La galleria Federica Ghizzoni di Milano riapre i suoi battenti con una raffinata proposta espositiva interamente dedicata alla sensibilizzazione e alla salvaguardia ambientale. Le pratiche di Romana Zambon e Annarita Serra si accolgono e richiamano vicendevolmente attraverso il medium fotografico e il ready-made. Due mostre in bilico tra denuncia e poetica estetica.
Un tandem espositivo ancora inedito attende il pubblico della galleria Federica Ghizzoni. Coerenza e lungimiranza si fondono nella volontà comune di accendere i riflettori sull’emergenza ambientale. Mai come in questo periodo storico si è avuta l’opportunità di riflettere su temi tanto delicati quanto sottovalutati. Il programma, diviso tra gli ambienti della galleria e la decima edizione di MIA Photo Fair (25-28 marzo 2021), si apre con il nuovo progetto fotografico di Romana Zambon Naturalmente Plastica, una provocazione in chiave artistica che, attraverso 20 immagini, pone l’attenzione sull’uso della plastica e i suoi disastrosi effetti. Fiori di plastica su sfondo nero, camelie, rose, ibiscus, iris e girasoli in bilico tra essere e apparire rendono chiaro il messaggio che la Zambon –architetto e fotografa di adozione milanese– vuole trasmettere a chi li ha di fronte. Il paradosso guida la pratica artistica, giocando sul valore dell’apparenza e gli inganni della percezione visiva:
In effetti c’è qualcosa di strano in quel lucrore cui l’occhio un po’ fatica ad abituarsi perché questi fiori trasmettono sì una loro intensa carnalità, ma nel farlo la sottolineano in modo eccessivo. Se fossero persone diremmo che stanno recitando. Ma siccome non lo sono che cos’è che sottilmente ci turba, quale particolare ci induce a osservarli con sospetto?”.
Affidandoci alle parole di Roberto Mutti, storico, critico e docente di fotografia, è così possibile percepire come questi fiori nelle loro imperfezioni risultino comunque eccessivamente perfetti, fino a svelare il segreto del paradosso. Romana Zambon denuncia la plastica rielaborando fiori veri come se fossero realizzati con materie plastiche, portando l’osservatore a riflettere su come l’abilità sviluppata dall’artificio si avvicini tanto alla realtà fino a potersi sostituire ad essa. Il messaggio allarmante tuttavia è tessuto attraverso la bellezza universale della natura, la cui imperfezione ne fa risultare il valore sublime non sostituibile.
Di medesima ispirazione sono le opere di Annarita Serra esposte sempre nell’ambito della mostra in galleria Naturalmente Plastica. Irriverenti e coloratissimi mosaici sono infatti interamente realizzati con resti di plastica raccolti sulle spiagge della Sardegna.
Dalla terra madre dell’artista prendono forma iconici soggetti, Charlie Chaplin, una ragazza con l’orecchino e una lattina di coca-cola grazie al principio del ready-made e dell’assemblaggio: è direttamente il mare a restituire la materia scultorea di queste opere in cui l’artificiosità e l’anima pop delle rappresentazioni stridono facendo trapelare la sofferenza che si nasconde dietro l’urgente problematica dell’inquinamento delle spiagge. L’opera assume dunque una precisa identità che richiede necessariamente una visione che vada oltre la semplice percezione visiva. Questi “corpi” abbandonati e trasformati dal moto delle onde e dalla salsedine vivono nell’impossibilità di essere riassorbiti dalla natura.
Annarita Serra conduce la propria ricerca artistica nell’intuizione di mostrare il lato funzionale di questi inutili frammenti industriali e la loro potenziale riconversione in bellezza. Una poetica della vita nova quella della Serra che muove l’ispirazione dall’esperienza dell’arte povera, dalla quale è possibile riconoscerne le manifestazioni consolidate fino a individuarvi la personale sensibilità dell’artista. Tutte le opere presenti in Galleria saranno messe in risalto e valorizzate al meglio grazie al progetto studiato ancora una volta dallo studio Landar+T con la collaborazione illuminotecnica di Marco Pollice.
Si chiude in ring composition Naturalmente Plastica con le sculture floreali realizzate mediante tappi di plastica prima raccolti e poi tagliati, tritati, fusi e resinati. L’iniziativa coinvolge designer di professione e le madri detenute di San Vittore in un’unica esperienza insieme sociale e ambientale che simboleggia il recupero della plastica. I proventi della vendita delle sculture floreali saranno destinati a progetti di formazione per le detenute dell’ICAM.
Dalla mostra che pone l’attenzione sul riutilizzo della plastica al progetto inedito preparato per la decima edizione di MIA Photo Fair (10 – 13 settembre 2020), la galleria Federica Ghizzoni presenta Il cuore dei metalli, in cui torna protagonista Romana Zambon presso lo stand 39A. Segue coerentemente il fil rouge che tesse Federica Ghizzoni, dalla proposta in galleria fino alla personale della Zambon nella rassegna fieristica. L’attenzione si sposta sul recupero e riutilizzo dei metalli, la cui natura lirica diventa musa grazie a scatti che ritraggono acciaio, ferro, bronzo e rame nei processi di provvisorio abbandono, in attesa di essere destinati a nuove lavorazioni e usi. L’atmosfera di queste fotografie ha il sapore di un’aspettativa sospesa, incerta quanto sofferta, avvolta dal fascino del provvisorio abbandono che sprigionano le luci e i riflessi della materia privata della propria dignità funzionale.
Al di là dell’utile sono questi strumenti in metallo, leghe in disuso, strutture industriali, impianti meccanici e infra strutturali. Tra questi, alcuni possiedono un’anima metallica su cui riflettere in modo particolare, scatti che portano dentro la storia. Si tratta dei tiranti del Ponte Morandi di Genova, ceduto nell’agosto del 2018 e “rinato” in due anni. La nuova struttura verrà inaugurata la prossima estate, ma nessuno potrà mai dimenticare quel tragico martedì 14 agosto alle 11 e 36 minuti, quando il crollo improvviso ha interrotto la vita di 43 persone, lasciando tutti i loro cari impotenti, centinaia di persone sfollate e l’intero Paese paralizzato e in lutto.
Certo, questi non sono sempre oggetti qualsiasi e quando sappiamo provenire dalle strutture crollate del Ponte Morandi assumono ai nostri occhi una loro tragica vitalità come se ci volessero raccontare di quanta vita c’è in un cavo spezzato che ora si allunga nel vuoto” – Roberto Mutti
Oggetti metallici colmi di significato dunque, che costituiscono la porta d’accesso alla fantasia della fotografa che con coinvolgimento emotivo ne legge oltre l’apparenza, la sofferenza dell’animo umano. “Così si può scoprire che la fotografia possiede talvolta la prodigiosa capacità di dare vita a tutto quanto cattura con le sue immagini. Perfino oggetti metallici che sappiamo inanimati sembrano muoversi come se fossero attraversati da vibrazioni interiori che li fanno somigliare ora ad anemoni di mare sospinti dalle onde, ora a polipi dai mille tentacoli”. Sulle parole di Roberto Mutti lasciamo la fantasia lavorare, in attesa di poter ammirare queste sculture di anima e luce di metallo.
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