Fu grande politico – seppure perso in stravaganti teorie filofasciste – e aspirante pittore, guardava a Winston Churchill come modello per entrambe le dimensioni. Qui un breve ritratto di Amintore Fanfani.
Uno dei profili italici tra i più stravaganti del secolo scorso è Amintore Fanfani. Il sottoscritto ha avuto indirettamente a che fare con lui nel 1970, per motivi professionali. E anche con qualche imbarazzo. È stato pittore toscano, definibile minore, del Secondo Novecento. Ma è nella nostra storia politica che ha diritto di avere un posto di rilievo. Durante il Fascismo è stato docente di Economia. Nel 1939 ha dichiarato – ahimè – che “la potenza futura della Nazione deve essere di razza pura”. Soprattutto ha teorizzato il fenomeno dei Brevilinei e dei Longilinei, rivelando agli ignari che l’Economia e la Storia hanno un andamento condizionato dalla statura dell’uomo. Lui era un Brevilineo. Dal dopoguerra sino a quando è vissuto, a nome e per conto della Democrazie Cristiana, ha ricoperto di volta in volta tutti gli incarichi istituzionali possibili, ad eccezione della Presidenza della Repubblica. Godeva fama di amabile e spiritoso conversatore.
Negli anni Settanta ebbi modo di conoscerlo indirettamente attraverso Fiorella Minervino, responsabile della redazione milanese di BolaffiArte, che lo conosceva da tempo essendo un amico di famiglia. Fanfani, che in quegli anni era Presidente del Senato, aveva scritto per il nostro mensile un articolo su Piero della Francesca, al quale era molto devoto. Fiorella aveva sulla sua scrivania alcune foto dei suoi quadri. Non sapevo che Fanfani si dilettasse a dipingere; aveva iniziato nel 1943, quando si era rifugiato in Svizzera dopo l’8 settembre. Ricordo quando, con imbarazzata tenerezza, Fiorella mi raccontò la domanda che le aveva rivolto mostrandole i suoi lavori: Fiorella, vero che sono bravo quanto Churchill? E mi consegnò, assieme alle fotografie, il formulario da lui debitamente compilato e firmato per l’inserimento nel Catalogo Nazionale Bolaffi d’Arte Moderna.
In seguito, Alberto Bolaffi jr, amministratore delegato della casa editrice, condivise la mia decisione di dare a Fanfani uno spazio minimo nel Catalogo per non mettere in imbarazzo il Comitato Critico Scientifico, composto da storici e critici d’arte di alta caratura. Per altro, coerente col suo intuito di collezionista, Alberto mi raccomandò che la documentazione autografa non andasse dispersa. E non a caso, dato che era destinata alla raccolta Bolaffi di lettere e documenti scritti da protagonisti storici. È evidente che un autografo di Amintore Fanfani vale di meno sul mercato di un autografo di Winston Churchill. E così anche per le quotazioni dei loro dipinti. Del resto, secondo la teoria di Fanfani – lui essendo Brevilineo e Churchill Longilineo – fra loro esisteva una diversità abissale di statura. Fanfani era un uomo estroverso, eticamente scanzonato, e con grande volontà di potenza per obiettivi limitati. Churchill, al contrario, era un gigante. Era stato lui il vincitore morale e materiale della guerra contro la barbarie del nazismo. Poi, ormai anziano ed emarginato dalla politica, si ritirò in Costa Azzurra, dedicandosi solo alla pittura. Quanto a Fanfani, la Presidenza della Repubblica rimase solo un sogno, infranto dai giochi di corrente del suo partito, in mezzo ai quali, a suo tempo, aveva navigato con mirabile scaltrezza.