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L’energia camaleontica della cultura accende Villa Vertua Masolo. Intervista a Simona Squadrito

Amaretto, 2019 - installation view - Bea Viinamäk, Jimmy Milani - Villa Vertua Masolo (MB) - Ph. by Cosimo Filippini. Mostra a cura di Giacomo Montanelli
Amaretto, 2019 – installation view – Bea Viinamäk, Jimmy Milani – Villa Vertua Masolo (MB) – Ph. by Cosimo Filippini. Mostra a cura di Giacomo Montanelli

Villa Vertua Masolo, edificio liberty sorto in un elegante parco a nord della città di Milano, negli ultimi anni si è fatta avamposto della più avanzata ricerca in ambito estetico. Le sue numerose sale hanno ospitato una serie di progetti espositivi che hanno indagato vari aspetti dell’arte contemporanea internazionale attraverso modalità tematiche e allestimenti in linea con le più avanzate ricerche internazionali, ospitando gli stessi artisti e curatori che troviamo attivi in più famosi panorami.
Fulcro rotante di questa rizomatica effervescenza è Simona Squadrito, giovane curatrice che ha da poco terminato il suo mandato di direttrice di Villa Vertua Masolo. Attraverso il suo avvincente racconto abbiamo ripercorso cinque significative tappe di questa esplosiva avventura!

Senza seguire un ordine cronologico vorrei partire da Stupido come un pittore, progetto in tre tappe che ha messo in dialogo te e la curatrice Rosella Farinotti con il fare pittura oggi e con differenti sensibilità artistiche.

Stupido come un pittore è tra i progetti realizzati in Villa Vertua che più ho amato.
Dopo la personale di Thomas Berra e di Lorenza Boisi, avevo il desiderio di costruire un progetto più ampio capace di coinvolgere alcuni amici pittori che stimo e con cui lavoro da molto tempo.
Come hai giustamente ricordato, Stupido come un pittore, si è sviluppato insieme a Rossella Farinotti, amica e critica con la quale non avevo mai lavorato prima di allora.
Grazie alla sua spinta, l’idea iniziale si è spostata da una dimensione più intima, affettiva e forse mono corde,  a una più partecipativa e di confronto.
Abbiamo fatto convergere le nostre ricerche e le nostre sensibilità cercando, per quanto ci è stato possibile, di rispettare un’armonia di fondo.
Di fatto, la nostra idea non è mai stata quella di proporre un’esposizione di opere ma di offrire una visione. È stato come sottolineare qualcosa nel mondo o dentro una pagina di un libro. Abbiamo realizzato due mostre atmosferiche e immersive, soprattutto per chi ama la pittura.
Con gli artisti abbiamo lavorato in grande armonia e i due allestimenti finali sono stati l’esito di un’operazione corale e partecipata, penso sia questo il motivo della riuscita del progetto.
Con il primo capitolo abbiamo voluto sottolineare quelle ricerche pittoriche orientate più sulla grammatica della pittura, con una tensione in alcuni casi verso l’astrattismo e l’automatismo (Pesce Khete – Thomas Berra – Valentino Vago), in altri, invece, più su una pittura plastica, scultorea o come l’abbiamo definita in quella occasione: extrapittorica (Sebastiano Impellizzeri – Nicola Melinelli).
La nota triste e dolente di questa esperienza è stata l’improvvisa morte di uno degli artisti in mostra, Valentino Vago, scomparso qualche giorno prima dell’inaugurazione.
Resto dell’opinione, avendo conosciuto Vago, anche se poco, che se avesse avuto la possibilità di visitare la mostra ultimata, l’avrebbe senz’altro apprezzata.
Se colore, luce, spazio, aniconicità e extrapittoricità  sono stati gli elementi centrali della prima tappa, paesaggi, figure e scene – insieme all’elemento decorativo della pittura – sono stati gli elementi su cui si è sviluppata la seconda, in cui ha trovato posto anche una cospicua selezione di disegni di Mimmo Germanà e un suo grande dipinto a olio rappresentante un pittore.
Come hai ricordato è prevista una terza tappa, tappa che io e Rossella vogliamo ancora realizzare.
Non ci stiamo mettendo fretta, e questo perché ci siamo reciprocamente promesse di chiudere questo ciclo quando saremo capaci di sostenere le spese che la sua realizzazione comporterà.  I mezzi sono quelli che sono, ovvero scarsi, e tutte le mostre che ho realizzato in Villa Vertua Masolo sono state autofinanziate.

