Recentemente ho fatto caso che se si prova a cercare una località su Instagram, le foto più popolari favorite dall’algoritmo non sono panorami o tramonti ma selfie e scatti in costume di ragazzi e ragazze. Sono quelle con più like, sono le preferite dagli utenti e il social le propone in cima. Ci sono molti discorsi che si potrebbero intraprendere per cercare di spiegare questa deriva vanesia che affligge l’età dei social network. Parliamo di ragazzi comuni e sconosciuti, con qualche decina di migliaio di followers e il sogno di condurre una vita over the moon. Obiettivi solidi: fare i soldi, culto della forma fisica esasperata, difendere l’onore e il branco, fare la bella vita in spiaggia mostrando muscoli e le sopracciglia ali gabbiano.
Ebbene, una frase mi ha molto colpito dell’intervista all’artista che vi sto per proporre qui sotto oggi:
“La ricerca di consenso produce mediocrità”.
Lo afferma Manuel Scrima (e io lo condivido), fotografo di formazione moda che ha impiegato quasi 10 anni per realizzare il progetto DISEMBODY, di prossima inaugurazione il 24 settembre presso FABBRICA EOS a Milano, a cura di Chiara Canali (che ringrazio per avermi segnalato).
“Le mie opere sono quadrate – racconta Scrima-, come le foto su Instagram, il coprire i corpi è una reazione alla bruttura e decadenza delle immagini di oggi, dell’estrema esposizione sessuale sui social”.
Con DISEMBODY l’artista lancia una provocazione, una sfida al paradigma estetico dominante. I suoi modelli non indossano abiti ma sono vestiti di arte, grazie al fatto che sono fotografati attraverso tessuti. I corpi nudi si stagliano come pure forme e sono inquadrati in un ingranaggio di stile. Tutto ciò paradossalmente li rende fluidi, non più vittime e prigionieri di concetti, canoni e idee. Il titolo della mostra, infatti, allude al processo della fotografia di Scrima, che parte dallo studio del corpo umano, maschile e femminile, per arrivare a una fotografia disincarnata, incorporea, astratta, separata dal corpo di partenza.
Bene, abbiamo approfondito il tema con una bella intervista, buona lettura. Buona settimana dal Motel Nicolella.
INTERVISTA A MANUEL SCRIMA
Nel 2007/2008 è arrivato Facebook in Italia, ci siamo iscritti tutti e abbiamo pensato negli anni successivi che sarebbe stato per sempre. Poi Mark ha deciso che era il momento di Instagram, che preferiva le immagini. E nonostante la diffidenza iniziale, anche questo social si è diffuso, come un virus. Oggi quando si cerca una località su Instagram, prima di paesaggi e tramonti, l’algoritmo favorisce selfie e foto in spiaggia (in costume per lo meno). La vanità è imperante e tutti sono convinti di avere una propria popolarità. Come un’iniezione quotidiana di serotonina. Possiamo dire che il punto di partenza della tua ultima ricerca sia questo? Le incoerenze di una piattaforma che ha cambiato le nostre vite?
Siamo davvero convinti di essere così importanti da dover far conoscere a tutto mondo la nostra bella faccia? I modelli e le modelle che fotografo sono coperti, sono velati. Loro stessi non si riconoscono in foto, anzi spesso immaginano di essere loro, ma non lo sono. Sono nella direzione opposta che hai descritto. Nessuna popolarità o vanità ai soggetti fotografati. In realtà il punto di partenza sono io stesso. Per me la creazione è uno stato di necessità. Ricordo bene che quando mi iscrissi a Facebook vivevo in Africa e mi fu segnalato da ragazzi in visita dal Canada. Da allora i social media sono sempre più presenti.
Facebook è diventato l’oasi perfetta dove chiunque può costruire l’immagine migliore di sé, mostrandosi intelligente e brillante (vanità intellettuale) mentre Instagram è il regno dell’immagine in cui tutti sembrano belli e impossibili (vanità estetica). Spesso i ruoli si alternano, il limite non è così netto. Detto questo, l’arte, fuor di social, serve anche a smascherare un mondo virtuale che spesso è pura invenzione, mettendo in crisi i nuovi valori su cui si basa la società .
