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A tu per tu con gli autori di Giugno, il libro da leggere anche quando sarà già luglio

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In libreria c’è un romanzo che si chiama Giugno, ma lo puoi leggere anche quando sarà già luglio, o addirittura a gennaio. Sembra un libro per ragazzi, ma non è proprio così. Contiene diverse espressioni in bergamasco, ma lo capisci anche se sei di Palermo. Insomma, ci sta un sacco. Ce lo siamo fatto raccontare dai due autori, Paolo Bontempo e Gianluca Dario Rota, che fanno parte del Collettivo CRIU.

Se scrivo Longuelo su Google mi esce una chiesa a forma di tenda e un campetto da calcio, eppure dopo aver letto Giugno ho voglia di andarci. Edito da Sperling & Kupfer, anche se non si giudica un libro dalla copertina, io Giugno l’ho giudicato così: colori pastello che sanno d’estate, un gruppo di adolescenti annoiati che mi ricorda me stessa e il nome di un mese che è la promessa di qualcosa di leggero, qualcosa di cui c’è bisogno dopo la pesantezza del lockdown. L’unico timore era che fosse un po’ troppo un libro per ragazzi, di quelli che ero legittimata a leggere dieci anni fa, ma già dopo il primo capitolo ho capito che non era così. Anzi, ho il distacco necessario a comprendere gioie e drammi del suo protagonista, ma anche la vicinanza di chi l’adolescenza non l’ha poi superata da tanto. Lui si chiama Domenico, ha dodici anni, e giugno è il suo mese preferito perché la scuola (di merda) è finita. Ma ancora non sa che giugno quest’anno non è lo stesso di sempre, che a dodici anni è il mese in cui avere troppa libertà è come giocare a prato fiorito. Paolo Bontempo (Bergamo, 1996) e Gianluca Dario Rota (Concorezzo, 1993) hanno scritto un romanzo di formazione straordinario ambientato nella periferia di Bergamo, dove ville pompose si alternano ai casermoni delle case popolari, e gli adolescenti si dividono tra chi fa esplodere i petardi allo skate park e chi vende le torte di beneficienza all’oratorio. Domenico si ritrova spaccato tra questi due mondi, ma presto scopre che tenere il piede in due scarpe non è comodo per niente.

Giugno
Giugno nasce come sceneggiatura, con cui avete vinto il Premio Mattador 2019, e solo dopo diventa romanzo. C’è la speranza che diventi un film? 

Tre anni fa, alla Scuola di Cinema che frequentavamo insieme le lezioni erano finite, ma noi avevamo voglia di lavorare ancora a delle nostre idee. Da una di queste si è originato il primo nucleo della storia di Giugno. Da lì in poi non abbiamo praticamente mai smesso di lavorarci. Con Andre e Ste, anche loro compagni di accademia, abbiamo scritto l’intera sceneggiatura. Siamo finiti a un evento di pitch e per puro caso c’erano le case editrici, a cui la storia è piaciuta moltissimo. Per quanto riguarda il cinema, beh, la storia è nata come film, la speranza c’è sempre.

La scuola di merda è finita e giugno è il mese più bello dell’anno è un po’ il leitmotiv del romanzo. Perché giugno è il mese più bello dell’anno? Lo è solo in età scolastica o lo rimane per sempre, ad esempio per quei tramonti che durano quattro ore?

Quando vai a scuola sicuramente giugno è un mese del diaz. Il mese in cui la scuola finisce e iniziano le vacanze, cosa vuoi di più? Anche quando smetti di andare a scuola, quell’emozione di giugno ti rimane sempre un po’ dentro.

P: cioè che proprio pensi “cazzo è finita la scuola” ma in realtà a scuola neanche ci stai andando.

G: la luce che c’è a giugno racconta di quella libertà. Quel momento in cui all’improvviso ti accorgi che alle nove di sera il cielo è ancora azzurro e le giornate sembrano non finire mai. E il tempo si allunga, diventa più denso, pieno di cose, ti fa sentire che puoi vivere di più.

Paolo Bontempo e Gianluca Dario Rota | Foto di Lorenzo Arrigoni
Siete membri di un collettivo di sceneggiatori che si chiama CRIU, e le sceneggiature spesso sono frutto di collaborazione. Come si fa a scrivere a quattro mani quando si tratta di un romanzo?

Sì, CRIU è il nome del nostro collettivo che è nato proprio negli stessi mesi in cui nasceva Giugno. Per noi il collettivo significa condivisione di idee, lavoro di gruppo. Come dicevamo prima, anche la sceneggiatura di Giugno l’abbiamo scritta in quattro. Nel cinema è più normale questo approccio al lavoro, ma quello di cui ci siamo accorti noi è che in generale la fase di condivisione delle idee e degli spunti è fondamentale. Scrivere questo romanzo è stato un esperimento che non avevamo idea di come sarebbe finito. Però alla fine è andata bene. 

