Monumentale, coinvolgente, ironica, bizzarra, profonda. Questi e altri gli aggettivi associabili alla principale e controversa opera del duo artistico Christo (1935-2020) e Jeanne-Claude (1935-2009): gli “impacchettamenti”. Ma cosa sono realmente?
Sono un’interruzione nella linearità del nostro sguardo distratto, abituato a guardare al mondo e al paesaggio come legge una parola: saltando le lettere in mezzo, legando all’istante la prima e l’ultima giungendo al significato velocemente, ma tralasciando così le sfumature della lingua. Se molto spesso il nostro cervello nemmeno si rende conto di un errore grammaticale all’interno di una parola o di una frase, tanto elabora velocemente l’informazione, è invece molto più difficile ignorare un gigantesco telo colorato che copre una grande porzione di terreno o un monumento. Allo stesso modo non possiamo rimuovere (ma nemmeno installare a dire il vero, tanto che alcuni imballaggi hanno richiesto anni di lavoro) l’installazione come correggiamo un’imprecisione nella battitura, così che siamo costretti a soffermarci su di esso, a farci anche sopraffare dalla monumentalità e dalla sua silenziosa ma dilagante eloquenza.
Cosa c’era li sotto, giusto qualche tempo fa? Non lo ricordo, o se lo ricordo avanza in me la sensazione di non averne goduto appieno, di non aver indagato la sua storia, di non averci prestato l’attenzione che meritava. O altrimenti può capitare di pensare: allora la città, il paesaggio, il mondo sarebbe così se questa sua straordinaria componente non esistesse? Forse addirittura la diamo così per scontata che di fatti finisce paradossalmente per non esistere, assorbita dal nostro scorrere quotidiano e dall’illusione che tutto si ripeterà senza fine. E ancora: cosa potrebbe esserci al posto di questo monumento coperto? Cosa potremmo fare, spesso sciaguratamente, di questo incredibile paesaggio incontaminato? Domande e possibilità si aprono dietro un gesto apparentemente semplice e ironico, che invece stimola molte più riflessioni e complessità di quanto a un primo impatto ci sembri fare.
È possibile, insomma, che l’essenza di un essere, animato o inanimato che sia, si manifesti nella sua totalità solo nel momento in cui scompare? Come il primo amore, che spesso in cuor nostro rimane il più grande, come la giovinezza, come i sogni, come le speranze, come la vecchia casa dei nonni, come quel bosco che è stato abbattuto, come il monumento tanto importante ora scomparso, come il Teatro Nazionale di Tirana. Come i ricordi. Christo e Jeanne-Claude non chiedevano di correggere l’errore – quello è temporaneo, è anche superfluo in sé e per sé – ma di osservare, di osservare veramente questa volta, tutte le lettere, tutte le parole, tutto i contesto attraverso cui l’elemento impacchettato assume valore e al quale contribuisce a dare valore. Con un gesto apparentemente bizzarro i due artisti ci hanno concesso la possibilità di esperire la perdita prima che questa sopraggiungesse, addirittura prevenendola, dando agli elementi impacchettati, ma anche a tutti noi, la possibilità di rivivere una seconda volta ancora prima di morire. Provate a chiedere a un vostro amico quanto sono belle le isole del Lago d’Iseo, chi rappresenta la statua equestre in Piazza Duomo a Milano, qual è uno dei ponti più rappresentativi di Parigi: forse lo sanno grazie a Christo. E, in ogni caso, passando per il centro di Milano, ora non potranno più escludere il contesto per catapultarsi sulla cattedrale, ma saranno portati a indugiare sulla statua che la guarda. Ciò che scompare per un breve lasso di tempo può così conquistarsi una vita nuova, forse mai avuta. Christo e Jean Claude ci invitano a leggere tutta la frase.
A chi sostiene, non completamente a torto, che proprio come una consueta pratica di imballaggio la coppia di artisti ha riproposto lo stesso meccanismo per tutta a carriera, si potrebbe obiettare in diversi modi. Una prima considerazione può essere che sono molti, molti più di quanti Christo sia riuscito ad imballare, gli elementi del nostro mondo che avrebbero meritato di essere esaltati tramite copertura, di essere svelati tramite un velo, di essere visti perché nascosti. In più non ogni imballaggio ha lo stesso significato: Floating Piers significa possibilità e contatto con la natura, Porta Pinciana a Roma significa storia, Wrapped Coast significa protezione della natura e così via per gli altri progetti. Ogni installazione vive dunque una sua specificità, la quale si traduce anche nell’impegno e negli sforzi per realizzarla. Alcuni aspetti dell’operazione sono infatti spesso trascurati: l’individuazione del luogo, l’ottenimento dei permessi, l’organizzazione logistica, la ricerca dei fondi (tutti i lavori sono finanziati dalla coppia di tasca propria), le soluzioni adattate affinché rimanga testimonianza dell’avvenimento temporaneo, il reperimento dei materiali e il loro smaltimento, l’assunzione della manodopera, la gestione delle condizioni meteo e tanti altri aspetti (su alcuni di questi si è espresso lo stesso Christo in un’intervista concessa ad ArtsLife l’anno scorso).
Non può essere certo come osservarli dal vivo, del resto ogni cosa del mondo è temporanea e destinata a scomparire, ma attraverso le immagini delle loro più grandi opere possiamo in qualche modo fare esperienza del loro messaggio, guardarli con attenzione, comprendere la loro specificità e, come ultimo augurio, di interessarci alla sostanza trattenuta sotto il telo così da donare loro, un’altra volta ancora, nuova e rinnovata esistenza.