Antonia Beard (1991) vive e lavora tra Londra e la sua città natale Newbury, Berkshire. La sua pratica artistica la porta a processare le esperienze che vive quando incontra particolari narrative sociali e materiali per creare sculture, installazioni, oggetti e libri d’artista che le possano raccontare. Utilizza il suo approccio intuitivo e personale per entrare in contatto con gli altri e dare senso al mondo che la circonda attraverso un discorso, in senso foucaultiano, giocoso con cui investiga le relazioni tra la natura, ambienti artificiali e cosa significa essere noi stessi. Negli ultimi hanni la sua pratica si è sviluppata attraverso una serie di progetti site-specific in Norfolk, Irlanda, Venezia e Palermo. Trova tutti i materiali per le sue opere in loco e usa il processo della ricerca e scoperta di materie prime e vari oggetti per entrare in connessione con la storia naturale e culturale di ogni luogo.
Cosa significa essere un artista e quali differenze noti fra i tuoi esordi e oggi?
Lavorare come artista mi permette di esplorare, interrogare e combinare una vasta gamma di influenze. Soprattutto lavorando come artista oggi, c’è una totale libertà di movimento tra le diverse discipline, soggetti e media. Spesso mi entusiasmo così tanto che non so da dove cominciare. Ogni volta che inizio un nuovo pezzo o progetto, ci sono così tante domande e idee che quasi mi intimidiscono. Mi sembra di ricominciare sempre da capo e non ho idea di cosa sto facendo. Mi trovo a fare i conti con me stessa, il che non è sempre un’esperienza che mi fa stare a mio agio, ma trovo che abbracciare queste sfide sia liberatorio, è il dono più grande che la mia pratica artistica mi abbia mai fatto. Ogni pezzo o progetto su cui ho lavorato ha lasciato il segno e ha arricchito la mia vita. La cosa più importante che ho imparato è iniziare, la prima idea probabilmente non sarà quella buona, ma non importa, è quello che succede dopo, questa è la parte eccitante.
Quali tematiche trattano i tuoi lavori e che progetti hai in programma?
Ho un background nel fashion sostenibile, nella produzione dei capi di moda e nell’approvvigionamento di materie prime, con esperienza sia nella produzione di massa, sia nel tessile tradizionale e nei progetti di conservazione del patrimonio materiale e culturale. L’esperienza di queste realtà opposte ha cambiato il modo in cui percepisco la mia realtà. La mia pratica artistica è nata dall’esigenza di dare un senso a quelle esperienze e di condividere la meraviglia e la curiosità che provo. Negli ultimi anni, questo è culminato in un serie di lavori site-specific. Cerco quali oggetti e materie prime hanno una particolare risonanza con ogni sito. Passando il tempo nei vari luoghi e lavorando con la comunità locale, raccolgo conversazioni, emozioni e osservazioni, e poi uso i materiali come soggetto e strumento per descrivere le mie scoperte. Per me è importante anche il metodo di costruzione, diventa l’atto di dare forma ai dialoghi che ho nel corso della mia esperienza in quel luogo. Dopo la pandemia, ho riflettuto su queste esperienze e ho iniziato a esplorare i materiali nella mia zona d’origine.
Come ti rapporti con la città e il contesto culturale in cui vivi?
Mi sono trasferita a Londra a diciotto anni, la città ha avuto un impatto significativo su di me. Ho trascorso la maggior parte degli ultimi dieci anni sui dance floors di Londra, dove ho incontrato la maggior parte dei miei amici più cari. La mia vita sulla piste da ballo mi ha dato la libertà di pensare in modo diverso e ha avuto un ruolo enorme nell’incoraggiarmi a sviluppare la mia creatività. Quando ballo, mi sento presente e in contatto con gli altri. Queste idee si sono riversate nel mio lavoro. Quando lavoro in un luogo specifico, il lavoro deve catturare l’energia dell’esperienza che sto facendo, e i materiali diventano uno strumento per incanalare quell’energia. La prima volta che ho mostrato il mio lavoro in pubblico è stato con una scultura all’Houghton Festival in Norfolk. Un festival musicale curato da Craig Richards, una figura chiave nel panorama della musica dance londinese. L’occasione ha dato il via alla mia pratica, e da allora sono tornata a lavorare in Norfolk, concentrandomi sulle caratteristiche della zona e in particolare il patrimonio agricolo e neolitico.
Cosa pensi del “sistema dell’arte contemporanea”?
Su questo penso di essere un po’ “naive”. Direi che è ingenuo pensare di trovare il proprio posto nel sistema dell’arte, soprattutto se lo si guarda dal punto di vista economico e si cerca di sostenersi economicamente con la propria attività artistica, ma a ben vedere, ne faccio parte da poco tempo. Se si guarda al sistema in termini di gallerie e istituzioni, queste possono incutere timore, ma è importante notare che non sono loro a fare l’intero sistema, c’è un’intera rete di network fatta di persone affascinanti e meravigliose che fanno arte contemporanea. Alcune delle esperienze e delle persone che ho incontrato negli ultimi anni sono state incredibili e non avrei avuto questo tipo di esperienza se non mi fossi dedicata completamente alla mia pratica artistica, condiviso e scelto di interagire in quei network. Detto questo, la maggior parte di quelle esperienze sono venute da piccoli gruppi e organizzazioni autogestiti e che spesso collaborano fra loro, seppur con entrate quasi nulle, cosa che ne rende difficile la sopravvivenza. Penso che si debba fare di più per diversificare i finanziamenti per l’arte e ampliare la prospettiva di chi sceglie come spendere questi budget.
DI quale argomento, oggi, vorresti parlare?
Di educazione. Durante il lock-down è come se fossi tornata a scuola studiando le scienze, la geografia, la matematica, la storia. Attraverso la mia pratica ho rincominciato a occuparmi di queste materie e ne sono frustrata. Non per le materie, al contrario, perché ho scoperto quanto siano affascinanti. A scuola spesso si ha un apprendimento frammentario, monotematico, il che priva le persone della ricchezza di un’esperienza educativa più ricca e interconnessa. Attraverso l’arte ho capito che si lavora con tutte le materie, in modo divertente e intuitivo. Negli ultimi mesi ho imparato nuove cose e ho pensato “perché diavolo nessuno mi ha detto quanto è fantastico??”. Penso che il sistema educativo nel Regno Unito abbia bisogno di essere rivisto, non tiene conto dei diversi tipi di apprendimento e l’arte è tragicamente posta in fondo alla lista quando si tratta di finanziamenti per l’istruzione, cosa che penso sia una catastrofe. Abbiamo urgente bisogno di affrontare i problemi dell’istruzione e costruire un sistema che ci permetta di mettere in discussione, di scambiare e apprezzare voci, modalità di apprendimento e di competenze diverse.
Questo contenuto è stato realizzato da Benedetta d’Ettorre per Forme Uniche.
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