Un caro amico, il fotografo Stefano Merlini, in arte Béjart, mi ha regalato anni fa il libro “La forza della gentilezza” di Piero Ferrucci, riconoscendomi come uno spirito a lui affine e per l’appunto “gentile”. Il volume analizza l’oggetto in questione mostrandone gli aspetti più utili e positivi. In estrema sintesi, si spiega come ad essere gentili si faccia del bene anche a se stessi, perché si è più felici e in pace con il mondo. Dice Mark Twain: “La gentilezza è il linguaggio che un sordo può sentire e un cieco può vedere”, ovvero un linguaggio universale.
Mai come nel periodo del lockdown, abbiamo capito quanto la relazione con gli altri, necessariamente sottratta per un periodo, sia fondamentale per la nostra esistenza. Ecco allora che di questi tempi la gentilezza dovrebbe essere il nuovo must, il principio su cui basare il proprio modus vivendi, in una realtà rallentata dalla pandemia, dove la corsa frenetica al guadagno conosce battute d’arresto, nel bene e nel male.
C’è un artista d’arte contemporanea che ha fatto della gentilezza il fulcro della sua poetica e della sua esistenza. Mi riferisco a Loredana Galante, il cui cognome è già un programma, con il quale lei gioca e inventa, proponendo le sue “galanterie”, performance e opere di volta in volta nuove e sorprendenti. Il suo atelier, ora anche spazio espositivo, si chiama “To be kind” (“Essere gentili”). Vestiti, costumi, morbide sculture di stoffa _Loredana ama particolarmente il filo e il cucito_ disegni, dipinti, fotografie, il materiale utilizzato per le sue performance, che sono momenti partecipativi in cui la Galante coinvolge attivamente il suo pubblico spesso in un lavoro psicologico introspettivo. Ricordiamo per esempio l’invito a bere il the in un contesto femminile e profumato, come quello di Alice nel Paese delle Meraviglie (La pausa del cuore) e la creazione di un abito formato dai pensieri scritti di ognuno (La bellezza salverà il mondo, Atto I, Atto II). L’artista ha frequentato a Milano e a Genova corsi di teatro e danza etnica, che l’hanno aiutata nella gestione dello spazio scenico e nel linguaggio del corpo. Per la pandemia, ha cucito con amore le sue mascherine in stoffa floreale e damascate, che ha poi spedito per posta agli esponenti del mondo dell’arte, sorprendendoli con un piccolo gesto gradito e inaspettato.
Una performance anche questa che segue il fil rouge della sua gentilezza, tra idea e praticità, concettuale, mail art, figurazione e artigianato, sconfinando nei campi più svariati dell’arte e della vita, in una continua ibridazione.