Finalmente poco più di due mesi fa, il 18 maggio, hanno potuto finalmente riaprire al pubblico i musei. Le restrizioni e le nuove regole d’accesso impediscono un totale ritorno alla normalità. Ogni istituzione si è dovuta così adattare ai necessari parametri governativi per garantire una fruizione sicura dei propri spazi e delle proprie opere. Ma non è solo il distanziamento sociale la sfida dei nostri musei, molti altri aspetti dovranno essere ripensati, ricalibrati, cambiati. Ne abbiamo parlato con Camilla Bagatti Valsecchi, consigliera e perno del Museo Bagatti Valsecchi di Milano che poco più di un mese fa, precisamente il 19 giugno, ha riaperto i battenti del suo meraviglioso scrigno.
Com’è stato finalmente riaprire il museo al pubblico? Prime impressioni e feedback dalla ripartenza.
Grande emozione la riapertura: tutto lo staff era in biglietteria ad attendere chi sarebbe arrivato, con l’accoratezza e la gioia di celebrare un ritorno alla normalità dopo tanti mesi in cui entrare in Museo e vederlo vuoto ci riempiva di tristezza e malinconia. L’assessore Bruno Galli, ci ha fatto l’onore – a sorpresa – di venirci a trovare per celebrare con noi il nuovo inizio. I numeri della riapertura non sono altissimi, ma siamo fiduciosi che si tratti di un ingranaggio lento che deve essere reinnescato, e che piano piano si rimetterà in moto.
Come si può ripensare l’idea di accessibilità? Come cambierà il rapporto tra museo e fruitore? Come sono organizzate le “nuove” visite nel suo museo? Come saranno rimodulati gli spazi e il percorso espositivo?
Ogni Museo è un universo a sé, è difficile generalizzare e trovare soluzioni che valgano per tutti.
Per quel che riguarda noi non c’è un grande cambiamento: a causa delle sale talvolta piccole in Fondazione abbiamo sempre privilegiato i gruppi limitati. Crediamo resti infatti il modo migliore per fruire un tipo di collezione come la nostra e per instaurare un rapporto vero con i visitatori, perché si crei un clima di confidenza e un dialogo curioso. Per questo, fin dall’apertura, abbiamo offerto percorsi accompagnati e visite guidate, garantendo il rispetto delle normative vigenti. Stiamo pensando a nuovi percorsi ibridi (on e offline) per garantire alle scuole di poter continuare a frequentare il nostro Museo per conoscere la storia collezionistica dei due fratelli. Restiamo fermi nel pensare che nessuna visita virtuale sarà equiparabile al passeggiare nelle sale e soffermarsi sui dettagli che ogni stanza racchiude, ma che per esempio per le scuole possa essere un buon compromesso (in attesa di capire quando gruppi di 20/25 alunni potranno tornare in una stessa stanza) e talvolta possa anche arricchire l’esperienza potendo inserire – nel digitale – la visione di opere non presenti in museo ma significative per l’epoca o l’artista di cui si sta trattando.
Meno numeri, più valore. Meno quantità, più qualità. Radicalizzazione sul territorio e rapporto con la comunità di cui fanno parte. Come sarà il nuovo museo d’arte (sia in senso lato che in senso stretto della sua istituzione)?
Il nostro resta sempre un Museo di nicchia, e forse proprio per questo l’impatto è stato grosso e potente: siamo passati da qualche centinaia di visitatori nei finesettimana di febbraio a poche decine nei primi weekend di riapertura. Negli ultimi cinque anni abbiamo implementato le relazioni con le scuole, con i camp estivi, con le aziende legate al territorio, con gli studi professionali intorno a noi, con l’obiettivo che il nostro diventasse sempre più un Museo di tutti e per tutti, un museo della città di Milano (in fondo, seppur particolare e sui generis quella che racconta è proprio una storia milanese). Non smetteremo certo di farlo, anzi: abbiamo già cominciato a proporre nuovi percorsiagli istituti e alle associazioni culturali, per il pubblico in visita percorsi speciali e visite guidate tradizionali, ma non nascondiamo la preoccupazione per il futuro incerto per istituzioni come la nostra.
L’utilizzo della comunicazione digitale e della condivisione di progetti online è stato cruciale, ma è parso altresì evidente che la fruizione fisica delle opere, degli ambienti, delle architetture non è in alcun modo sostituibile. Come possono essere integrate al meglio questi due livelli in modo che le specificità del digitale siano sfruttate come una ulteriore proposta museale?
Abbiamo scelto di restare coerenti alla nostra identità: di limitare le iniziative online es evitare un’eccessiva sovrapproduzione (in un ambiente già saturo), per concentrarci su una serie di video (6) brevi con curiosità su pezzi meno noti della collezione. Si è trattato di strumenti che hanno lo scopo di arricchire le conoscenze dell’osservatore e invitarlo, nel post pandemia a visitare il Museo. Resta fermo il fatto che l’emozione suscitata dalla visita al Palazzo non sarà mai sostituibile da una produzione digitale: lavoriamo però costantemente per offrire strumenti che incuriosiscano chi ancora non è stato in Museo, che aiuti chi per motivi di studio si avvicina alla nostra realtà, o che per affezione sceglie di accompagnarci e sostenerci.
Il governo sembra essersi un po’ dimenticato delle istituzioni e dei professionisti del mondo dell’arte nonché degli artisti. L’attenzione è sempre parsa più rivolta al mondo dello spettacolo. Lei ritiene che si sia fatto abbastanza per aiutare anche il complesso e variegato panorama museale e i relativi lavoratori? Dal suo punto di vista, di cosa ci sarebbe bisogno?
Sicuramente per le realtà private come la nostra è spesso più difficile accedere agli strumenti che il Ministero mette a disposizione del pubblico. Pensiamo anche solo all’Art Bonus, una vera rivoluzione nel settore della cultura, ma pensato proprio per le collezioni e le organizzazioni pubbliche. Tuttavia alcuni provvedimenti sono stati presi e ci auguriamo che vengano incrementati nei prossimi mesi, anche perché la crisi non terminerà con la fine dell’anno ma si ripercuoterà pesantemente su tutto il comparto anche nel 2021.