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Il corto che Matteo Garrone ha realizzato per Dior è pieno di citazioni artistiche

Il fitto intreccio tra moda, arte e mitologia spinge il corto girato da Matteo Garrone per Dior oltre il video promozionale. Più di una trama basata sul citazionismo, Dior Le Mythe assume i caratteri di una narrazione autonoma ed evocativa.

Il film – che ha l’intento finale di promuovere la Collezione Autunno Inverno 2020/21 di Christian Dior – ha inizio nel laboratorio della maison francese. In un’aura quasi sacrale i sarti artigiani tessono i vestiti come trame d’incanto, avvolte in un silenzio che esaspera l’attenzione e la concentrazione con cui i capi del marchio vengono tuttora realizzati. Una situazione intima, dal sapore vintage e familiare, che riporta a un altro racconto cinematografico: Il filo nascosto, realizzato da Paul Thomas Anderson. Come nel film premio oscar (migliori costumi a Mark Bridges), anche nel corto di Garrone è palpabile la presenza di una magia invisibile, eppure percettibile, che anima i capi d’alta moda.

Possiamo allora intendere il viaggio che i capi realizzati intraprendono lungo un bosco incantato – in realtà i Giardini di Ninfa, situato nei pressi di Roma e considerato dal New York Times il giardino più bello del mondo – come la ricerca di questo valore misterioso. Due gemelli in livrea trasportano un baule, che ricorda un casa delle bambole, che raccoglie i manichini con i modelli di Dior. Come era pratica nel settecento, i due commessi propongono le nuove creazioni ai clienti interessati. E tutti, ma proprio tutti, sembrano affascinati da quel che il baule racchiude.

Così la mistica bellezza di Dior viene espressa dal corto attraverso le creature che si avvicino incuriosite ai capi. Le scene, immerse in una trama floreale che a tratti rimanda a Monet, guadagnano fascino dai vari richiamo artistici e mitologici che si susseguono lungo i dieci minuti di cortometraggio. Impossibile non notare l’influsso preraffaellita nei gruppi di ninfe che si rincorrono, giocando, nell’acqua, come in Ila e le Ninfe (1896) di John W. Waterhouse; oppure l’afflato romantico dell’accavallarsi delle pelli diafane le sensuali creature si sfiorano come ne Il ninfeo (1878) di William-Adolphe Bouguereau.

Dalle figure femminili a quelle maschili, come il ragazzo che rispecchiandosi nell’acqua ricalca la posa del Narciso (1597) di Caravaggio che si crogiola nella propria immagine riflessa. Anche la statuaria e glaciale figura che siede impassibile su una roccia imita la Sirenetta di Copenaghen e allo stesso tempo assorbe gli influssi marmorei di Canova e Torvaldsen. Ancora Waterhouse (Apollo e Dafne) nella scena d’amore consumata da una coppia tra i rami di un albero.

William-Adolphe Bouguereau: “Il ninfeo”, 1878

Affascinante, invece, nella vestizione delle ninfee il richiamo alla Venere di Botticelli (nelle splendide chiome vorticose o nelle pose seducenti) o, andando più indietro nel tempo, al Trono Ludovisi del 450 a. C.

Epoche e suggestioni artistiche si confondono, rafforzandosi, in un’opera visiva in grado di comunicare efficacemente un semplice, ma sempre evocativo, messaggio: la moda, come l’arte il mito, non conosce né inizio né fine. È semplicemente eterna.

Trono Ludovisi, 450 a.C.

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