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Ennio Morricone e Nuovo Cinema Paradiso: il senso della nostalgia

Totò e Alfredo nella cabina del Cinema Paradiso
Totò e Alfredo nella cabina del Cinema Paradiso

La colonna sonora di Nuovo Cinema Paradiso, diretto da Giuseppe Tornatore, è solo una delle grandi opere realizzate da Ennio Morricone. Ma il suo particolare tono nostalgico, perfettamente integrato nella pellicola, la rende unica e indimenticabile.

Non tornare più, non ci pensare mai a noi, non ti voltare, non scrivere.
Non ti fare fottere dalla nostalgia, dimenticaci tutti.
Se non resisti e torni indietro, non venirmi a trovare, non ti faccio entrare a casa mia.
O’ capisti?
Qualunque cosa farai, amala, come amavi la cabina del paradiso quando eri picciriddu.

 

Alfredo a Totò in partenza per Roma, Nuovo Cinema Paradiso

Si dice ci sia un momento per perdersi e un altro per ritrovarsi. Quando vidi per la prima volta Nuovo Cinema Paradiso – con colpevole ritardo – ebbi la netta sensazione di essermi perso e ritrovato, proprio come accade al protagonista. In maniera chiara e distinta il film di Tornatore mette in scena il lungo viaggio di Totò, cresciuto nell’immaginario paesino di Giancaldo (il nome è preso dal monte ai cui piedi sorge Bagheria, il paese natio del regista), ma soprattutto nella cabina del Cinema Paradiso, unica occasione di svago e, facendo uno sforzo di approfondimento, di alterità che la Sicilia rurale del tempo aveva da offrire. Il destino di Totò era, infatti, distante dal cocente sole isolano e dagli affetti con cui era cresciuto, ineluttabilmente legati a una dimensione rurale che mai sarebbe mutata. Totò si è dunque dovuto perdere, abbandonando casa e famiglia, per trovare la propria realizzazione (diventerà regista) tra i palazzi di Roma. Tornato a casa decine di anni dopo in seguito alla morte del suo mentore, Alfredo, il protagonista ritrovando la sua infanzia si perderà di nuovo, mettendo in discussione tutti gli anni trascorsi fino a quel momento. Ma la ragione alla fine avrà la meglio e lui tornerà a Roma. Qui, sul finire del film, si consuma dunque la scena più celebre dell’intera pellicola: i cinematografici baci tagliati dal prete-censore di Giancaldo – riuniti da Alfredo in un’unica pellicola dentro la quale è condensata tutta la nostalgia e il senso di perdita e ritrovamento di cui il film è intriso – vengono riprodotti per un Totò commosso, come se tutta la sua vita fosse condensata in quelle numerose labbra che si incrociavano.

È veramente complesso, se non impossibile, restituire a parole l’amalgama di emozioni che questa scena porta con sé. Come ogni sentimento anche la nostalgia, nella sua essenza, è qualcosa di prettamente astratto. Inevitabile allora che ciò che meglio riesca a trasmettere la pienezza di quel momento potente e impalpabile sia qualcosa di altrettanto astratto, ovvero la sua colonna sonora. La musica composta da Ennio Morricone è perfetta, ritagliata su misura a un film e a una scena che sono legittimamente entrati nella storia del cinema. E l’hanno fatto anche grazie alle note del maestro romano che sono state in grado di rintracciare il tono emotivo del racconto – raccogliendone la sicilianità, la giovinezza, il caldo, i sogni, l’abbandono, la mancanza, l’amore, la malinconia e soprattutto la nostalgia per ciò che è irrimediabilmente perduto – e di ridondarne la forza suggestiva. Nell’andamento ondivago e struggente della composizione ci si abbandona come cullati dai ricordi, quelli di Totò (che di fatti compongono in flashback il film) e i nostri, miscelati in una melodia dove ci sembra di affondare. Tra le sue note spicca dunque quel sentimento a cui già abbiamo fatto riferimento, sul quale l’intero film si regge: la nostalgia.

L’effetto che si innesca è veramente unico. La sensazione è che la melodia di Morricone ci trasporti in un terreno comune, ci raccolga come in un antico grembo materno e ci racconti di un tempo andato e che non tornerà più. Per ognuno di noi quel tempo è differente, ciò con cui abbiamo riempito quel tempo è differente, ma quel vago sentore di dolce tristezza è il medesimo. Se infatti da una parte ci si strugge per esperienze ormai passate, dall’altra parte se il loro ricordo è tanto attuale significa che quei momenti di vita sono stati così intensi da perdurare ancora. Ne nasce una sorta di appagamento, malconcio ma resistente, che ci ricorda come siamo giunti nel punto in cui ci troviamo, delle persone che abbiamo amato, dei luoghi in cui abbiamo vissuto, di tutti i momenti che abbiamo condiviso con qualcuno di caro.

Il termine deriva dal dal greco ‘nostos’, ritorno e ‘algos’, dolore. Il dolore del ritorno. La nostalgia si innesca nel momento in cui torniamo – proprio come Totò torna a Giancaldo – in quei luoghi dell’animo dove abbiamo lasciato un pezzo di noi. Ritrovarlo – tanto più intatto quanto più intenso è il ricordo ad esso connesso – apre spioncini nella memoria da cui spirano correnti d’aria dalla forma incerta ma dall’intensità inaudita che ci travolgono, riportandoci indietro e mettendoci di fronte a quel che siamo stati; e, di conseguenza, a quello che siamo diventati. La nostalgia diventa dunque un fondamentale strumento di conoscenza e auto comprensione, di accettazione profonda di ciò che è stato compiuto e di come esso ci abbia definito. Lontano dal configurarsi come un sentimento deleterio, la nostalgia ricopre un significato esistenziale ben preciso: aumentare la percezione del significato che abbiamo della nostra vita. Nello stesso inafferrabile ma preciso modo in cui la colonna sonora di Morricone colma il senso di Nuovo Cinema Paradiso, così la nostalgia satura il vuoto creato dalla mancanza di scopo che talvolta percepiamo attanagliare la nostra vita. E così essa si riscatta. Tramite la nostalgia, per un lasso di tempo più o meno lungo, abbandoniamo lo spettro dell’eterno presente per perderci nei meandri di ciò che è stato. E li ci ritroviamo.

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