Ema di Pablo Larraín, al cinema dal 2 settembre. Intervista a Gael García Bernal e Mariana di Girolamo
“S’i’ fosse foco” sussurrava Cecco Angiolieri; “Se io fossi fuoco, brucerei il mondo”. Queste le parole che probabilmente hanno guidato Pablo Larraín durante le riprese di Ema, il suo nuovo film, presentato l’anno scorso alla 76ª Mostra Internazionale del Cinema di Venezia. Mentre il mondo intero ardeva per il lanciafiamme di DiCaprio (C’era una volta a… Hollywood), sul Lido veneziano l’industria del cinema preparava il terreno all’arrivo di un altro incendio. Dopo un anno di attesa (e un’anteprima in streaming su Miocinema lo scorso giugno), Ema arriva in sala dal 2 settembre (distribuito da Movies Inspired).
Ema (Mariana Di Girolamo) e Gastón (Gael García Bernal) sono due spiriti liberi. Lei è ballerina in una compagnia di danza sperimentale, lui è il regista e il coreografo dei suoi spettacoli. Le loro vite sono gettate nel caos quando il figlio adottivo Polo è protagonista di un episodio di violenza, che li convince a rinunciare al progetto dell’adozione. La decisione traumatica, ovviamente, distrugge il loro matrimonio, ma Ema resta in piedi (o almeno ci prova): da sola intraprende il cammino verso una nuova vita, più audace, persa nel ballo, tra gli amori fluidi, donne e pompieri, al ritmo del reggaeton e sul beat psichedelico della musica elettronica. L’obiettivo è distruggere, poi ricostruire.
Dopo aver raccolto il plauso della critica con titoli come Tony Manero (2008), Il club (2015), Neruda (2016) e la parentesi hollywoodiana di Jackie (2016, con Natalie Portman nei panni della first lady Jackie Kennedy), il regista cileno Pablo Larraín stupisce tutti con un film rumoroso e caotico. Ema è più di un videoclip, è quasi un rave. Sulla scia di Climax di Gaspar Noé, il ballo s’impadronisce del grande schermo per dire qualcosa di più: senza perdere tempo a spiegare perché, Larraín colora fuori dai bordi la figura di una donna nuova, con la chioma ossigenata e quasi sempre in tuta adidas, impegnata a riscrivere (apparentemente) senza troppa progettualità l’idea di famiglia convenzionale. Le pressioni sociali non esistono: grazie al ritratto incendiario di questa donna in fiamme, davanti a cui nessun uomo, donna o bambino può avere voce in capitolo, Larraín riesuma la vita in America Latina, in un contesto socialmente restrittivo, dipingendo un’eroina indimenticabile, determinata – e destinata – a muoversi liberamente nel mondo.
A interpretarla c’è un’attrice emergente: Mariana Di Girolamo, giovane, a prima vista ingenua, quasi troppo dolce per essere vera. Impossibile resistere ai suoi occhi, sia che ti guardino con fare interrogatorio durante il tempo di una breve intervista, sia che ti intercettino a una festa sulla spiaggia, dove paradossalmente è lei quella intimorita – lei – perché non conosce nessuno a parte i giornalisti che ha visto il mattino prima. Al suo fianco, un pupillo del regista: Gael García Bernal, ormai il volto del cinema sudamericano nel mondo. ArtsLife li ha incontrati proprio durante la presentazione del film al Lido di Venezia, ormai un anno fa.
La nostra società è abituata a dipingere la maternità come una prigione per le donne, ma in questo film è vista come uno strumento di liberazione.
– Gael García Bernal: «Interessante, molto interessante. È un’interpretazione del film muy linda, empatica e generosa. Il film non riflette solo le emozioni dei personaggi che interpretiamo, ma anche un impulso della società in cui viviamo. La famiglia non è la famiglia che ci è stata imposta, ma può trasformarsi in cose molto diverse: può essere formata da membri diversi, può essere omogenitoriale…»
– Mariana di Girolamo: «Plurigenitoriale…»
– Gael García Bernal: [ride] «…sì, anche plurigenitoriale! Può avere mille forme. E sì, sono completamente d’accordo: la maternità, che in questo film non ha nemmeno un genere, può essere vista come un atto di liberazione e autonomia, può dare una nuova posizione nel mondo, diversa da quello a cui ci hanno abituato a pensare».
Una liberazione sessuale in cui la protagonista, per la prima volta, è la donna. È stata una responsabilità interpretare un personaggio simile?
– Mariana di Girolamo: «In effetti, sì! La maternità, in Ema, è complementare. Ema, che ho avuto la fortuna di interpretare, desidera diventare madre, vuole formare la sua famiglia, ma la sua famiglia è diversa, non è un obbligo imposto da qualcun altro, tantomeno dalla società in cui vive. Credo che sia un ritratto perfetto del nostro tempo. Ema rappresenta una generazione giovane, quella dei ragazzi sotto i trent’anni, che scalpita per scrivere le sue regole, anche quando si parla di famiglia».
Com’è stato diventare non solo la protagonista, ma anche il titolo di un film di Larraín?
– Mariana di Girolamo: «È andata benissimo. È un regista che ammiro da tanto tempo e non mi sarei mai aspettata che mi invitasse a partecipare a questo progetto meraviglioso. Quando mi ha chiamata, ci siamo gettati nel progetto tutti insieme: è stato interessante, da una parte perché per me era la prima esperienza da protagonista al cinema, dall’altra perché all’inizio non sapevamo bene di che cosa si sarebbe trattato. Abbiamo costruito il film durante le riprese. Pablo è molto professionale, ma anche molto sensibile e soprattutto tanto esigente. Però è stata un’esperienza meravigliosa e sarei prontissima a lavorare un’altra volta con lui».
Per te [Gael García Bernal], invece, è stato un ritorno a lidi sicuri.
– Gael García Bernal: «Lavorare con Pablo ormai è diventato quasi la quotidianità. Il nostro primo film insieme è stato No – I giorni dell’arcobaleno (2012), e ci sarà un motivo se ci siamo ritrovati anche in Neruda (2016) e infine in Ema. Abbiamo passato così tanto tempo insieme, tanto sul set quanto fuori dall’ambito professionale, che ormai posso dire che è un amico. Anche se è sempre stato il set a unirci: il nostro rapporto sarà sempre legato al modo di fare un film, è nato lavorando insieme, è così che ci siamo anche conosciuti… e ogni volta è incredibile. Io sono proprio felice quando ho l’occasione di lavorare con lui. Potrebbe chiamarmi per un’altra pellicola e direi subito sì, non importa quale personaggio assurdo vuole farmi interpretare questa volta».
Un consiglio ai giovani attori e autori che cercano di farsi strada nel mondo del cinema?
– Mariana di Girolamo: «Lavorare, lavorare tanto. Essere persistenti e non arrendersi mai. Mi sento di dire che è importante cogliere le opportunità, è vero, ma non aspettare che arrivino come un miracolo. I primi a credere nei nostri progetti dobbiamo essere noi. Lo vedo soprattutto nel mio paese, in Cile: da noi è molto difficile che qualcun altro creda nel tuo progetto, per non parlare dei fondi statali, praticamente impossibili da ottenere».
– Gael García Bernal: «La mia raccomandazione per chi vuole fare cinema? Non studiare cinema. Fate qualsiasi altra cosa. La cultura visuale a cui siamo educati, oggi, è più che sufficiente per infiammarci. Quello che manca al cinema è la vita, quella che si vede fuori dalle accademie».