Hybrid Archipelago è una modalità di dialogo; come un arcipelago ibrido delinea una nuova morfologia che unisce le pratiche estetiche degli artisti emergenti italiani con le loro destinazioni, che da forma al ruolo centrale della cultura visiva. Questa conversazione è dedicata a Pier Alfeo (Molfetta, 1985).
La tua ricerca ambivalente nelle due discipline, musica e arte visiva, è di rilevante interesse. Partendo dal manifesto di Luigi Russolo L’arte dei rumori – nel quale teorizzò il «suono-rumore» come «naturale evoluzione della musica parallela al moltiplicarsi delle macchine» – passando all’espandersi, nella musica, del rumore come suono fino ai tuoi lavori: quali sono le basi teoriche del tuo fare?
Per molti il manifesto di Luigi Russolo rappresenta il vero punto di partenza dell’affascinante percorso della “musica elettronica” perché anticipa la visione che, sicuramente più completa, Pierre Shaeffer svilupperà successivamente, per poi teorizzare la “musica concreta” in un suo trattato del 1966. In realtà Russolo potrebbe aver tratto ispirazione dal compositore Hector Berlioz, dalla Sinfonia op.14 detta “fantastica”, composta nel 1830, un lavoro estremamente complesso, vivace e innovativo nel quale l’autore è alla costante ricerca di effetti particolari se non bizzarri, ritmi singolari, strumentazioni e armonie originali.
Quest’attitudine a ricercare nuovi timbri e possibilità compositive anima il mio percorso di ricerca, in particolare mi affascina utilizzare o ricreare suoni concreti proveniente da ogni fonte, creare con essi linee ritmiche irregolari o che ne mascherino la pulsazione metrica, destabilizzando la percezione del tempo.
A Pierre Shaeffer, quindi alla scuola francese della musica concreta e al concetto di “oggetto sonoro”, si contrappone la scuola di K. Stockhausen a Colonia, con tecniche più fredde che generano il suono elettronico “puro” attraverso la sintesi; colloco la mia ricerca a metà strada tra le due scuole di pensiero sia per la filosofia del suono sia per le tecniche da me utilizzate.
Pensando a ciò che caratterizza il mio lavoro dal punto di vista estetico, Iannis Xenakis traccia una linea di connessione tra la sfera sonora e quella più visuale di cui condivido il gusto e il modo di visualizzare e studiare il suono a livello micro e macro strutturale. Apprezzo anche la sua teorizzazione della “musica stocastica”, che cerca di avvicinarsi ai fenomeni biologici e agli avvenimenti naturali del mondo vivente attraverso la manipolazione dei suoni e la loro composizione. Allo stesso modo mi piace pensare al mondo come a un’infinita palette di colori con cui poter giocare come un alchimista, generando nuove configurazioni di senso, avvalendomi sia dell’esperienza sia di nozioni tecniche come l’acustica, la psico-acustica, la fisica, la matematica e l’informatica.
Questo innovativo modo di concepire il suono nasce sicuramente dall’avvento della rivoluzione industriale e tecnologica; al mutare del contesto culturale consegue il mutare delle condizioni di ascolto, e qui la necessità di evolvere il lessico musicale inglobando sonorità slegate dagli organici strumentali tradizionali, introducendo suoni che raccontano il nostro nuovo scenario. Infatti, Pierre Shaeffer teorizza un nuovo modo di ascoltare, da lui soprannominato “ascolto ridotto”, modalità di ascolto che riconosco tra le mie abilità, attitudine ad ascoltare il suono per se stesso, inteso come oggetto sonoro, intercettandone il movimento interno e complessivo, la morfologia, facendo astrazione dalla sua provenienza, reale o supposta. Il suono si carica così di nuovi significati in relazione alla sua manipolazione e al suo utilizzo nelle composizioni o nelle opere installative.
Dalle sculture alle installazioni, il suono nel tuo lessico artistico diventa lo strumento per studiare i materiali, del presente e del futuro. Ce ne puoi parlare?
Data la fortissima relazione tra materiali e propagazione sonora per me è fondamentale studiarli per poi metterli in correlazione tra di loro, al suono o al fattore estetico/compositivo.
Lavorando alle mie opere, traspare l’intrigante possibilità di associare materiali naturali, portatori di significato, alla precisione tecnologica. Prendiamo come esempio l’opera All that fall, para-partitura grafica della composizione accademica All that fall del 2017; in questo caso ho voluto prendere un tronco recuperato in mare, sezionandolo successivamente, ed utilizzandolo come supporto sul quale inciderne a laser l’essenza del brano (rappresentazioni grafiche di liste numeriche utilizzate per la manipolazione sonora del suono di un camino). Il legno reagisce così alla maniacale regolarità e precisione della macchina a incisione laser, modificandone la resa, dettandone la forma. La scelta è stata dettata dal senso che il brano vuole trasportare, il senso di caducità dell’essere umano.
Per citarne un altro esempio, nell’opera Incisione su silenzio ho scelto di utilizzare un foglio di rame e dei bulini da sbalzo per rappresentare la permanenza delle conseguenze da esposizione al rumore (inquinante) attraverso la permanenza del segno generato sul foglio dalla presenza di rumore.
