Leandro Summo è un new media artist nato nel 1990 a Corato. Oggi vive e lavora a Ruvo di Puglia. Esperto di modellazione 3D, realtà virtuale aumentata, animazione e videomapping, si è formato presso l’Accademia Di Belle Arti di Bari ed è fondatore di Studio Leandro Summo. In dialogo fra arte, scienza e natura sviluppa la sua ricerca sperimentando le potenzialità espressive e comunicative dei dispositivi elettronici e digitali attraverso un fare delicato e attento alle relazioni sensibili ed emotive.
Cosa significa essere un artista e quali differenze noti fra i tuoi esordi e oggi?
Una domanda che mi son sempre posto, a cui forse non risponderò mai concretamente. Credo che essere artista sia semplicemente un elemento essenziale che porto con me. Un’operazione che svolgi dall’infanzia e che per forze di causa maggiore ti segue per tutta la vita. Non esiste un vero fine, lo fai e basta. Potrebbe essere una mia presa di posizione, un’assunzione di responsabilità etica ed estetica o la traduzione di una esperienza in un prospetto consapevole di azione. Mi limito semplicemente a vivere il mio tempo e il mio spazio con il desiderio di relazionarmi con gli altri, in particolare condivido le mie esperienze, condizione necessaria per dare senso e compimento a un’opera nel suo insieme. Utilizzando parole di Domenico Quaranta: “L’artista custodisce per sé il mondo che si è dispiegato sotto i suoi occhi, accontentandosi di regalarci i frammenti che, per lui, ne costituiscono l’immagine più significativa.”
In non molti anni questa condizione, a mio modesto avviso, sta notevolmente cambiando e, soprattutto, sta cambiando il modo di considerare l’artista. La possibilità di esser condiviso e apprezzato dal mondo dei social network sta creando sempre più leve autoproclamate di artisti. La linea che divide l’arte da un elemento decorativo e accessorio sta diventando sempre più sottile.
Stiamo perdendo il dono del sentire, sommersi da una produzione in serie di “esercizi di stile” transitori. Questo un po’ mi spaventa.
Quali tematiche trattano i tuoi lavori e che progetti hai in programma?
Ho sempre posto dinanzi a tutto la ricerca di un mondo di fatti minimi e poco rilevanti in superficie ma enigmatici pur nella loro usuale familiarità. Azioni e percezioni giocano un ruolo fondamentale, insieme alla codifica dello spazio anche in termini relazionali, nel prender coscienza della necessità di pensare l’essere umano a partire dalla Natura; un richiamo alle origini delle cose.
Questo mi ha condotto verso opere che partono da uno spazio contenitore privo di dimensione percepibile, senza principio né fine, che grazie all’uso di elementi semplici e fondamentali come il tratto e la luce, si trasformano in contenitori narrativi in cui generare morfologie dotate di qualità estetiche. In questo istante sono al lavoro sull’interpretare, tramite dispositivi biomedici, la percezione multimodale del mondo attraverso il corpo. Ero in procinto di presentare queste nuove opere in una mia personale presso il Museo dell’Università Nazionale di Seul che si sarebbe dovuta tenere nel mese di Luglio 2020, insieme a una serie di performance live in dieci diversi teatri della Corea del Sud. Purtroppo, vista l’emergenza sanitaria che stiamo affrontando, il tutto e stato posticipato al 2021, insieme alla programmazione di altre esposizioni e performance.
Come ti rapporti con la città e il contesto culturale in cui vivi?
Ho sempre avuto un legame molto saldo con in mio paese. Vivo a Ruvo di Puglia, un piccolo paese a nord di Bari dalla storia millenaria. Dai beni che gli avi ci hanno lasciato ho sempre trovato consiglio. Ho trovato ispirazioni per la mia produzione soprattutto dall’interesse emotivo dell’uomo verso il cosmo, la sua solidarietà con gli elementi della natura, il suo senso profondo della continuità della vita e della relazione organica tra i vivi e i morti, tra individuo e gruppo, tra la materia e la realtà mitica che alla materia dà senso. Una comunità, la nostra, dove la memoria del passato riecheggia nel presente.
Cosa pensi del “sistema dell’arte contemporanea”?
Sono sincero, il “sistema dell’arte contemporanea” è un argomento che non ho mai compreso perfettamente e da sempre lo affronto con molto disinteresse data la sua configurazione divenuta per lo più mera amministrazione. Personalmente credo in un sistema dell’arte che va oltre il senso che gli è stato attribuito e cerco sempre di focalizzarmi sul vero significato della parola “sistema” inteso come “Complesso di elementi che, mantenendo le proprie caratteristiche, formano un tutto organico, integrandosi a vicenda”. Il sistema dovrebbe essere composto da persone capaci di contaminarsi per andar in opposizione alla frammentarietà e alla divisione presente nel nostro mondo.
Di quale argomento, oggi, vorresti parlare?
In questi giorni mi ritrovo sempre a riflettere sul tema della morte nell’era digitale. In un periodo storico in cui stiamo tentando di rendere l’identità elettronica indipendente dall’esistenza biologica saremo capaci di vivere in eterno? La morte fisica, che ha luogo in un istante eccezionale, non coincide sicuramente con la morte digitale. La vita digitale sopravvive alla vita fisica e fa sì che tutto ciò che in rete riguarda la persona continui a essere operativo oltre la morte dell’individuo. A differenza dell’unico corpo fisico, esistente in un unico posto, fragile, il corpo digitale è capace di stravolgere la dialettica tra il rimasto e il perduto?
Questo contenuto è stato realizzato da Marco Roberto Marelli per Forme Uniche.
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