Graham Sutherland è stato uno dei più significativi pittori inglesi del Novecento. Dipinse la guerra e la natura con il suo stile magmatico e mutevole. Tra le sue opere maggiori, spicca il ritratto di Winston Churchill.
“Dopo una certa età ognuno è responsabile della sua faccia”. L’ha scritto Albert Camus. Per me è un mantra, una verifica infallibile di quello che si cela sotto le fattezze umane.
E penso al ritratto di Churchill dipinto da Graham Sutherland, commissionato della Camera dei Comuni e della Camera dei Lord in occasione dei festeggiamenti per l’ottantesimo compleanno dello statista. Graham Sutherland non era certo un cortigiano, e rimase coerente alla sua interpretazione della natura in perenne mutazione nel tempo e nello spazio, e quindi della figura umana in chiave esistenziale. A tutto questo, quel gigante della storia non poté sottrarsi, e ne fu cavia innocente. La vecchiaia sarà anche bella in pittura, ma è pur sempre una mutazione irreversibile del corpo e dell’anima. Per cui, la faccia della quale Churchill era inevitabilmente responsabile era un groviglio di rughe e di ricordi. Appariva seduto – o meglio, quasi accasciato – su una poltroncina; il corpo era gonfio e tagliato sopra le caviglie. Ritirato il dipinto a manifestazione conclusa, e non esattamente soddisfatti, Churchill e la consorte Lady Clementine pare abbiano dato disposizioni al giardiniere della casa di campagna di dargli fuoco. Ne rimane più solo la testimonianza fotografica.
Sutherland è morto a Mentone, giusto sessant’anni fa. Aveva 73 anni. È stato uno tra i più stimolanti artisti inglesi del secolo scorso. Alla fine degli anni Trenta era già tenuto in considerazione dal collezionismo londinese, in bilico tra tradizione e avanguardia. Nel 1952 è stato presente con una personale alla Biennale di Venezia. L’approdo al successo internazionale è avvenuto all’inizio degli anni Sessanta, con il contratto di esclusiva concesso alla Galleria Marlborough di Londra, che aveva una decina di filiali nel mondo; quella di Roma, in via Gregoriana, era diretta da Carla Panicali, una signora assai elegante e quanto mai professionale.
Nel 1965, la Galleria Civica d’Arte Moderna di Torino ne decretò ufficialmente la grandezza con un’antologica. Il giorno dell’inaugurazione Carla Panicali era una regale padrona di casa, di mirabile efficienza. Il pubblico sabaudo ammirò, oltre alle sue opere, lo stile del pittore inglese, un vero gentleman attento e deliziosamente educato con gli interlocutori che Panicali gli presentava. Sul suo viso – e delle sue fattezze anche lui era inevitabilmente responsabile – non c’era traccia di ombra. Eppure la sua anima era stata messa a dura prova in passato. Nel 1940 aveva 37 anni, e Londra era sconvolta quotidianamente dai bombardamenti dell’aviazione germanica. Ritenuto valido pittore, l’Alto Comando dell’Esercito Britannico gli aveva affidato la mansione di riferire in chiave visiva e a futura memoria quella tragedia. Graham Sutherland aveva eseguito il suo compito con pitture splendide e sconvolgenti. Ne era uscito psicologicamente indenne, come rivelava il suo volto liscio e gentile, poiché tutto il dolore lo aveva trasferito sulla tela. In seguito avrebbe continuato a dedicarsi alla tematica della mutevolezza della natura e della figura umana. Ma in tutta coscienza non poteva fingere che non fosse accaduto nulla, e quindi anche la sua poetica chiave interpretativa registrò la sua irreversibile mutazione. Per lui l’oscurità dell’anima era imprigionata nel corpo della natura e dell’uomo, in un procedere di disfacimento. È in questo contesto che il Maestro inglese rivelava il rapporto compenetrante tra le radici aggrovigliate di un albero o di un cespuglio e la figura umana, anch’essa a fine percorso del suo ciclo naturale.
Il suo incontro con Churchill è la storia di un confronto fra due anime del tutto opposte. Da una parte agisce il pragmatismo attivo di chi la Storia l’ha vissuta sulla sua pelle, dove rimane inevitabilmente aggrovigliata. Dall’altra, è dominante il dono innato e prezioso della poesia, che trasferisce i segni epidermici del dolore in un salvifico racconto visivo.