Mi piace operare in una modalità slegata dal condizionamento del progresso perché ho la possibilità di muovermi tra passato e futuro in base al tema che voglio trattare e alle finalità artistiche del progetto che sto realizzando.
Il materiale diventa, insieme al suono, parte integrante dell’opera, così da voler chiudere un macro ciclo nel dominio del senso, pur tralasciando spazio a nuove interpretazioni e associazioni.
Come la nostra percezione del suono ambientale è correlata al suo contesto? Come visualizziamo il rumore e il silenzio, e come ci interroghiamo sull’utilità di tale mappatura?
Il concetto stesso di rumore e silenzio varia a seconda del paesaggio sonoro in cui si è immersi. Se pensiamo che il rumore, per definizione, può essere composto da uno o più fenomeni sonori di intensità particolarmente elevata, definito come un suono non desiderato e disturbante, continuo o discontinuo, di oscillazioni irregolari, intermittenti o statisticamente casuali, ci rendiamo conto che esso può essere interpretato a seconda del nostro allenamento all’ascolto, della formazione culturale o della salute fisica ed emotiva: allo stesso modo funziona la percezione del silenzio. Parliamo, infatti, di un fenomeno soggettivo, che per convenzione si è reso oggettivo con l’utilizzo dei decibel, per una questione di salvaguardia della salute umana. Più si è presenti in un luogo e più ci si accorda a una soglia di silenzio e rumore di riferimento (se ci trasferiamo in un nuovo appartamento vicino alle linee ferroviarie, potremmo aver problemi nel dormire nei primi periodi, disturbati dal continuo passaggio dei treni, ma più siamo esposti a questo tipo di fenomeno disturbante e più è possibile che il nostro organismo si tari in base a esso, “assuefandosi”).
Visualizziamo il rumore come eccesso di informazioni inutili quando, invece, esso trasporta ancestralmente un significato di “allarme”, percependolo il nostro udito e poi il nostro cervello assumono, consciamente o inconsciamente, uno stato di allerta.
In Interferences quartet mi incuriosiva l’idea di trasportare le frequenze caratterizzanti dell’inquinamento acustico da attività industriali nel campo udibile dell’orecchio umano, frequenze da 13-17Hz dette “corporee”, cioè trasmissibili solo al corpo per risonanza; da qui lo sviluppo di una composizione a infrasuoni per altoparlanti preparati. Il rimbalzare delle sfere su gli altoparlanti fa risuonare ritmicamente un piatto conico di zinco, una kalimba, una percussione modificata e delle corde di chitarra. Un insolito quartetto risuona in allarme, nel paradosso, dove interpreta una composizione che allo stesso tempo ricerca un effetto ipnotico da cui potersi rigenerare.
Necessita oggi interrogarsi sulla rumorosità dell’essere umano, pensare a una tecnologia futura silenziosa e di una maggiore salvaguardia della qualità sonora dei luoghi.
Art or sound è stato un’importante progetto espositivo trattante il tema arte e suono. Tenutasi presso la sede veneziana di Fondazione Prada, curata da Germano Celant, la mostra era concepita come un’indagine sul passato e sul presente esplorando il rapporto tra arte e suono e il modo in cui si è sviluppato dal sedicesimo secolo ai giorni nostri, esaminando gli aspetti iconici degli strumenti musicali, il ruolo dell’artista -musicista e le aree in cui le arti visive e la musica si sono incontrate creando ibridi. L’indagare verteva sul rapporto simmetria/ambivalenza che esiste tra opere d’arte e oggetti sonori.
Mi puoi parlare della simmetria/ambivalenza tra opere d’arte e oggetti sonori nella ricerca che conduci, dove l’arte fluisce nel suono e il suono nell’arte, pur mantenendo reciproca indipendenza?
Se consideriamo le molteplici qualità del suono e sopratutto gli svariati ambiti che esso può abbracciare, è facile pensare alla sua multidisciplinarità. Il suono agisce nello spazio, nel tempo, nella materia, nella percezione, nell’immaginazione: mi risulta limitante operare solo nel dominio della musica. Secondo il mio modo di percepire e considerare il suono, cerco di intercettare legami con la sua possibile visualizzazione o astrazione, a livello tecnico o concettuale. L’ambivalenza tra opera d’arte e oggetto sonoro è data dall’importanza che si intende dare al suono stesso; crearne una configurazione installata o scultorea significa, a mio parere, restituirne il carisma. Il suono diventa la voce di un entità, una voce che preserva un legame concettuale forte con l’entità stessa.
Qual è il posto del suono nell’arte contemporanea? Quanto l’interesse per la ricerca sta diventando centrale nel dibattito culturale?
Quello del rapporto visivo-sonoro è un tema che negli ultimi decenni si è nutrito di ulteriori stimoli e soluzioni provenienti dagli sviluppi tecnologici nel campo dei dispositivi di produzione, diffusione, manipolazione, registrazione, spazializzazione del suono, e dai nuovi ambiti del Sound Design e dai cosiddetti sound studies, intesi questi ultimi come territorio espanso oltre il tradizionale limite disciplinare, definitorio e concettuale della musica e della musicologia.