Pelle d’oca, 2010, installation view – Nicola Melinelli, Marco Schiavone – Villa Vertua Masolo (MB) – Ph. by Martina de Rosa. Mostra a cura di Simona Squadrito e Lisa Andreani

Ora vorrei fare un salto nella tua regione di origine, la Sicilia. Come nasce Palermo Microonde, progetto ideato da Giorgio Mega e Gianluca Concialdi, coordinato da Adriano La Licata, che racconta una città splendida e controversa attraverso le sue molteplici energie invisibili?

È una mostra che parte da lontano.
Tutto è iniziato nel luglio 2019 quando ho conosciuto, a Torino, Gianluca Concialdi.
Sono stata immediatamente attratta da lui, dal suo modo di fare, ho poi iniziato a fare un po’ di ricerca sul suo lavoro. Qualche mese dopo ho rimediato alla mia ignoranza raggiungendolo nel suo studio di Palermo. È stato a quel punto  che ho  inviato  Gianluca a esporre in Villa Vertua.
Io speravo in una sua personale, ma Gianluca Concialdi, artista a cui è difficile se non impossibile far cambiare idea, ha insistito su un progetto collettivo che ha coinvolto molti dei suoi amici e colleghi palermitani, che ho avuto la fortuna di conoscere e con cui sono tutt’ora in contatto.

Amaretto nasce da un’idea dell’artista Giacomo Montanelli. Come questa mostra sviluppa una riflessione sul collezionare arte e sulla dimensione domestica delle “cose”?

Amaretto è il primo progetto esterno (non selezionato dal Comune di Nova Milanese e non curato da me) che ho ospitato in Villa Vertua. È stato un atto di fiducia che ho avuto nei confronti di Giacomo Montanelli, tutt’ora giovanissimo pittore, a cui ho voluto dare l’opportunità di realizzare una mostra interamente pensata da lui, in un bellissimo spazio.
Durante il periodo in cui lavoravamo a Stupido come un pittore, lo sentivo lamentarsi del lavoro dei curatori e ho percepito che aveva bisogno di più spazio per esprimere le sue idee, così, senza pensarci troppo, ho deciso di dargli la possibilità di inaugurare il suo progetto nei locali della Villa appena raddoppiati e risanati.
Amaretto è stata una mostra sul gusto e sull’ornamento che ha opportunisticamente usato il cliché del collezionismo. Rispetto alla mia ricerca individuale alcune sue scelte curatoriali mi sono lontane, nonostante ciò ho ammirato il progetto e la professionalità di Montanelli. Ritengo sia fondamentale per chi ha la responsabilità di gestire un luogo pubblico saper oltrepassare i propri personali limiti di gusto e ideologici.

Simona Squadrito, 2020 – Courtesy Simona Squadrito

Un racconto per stazioni, che si sviluppa stanza dopo stanza, accompagna il visitatore di Pelle d’oca. Come la mostra riesce a generare una narrazione e un ambiente immersivo?

Diciamo che con  Pelle d’oca questo aspetto non si è realizzato pienamente.
Facendo un po’ di sana autocritica ritengo che i fattori della non perfetta riuscita del progetto siano stati molteplici. Da un lato io e Lisa Andreani abbiamo fatto una valutazione errata dello spazio che ci ha spinte a selezionare troppe opere, secondariamente alcune opere sono state sostituite in corso d’opera, alcune, ad esempio, perché andate parzialmente danneggiate durante il trasporto.
Ci siamo trovate a dover risolvere, in fase di allestimento, diversi problemi tecnici, acuiti dal fatto che in mostra c’erano trenta artisti con richieste ed esigenze tra loro molto diverse e spesso inaspettate. Pelle d’oca è una di quelle mostre che, viste le sopraggiunte difficoltà, mi ha insegnato diverse cose utili che sfrutterò nei miei futuri progetti.
Anche in questo caso, trattandosi di un progetto co-curato, mi ha dato la possibilità di esplorare dimensioni e mondi prima di allora sconosciuti.
Non meno importante, Pelle d’oca è stata un’occasione per lavorare con artisti che conosco da anni ma con cui non avevo mai sviluppato alcun progetto; ho avuto splendide rivelazioni come, per esempio, Giuseppe Abate, Marco Schiavone, Jimmy Milani, Nicole Colombo, Marco Ceroni,  Eleonora Luccarini e Luca Loreti, artisti di grande professionalità e umiltà.
Tra i migliori esiti di questo progetto va certamente ricordato il piccolo catalogo, simile a un libro d’artista collettivo, edito da REPLICA, impreziosito da un suggestivo racconto inedito di Luca Scarlini.