P: un’altra cosa che diciamo sempre. Io e Gian abbiamo stili totalmente diversi, però quando rileggiamo Giugno non ci ricordiamo chi ha scritto cosa. Giusto per far capire la simbiosi che c’è stata.

G: Io non avrei mai pensato di riuscire a scrivere a quattro mani con qualcuno, perché sono sempre stato molto geloso di quello che scrivevo, soprattutto della narrativa in senso classico. Invece con Paolo si è creata una sintonia e un’alchimia strana, nata, penso, dalla condivisione di un certo tipo di sensibilità ma anche dallo scontro di forti diversità. E soprattutto dalla nostra amicizia direi.

Il libro è scritto in maniera schietta, con il linguaggio di un ragazzino di dodici anni. Eppure è godibile anche per un adulto. Da cosa è stata dettata questa scelta?

Questa è una bella domanda perché ci permette di spiegare alcune nostre intenzioni. Praticamente già dalla prima pagina del romanzo avevamo capito che il pubblico di riferimento non erano i ragazzini (soprattutto non quelli delle medie), ma che stavamo parlando a un target trasversale. Giugno non si può definire un libro per ragazzi in tutto e per tutto, perché ha pochissimi filtri e perché non rientra in quel genere di letteratura. Per definire il target abbiamo sempre usato la parola “cross-over”, ma non chiederci cosa vuol dire. Calarci nella parte è stato semplice, perché è stato un po’ come tornare a quell’età lì, con divertimento e leggerezza. 

P: e poi quell’età lì è il momento in cui stai di più “in strada” coi tuoi amici. Proprio se calcoli il tempo in cui i tuoi piedi toccano l’asfalto.

Paolo Bontempo e Gianluca Dario Rota | Foto di Lorenzo Arrigoni
Tu Paolo sei di Bergamo, perciò la realtà che descrivi è la tua. Come hai fatto tu, Gianluca, a calarti in un ambiente che non ti appartiene propriamente? 

P: sì, il libro è ambientato a Bergamo, addirittura nel mio quartiere. Parlare di “realtà che descrivi” forse porta un po’ fuori strada, nel senso che il libro non vuole documentare una situazione sociale legata ai quartieri della città. Ne sfrutta l’ambientazione per raccontare una storia. Una roba bella è proprio “il mondo” che si è creato, che  ha condensato la mia esperienza a quella di Gian, Andre e Ste mentre scrivevamo la storia. Si potrebbe definire una “Bergamo immaginaria” che diventa simbolo di una qualsiasi città del nord Italia.

G: Sì, e proprio per questo entrare in quel mondo non è  stato difficile per me, perché era un mondo che creavamo insieme. Per me l’oratorio in cui Domenico entra ha sempre avuto l’aspetto dell’oratorio del mio paese, Concorezzo. E scrivendo insieme abbiamo trovato tanti punti di contatto tra il vissuto mio e di Paolo, che è il vissuto, penso, di tantissimi ragazzi della nostra età e non, che in qualche modo hanno avuto l’infanzia e l’adolescenza segnata dalla presenza dell’oratorio, anche se non lo frequentavano. Le vere differenze che abbiamo trovato tra Bergamo e la Brianza non erano tanto nelle dinamiche di quartiere/paese, ma nella parlata, nei modi di dire. 

Quanto c’è della vostra esperienza personale in questo romanzo?

P: i collegamenti più evidenti alla mia vita personale riguardano più che altro l’oratorio. Ho fatto l’animatore al centro estivo per anni. Aver raccontato la storia di Domenico mi ha dato la possibilità di guardare da fuori questa esperienza. E poi i petardi, va beh, di quelli ero un fan, insieme a mio cugino li sparavamo sempre. Da qualche parte volevo metterceli.

G: io invece ho sparato pochissimi petardi nella vita, e all’oratorio ci sono arrivato molto tardi, alla fine dell’adolescenza. Però, come dicevo, anche se da bambino lo frequentavo poco, è stato sempre un luogo presente nella mia vita. Tutti i miei amici ci andavano e a volte mi ci trascinavano. Forse alcune delle scene di Giugno che più raccontano di me sono quelle in cui Domenico muore dalla vergogna e dall’imbarazzo, immerso in quel mondo estraneo. È stato bello guardare quei momenti da lontano, immergermi di nuovo in quelle sensazioni, però con tutta la coscienza che posso avere ora degli aspetti positivi e negativi della realtà dell’oratorio.

Raggiunto questo enorme traguardo, quali sono i piani per il futuro? 

Con il collettivo abbiamo sempre mille progetti aperti, quindi per dirti a cosa stiamo lavorando ci impiegheremmo un sacco. Ci stiamo muovendo in varie direzioni, speriamo di raggiungere gli obiettivi che ci siamo dati in tempi brevi. Se leggete CRIU da qualche altra parte vuol dire che ci siamo riusciti.

Giugno

Puoi acquistare Giugno in libreria, oppure online.

*Paolo Bontempo e Gianluca Dario Rota | Foto di Lorenzo Arrigoni

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