Il suono diventa multipresente, si avvicina e influenza sempre più le arti visive e plastiche in una rinnovata concezione dei rapporti tra linguaggi dello spazio e discipline del tempo.
Un esempio recente, e a mio parere importante, di come il suono stia affermandosi come pratica e disciplina nelle arti contemporanee è l’opera Aero(s)cene di Tomás Saraceno – fruita presso la Biennale di Venezia del 2019 – dove l’artista visuale, architetto e performer argentino lavora alla sonorizzazione della scultura utilizzando i dati delle maree di una Venezia a rischio. Questo è un segno particolarmente rilevante se pensiamo come un artista così importante e conosciuto per i suoi lavori installativi sia stato ispirato e influenzato dal mondo della Sound Art.
Quali credenze si stanno spostando sul suono in un panorama digitale in evoluzione, nell’arte e nella vita?
Sin dall’”invenzione” della musica d’ambiente, da non confondere con la musica per ambienti, il nostro rapporto con il suono si è evoluto in modo importante, vedendo la musica e il suono molto spesso protagoniste della quotidianità.
L’esplorazione dello spazio e dei silenzi di Cage, la manipolazione di suoni elettronici di Stockhausen e lo stile collage di Schaeffer sono alcune delle basi su cui si è formata molta musica popolare e, in modo particolare, la musica ambient.
Essa ha la capacità di evocare qualità di “atmosfera”, “visione” oppure di “discrezione”; è generalmente identificabile come un genere musicale caratterizzato da suoni ampiamente atmosferici e naturali. Se diamo uno sguardo al panorama attuale notiamo come queste proprietà “atmosferiche” e “visive” si stiano fondendo sempre più con la new media art, la computer art, l’arte multimediale e la realtà virtuale e aumentata.
L’interazione fra suono e immagine è sicuramente ciò che oggi chiarisce e definisce meglio la multimedialità propria dei mezzi digitali. Suono e rappresentazione, comunicazione e narrazione audiovisiva sono diventate le fondamenta del mio modus operandi, come anche l’interrogarmi sui problemi fondamentali dell’arte tecnologica, dei mass media e della resa tecnologica.
I tuoi imminenti progetti?
Sto lavorando, ormai da più di un anno, a un nuovo progetto audio-visivo insieme al mio ex collega di conservatorio e video artista emergente Roberto Cassano, lui si sta occupando di tutta la generazione dei materiali video e dell’animazione delle mie strutture grafiche complesse, come quelle delle opere Principle of organization, Possible principle of organization o All that fall.
Il tema di questo progetto è la ciclicità degli eventi, la ciclicità-iterazione, il mutare dell’esistenza, la creazione, la variazione e poi la distruzione, e come questi fattori siano imprescindibilmente complementari. Narra, in sette capitoli, di forze ed entità astratte regolate da leggi fisiche e naturali che richiamano la vita terrena ma che volgono uno sguardo verso nuove interpretazioni di mondi “adimensionali”, oscillando continuamente tra il micro e macro.
A livello sonoro, ho voluto concentrare la mia attenzione sul concetto del “ritorno”, caratterizzato da sonorità elettro-acustiche e prettamente sperimentali pur mantenendo una propensione voluta al “pop” che mi piace ascoltare. L’idea che da tempo mi pervade, per questo tipo di lavori, è quella di tendere da una parte un braccio verso la sperimentazione più estrema e d’avanguardia, dall’altra un braccio verso le sonorità più confortevoli all’ascolto, sonorità contraddistinte da alcuni aspetti specifici che riguardano il periodo storico di produzione, le forme testuali e linguistiche, gli attori sociali coinvolti, il modo in cui essi costruiscono la propria identità e, soprattutto, il rapporto con i mezzi di comunicazione di massa.
Penso che ci sia una grande e “grave” divisione tra musica popolare e musica “colta”, la mia aspirazione, insieme a tanti altri artisti che condividono la mia visione, è quella di portare al dialogo queste due fazioni sempre e comunque in relazione, ma pur sempre distanti, trovando un bilanciamento tra quelli che sono i continui traguardi dell’evoluzione della musica elettronica e le attitudini all’ascolto dell’uomo contemporaneo, così da generare un conflitto costruttivo.
A settembre, invece, sarà finalmente in uscita il disco/compilation contenete le collaborazioni avviate durante la residenza artistica in Kenya alla quale ho avuto il piacere di partecipare ad agosto e settembre 2019, organizzata dall’etichetta discografica, con base in Svizzera e Francia, Flee Project.
Per l’occasione verrà pubblicato il video documentario della residenza, progetto che prevedeva un periodo di produzione e collaborazione tra quattro artisti kenioti e tre artisti europei selezionati e un tour in spazi culturali nelle città di Nairobi, Lamu, Mombasa e Kilifi.
Parallelamente sto lavorando a tanti altri progetti, tra cui una nuova opera installativa, ma di questi preferisco parlarne quando saranno più maturi.
Questo contenuto è stato realizzato da Camilla Boemio per Forme Uniche.