Con Disembody reagisco alla bruttura e alla decadenza delle immagini di oggi. Rispondo con un’estetica classica, con riserbo stilistico, forme ideali e filtrate, non esposte alla volgarità e all’improvvisazione stilistica.
Oggi le foto le possono fare veramente tutti, e anche molto belle. Il tema, secondo tanti fotografi old school (i signori del banco ottico), è che quelle che scattiamo spesso non lo sono. Perché?
Il fatto che oggi tutti possano fare fotografie (come scrivere, cantare…) non deriva secondo me soltanto dai progressi tecnologici e dalla maggior accessibilità alla strumentazione, ma anche e soprattutto dalla mentalità con cui siamo stati cresciuti in questi ultimi decenni: è lo strascico del sogno americano che permea ancora i nostri desideri. Il resto l’hanno fatto i social network solleticando ogni giorni il nostro fragile ego in cerca di riconoscimento. Sicuramente la ricerca di consenso produce mediocrità. E la maggior parte delle foto, specialmente sui social, sono fatte per ricercare il gradimento nel proprio pubblico. La qualità dell’immagine si è abbassata ed è radicalmente aumentata la quantità. Detto questo, ciò che conta è il messaggio che riusciamo a trasmettere. Con ciò non voglio certo demonizzare Internet. I miei scopi sono semplicemente diversi dalla comunicazione per via ‘virale’. Per fortuna la vita è anche altro; esistono ancora spazi di riflessione.
Le tue foto sono quadrate come le card di Instagram, e ritraggono nudi velati, sovrapposti o abbinati. Vuoi provare a cambiare il contenuto di quello che fruiamo quotidianamente, ma nella forma abituale del suo contenitore? Cosa è sensuale per te?
La fotografia è in sé un atto di seduzione. Queste immagini sono anche una provocazione e la provocazione è una delle armi più importanti nell’arte. Per provocare e sedurre non serve necessariamente essere espliciti. Nelle mie foto l’erotismo risulta velato e nascosto. Per tanti anni ho evitato sistematicamente il tema, finché non trovavo un modo per me interessante di affrontarlo. In un’epoca di mercificazione del corpo, vorrei restituire all’anatomia umana il suo erotismo originario.
Cosa vuol dire per te fare l’artista oggi, come ti relazioni col sistema esclusivo dell’arte contemporanea?
L’artista crea per necessità espressiva, indipendentemente da qualsiasi narrazione altrui. Sei un artista quando sei riconosciuto come tale, poiché la tua arte diviene stimolo, fonte di senso e significato, arricchimento per la vita degli altri esseri umani (pochi o tanti che siano). In particolare dal 2012 ad oggi sono stato come in pausa dal mondo per finire questo progetto. Dunque sono stato più spettatore che attore. Ora questa mostra è pronta per entrare essere vista. Chi si occupa di fare tutto il resto sono il gallerista – Giancarlo Pedrazzini – , la curatrice, – Chiara Canali – e l’ufficio stampa – Alessia Testori. Mi affido a loro.
Come te la cavi su Instagram? Chi segui? Chi ti piace?
Uso Instagram per veicolare una parte della tua produzione fotografica – è una vetrina importante e cerco di sfruttare le sue potenzialità. Il mio rimane un profilo noioso (@manuelscrima): pubblico immagini quasi solo di lavoro. Lo utilizzo come fossero le pagine gialle, per contattare persone con cui mi interessa parlare o lavorare. Seguo solo familiari, amici o contatti di lavoro, in alternativa alla normale rubrica telefonica. Quindi non vi posso consigliare nessuno in particolare, se non i libri che scrive mio fratello Stefano @stefanoscrima_ , i video che pubblica mia cognata Misa @misa_official_33 o le poesie della mia amica Paola @paolasilviadolci
DISEMBODY di Manuel Scrima
Piazzale A. Baiamonti 2 – Milano
FABBRICA EOS Gallery
Viale Pasubio (angolo via Bonnet) – Milano
Opening 24 settembre 2020
In esposizione dal 25 settembre al 22 ottobre 2020
Per chi fosse interessato a segnalare mostre o interviste al Motel Nicolella: nicolellamaschietti@gmail.com