Il programma elaborato dalla task force guidata da Vittorio Colao dedica un intero capitolo a Turismo, Arte e Cultura. Ma l’approccio liberal è indigesto a 5 stelle e PD
Si avvicina l’ora X, quella degli Stati Generali voluti da Conte per fare il punto sulla ripartenza italiana e sui progetti per il futuro, al via venerdì 12 giugno a Roma. Ma più si avvicina, e più pare affievolirsi la centralità che pareva dovesse avere in quella sede il Piano Colao. Quello strutturato programma elaborato dalla task force guidata dal manager London based, che però pare aver scontentato i 5 stelle in blocco e anche una fetta del PD.
Eppure Vittorio Colao ci sarà, a Villa Doria Pamphili, e di certo le sue proposte non passeranno nel silenzio del ricchissimo parterre previsto, animato da importanti politici anche europei, da industriali, sindacalisti, imprenditori, manager pubblici e privati. E anche da intellettuali ed esponenti del mondo della cultura: tra i nomi quelli di Renzo Piano, Stefano Boeri, Massimiliano Fuksas. È curioso notare come in occasioni istituzionali come questa, l’area creativa venga quasi sempre rappresentata da architetti: sarebbe materia per un interessante saggio socio-antropologico.
Comunque, il Piano Colao c’è, ne circolano già delle bozze, per cui è il caso di darci uno sguardo. Tanto più, per quel che ci riguarda più da vicino, che contiene un intero capitolo dedicato a Turismo, Arte e Cultura. Dove la parte del leone, come è ovvio e comprensibile, vista anche l’impostazione data alle politiche del Mibact dal ministro Franceschini, la fa il settore del turismo.
“Il settore turistico è impattato dalla pandemia in modo gravissimo per limiti al tasso di occupazione a causa delle misure di distanziamento sociale, riduzione della stagione, fortissimo calo (nella migliore delle ipotesi) del turismo estero con margini di recupero nel secondo semestre 2020 molto limitati”, è la presa di coscienza che apre il contesto nel capitolo.
Quando il documento si addentra nell’immancabile integrazione fra turismo e offerta artistico-culturale, iniziano a emergere le note dolenti. “Gli investimenti in asset culturali in Italia sono attualmente limitati rispetto ad altri Paesi”, prende atto il Piano. “Il budget italiano per la cultura è inferiore del 50-70% rispetto ai principali concorrenti europei e in riduzione del 50% dal 2010”.
Fra le proposte avanzate per colmare questo gap fanno un po’ sorridere quelle che prevedono di “Attrarre e gestire filantropi stranieri” o di “Potenziare l’Art bonus”, visti i risultati non certo incoraggianti avuti ad oggi. Più interessante, se non altro strutturale e di prospettiva, quella che suggerisce di lavorare sulla “massimizzazione dei ritorni economici diretti ed indiretti, attraverso un orientamento a best practice di mercato su attrazione visitatori, pricing, ricavi indiretti e valorizzazione indotto”.
Si entra nel vivo al paragrafo 55, che recita “Riforma modelli gestione enti artistici e culturali”. E fra le considerazioni che costruiscono il contesto, fa capolino un passaggio che tradisce l’indigesto approccio “liberal” di Colao, e di conseguenza la contrarietà di 5 stelle e parte del PD. “La gestione interamente pubblica del patrimonio culturale e l’indolenza nella ricerca di risorse disincentivano lo sviluppo di partnership pubblico-privato per la valorizzazione degli asset culturali”, nota il Piano. “Le concessioni attuali si traducono in meri appalti di servizi labour intensive e a basso valore aggiunto (biglietteria, bookshop, visite guidate, audioguide, vigilanza)”. Settis e Montanari avranno una sincope, leggendo queste cose.
E i rilievi si fanno decisamente più robusti poco più in basso: “Nonostante il primato internazionale per numero di beni culturali (primo posto per patrimonio Unesco), l’Italia soffre di insufficienti risorse per la tutela e lo sviluppo del patrimonio artistico e culturale a fronte del singolare valore strategico che questa risorsa rappresenta”. Più chiaro di così…
Quasi scontate, alla luce di questo, le “azioni specifiche” raccomandate: fra le quali spicca il “Potenziare partenariato pubblico-privato con finanza di progetto, incentivando il coinvolgimento dei privati attraverso progetti specifici e sponsorizzazioni nel sostegno dei luoghi della cultura”. Oppure il rinnovamento del “sistema di incentivi per le aziende titolari di concessioni, al fine di premiare gestioni virtuose”. O ancora: “Individuare ulteriori siti e beni con potenziale inespresso e incentivarne la fruizione anche tramite lo sfruttamento di sinergie con i privati”.
Ma il Piano Colao dimostra la sua scarsissima aderenza allo status quo italiano quando arriva a consigliare di fornire “autonomia di assunzione/licenziamento dei dipendenti sulla base delle competenze specifiche necessarie e coerenza con i piani di sviluppo formativi dell’ente per i Musei Autonomi, Poli Museali e Soprintendenze”.
Quasi scontato, purtroppo, è anche che con queste idee – che magari modernizzerebbero un po’ le stantie procedure della macchina pubblica italica – l’incosciente Colao firma la sua inappellabile condanna agli occhi degli attuali super-statalisti governanti. E per questo sarà immantinente impacchettato e rispedito oltre Manica, assieme alla sua temeraria task force.
Massimo Mattioli