Stupido come un pittore #1, 2018 – installation view – Nicola Melinelli, Valentino Vago, Villa Vertua Masolo (MB) – Ph. by Cosimo Filippini. Mostra a cura di Simona Squadrito e Rossella Farinotti

Spoken Narratives è una mostra di REPLICA, archivio italiano del libro d’artista. Come nasce questa raccolta di “testi” e quali finalità si pone?

C’è stata una doppia selezione di testi. Il primo nucleo comprendeva i libri d’artista di Francesco Pedraglio e delle edizioni edite da Juoan della Cosa, la casa editrice indipendente  fondata da lui e da Tania Pérez Còrdova.
Il secondo nucleo, invece, ruotava attorno a una selezione di dieci  libri d’artista provenienti dalla collezione di Diego Bergamaschi, che ha anche curato questa sezione.
Quelli che tu indichi come “testi” sono in effetti dei libri d’artista.
Si è trattato di una selezione eterogenea, dove ogni libro cedeva il passo al libro successivo, condividendo sia con le opere esposte, sia con l’intera selezione alcuni topoi, declinati in modi diversi.
Ogni volume esprime a suo modo un’idea di performatività del libro e della narrazione, offrendo anche delle connessioni articolate con le opere di Pedraglio presenti in mostra.Per farti alcuni esempi: i due libri di Mette Edvardsen I am Four Quartets by T.S. Eliot by Sébastien Hendrickx e Against the forgetting. Selected poems by Hans Faverey and Bruno De Wachter, si relazionavano in modo quasi speculare con le due piccole sculture della serie Spoken Sculpture.
Nel caso di Mette Edvardsen abbiamo a che fare con dei libri scritti a partire da ricordi dei partecipanti alla sua biblioteca dei libri viventi, una riscrittura di classici della letteratura attraverso un processo di apprendimento e di dimenticanza. Nel caso delle due Maquette abbiamo a che fare con oggetti che si attivano grazie alla loro natura dialogica che prende forma tutte le volte che un utente decide di chiamare il numero di telefono sopra inciso. La telefonata racconterà una storia scritta dall’artista. Un altro  dialogo ben riuscito è quello instaurato tra i libro di  Giuseppe de Mattia 10 lanci di fascia elastica e le Spoken Sculpture di Pedraglio. In questo caso viene sottolineata la natura perfomativa di un gesto che diventa segno, e viceversa.
Un altro esempio che sposta di qualche grado le prospettive appena accennate è quello di Speech Karaoke di Elena Mazzi che si costruisce a patire da una trascrizione di discorsi avvenuti in eventi pubblici organizzati dall’artista a Napoli.
Spoken Narratives è una piccola mostra intelligente, che io e Lisa Andreani abbiamo prodotto per provare a sfidare alcuni limiti legati alle mostre sui libri d’artista, cercando di trovare una via nuova di comunicazione tra i libri e altri linguaggi artistici. Come avviene in tutte le mostre dei libri d’artista, la pecca è la necessaria presenza delle teche che allontana e rende inaccessibile l’opera al pubblico, perché il libro d’artista per essere fruito deve essere toccato e sfogliato. Fruire un libro sotto teca è come osservare un dipinto con ancora il cellofan protettivo.
Per baipassare, anche se in parte, questo problema abbiamo deciso di espandere la mostra attraverso degli approfondimenti online, tuttora fruibili nella rubrica ATPreplica e attraverso la pubblicazione di una fanzine a edizione limitata che è stata distribuita gratuitamente ai visitatori della mostra.

Spoken Narratives, 2020 installation view, – Villa Vertua Masolo, courtesy of the artist,
Norma Mangione Gallery and Diego Bergamaschi, photo credits REPLICA

Questo contenuto è stato realizzato da Marco Roberto Marelli per Forme Uniche.

https://www.instagram.com/villavertuamasolo/

https://www.instagram.com/progetto_replica/

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