessità di sviluppare una resistenza alla frustrazione generata dalla costante selezione e dagli innumerevoli e inevitabili rifiuti.
Di quale argomento, oggi, vorresti parlare?
Vorrei parlare della grande necessità di cambiamenti di cui abbiamo bisogno, a livello sociale, istituzionale, climatico etc.. Tutte le strutture culturali che ci hanno orientato negli ultimi secoli si stanno smontando, perdono forza e consistenza di fronte alla minaccia di un futuro ingestibile a livello ecologico.
In questo momento mi trovo a casa a causa delle misure di sicurezza e protezione che molti Paesi, come Italia e Spagna, hanno preso per combattere la crisi del Coronavirus. In questi momenti credo che tutte abbiamo potuto sperimentare sentimenti di paura di fronte all’isolamento e alla minaccia di sentirci abbandonate dalle persone care. Eppure questa crisi, così democratica nella sua natura, in grado di colpire qualsiasi individuo della società, sta permettendo all’umanità di riscoprirsi nella propria vulnerabilità di fronte alle forze incontrollabili della natura. Trovo che questo sia il più grande insegnamento che possiamo ricevere, almeno per il momento, per capire che quando tutto questo sarà finito, non saremo più le stesse persone di prima. E la tanto desiderata normalità, forse non ci servirà più o non la vorremmo più. Per questo credo che già da oggi dobbiamo iniziare a pensare a come ricostruirci come individui e nella società.
Questo contenuto è stato realizzato da Marco Tondello per Forme Uniche.
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