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Ondosa, inquieta, avvolgente. La pennellata di Carlo Levi nella preziosa Pinacoteca di Alassio

Carrubo donna, 1972. Carlo Levi
Carrubo donna, 1972.
Carlo Levi
Una pennellata materica, ondosa, avvolgente: è il linguaggio pittorico di Carlo Levi, le cui opere sono esposte nel secentesco Palazzo Morteo, situato tra le luci dei negozi del Budello di Alassio. La piccola e preziosa pinacoteca accoglie ventidue tele, oltre a teche con lettere, appunti e ricordi personali dell’artista torinese, che scelse Alassio come residenza estiva tra il 1929 e il 1975. Qui trasse ispirazione per dipingere paesaggi, carrubi (alberi a lui molto cari) e un famoso ritratto di Italo Calvino, assiduo frequentatore della sua villa in collina. https://www.visitalassio.eu/pinacoteca-carlo-levi/

“E gli squarci del legno

Rossi di sangue vegetale

Simulano altre forme

Costellate di occhi”.

(23.8.1967).

Gli squarci del legno più amato da Carlo Levi: il carrubo. Un albero che Carlo Levi osserva, studia, dipinge, un albero dioico, cioè, o maschio o femmina, che può portare o solo fiori maschili o solo femminili e raramente la stessa pianta presenta fiori di ambedue i sessi.

E i carrubi con cui Levi entra in sintonia, nella campagna ligure, sono carrubi donne, di cui non può sfuggire lo sguardo e  in cui vede, necessariamente, la propria amata, Linuccia Saba, e  in lei anche se stesso.

“Se vedessi ancora il carrubo come un carrubo e l’olivo come un olivo e te come una donna sarei giovane d’anni, forse vivo. Ma in te vedo soltanto te e  ancora te nel carrubo e nell’olivo, un te che è un io e un altro. Un vivo, un vecchio?” (Agenda, 23.9.1971).

Questi alberi-simbolo, che popolano i sentieri attorno alla Villa Levi sulla collina di Alassio che guarda verso l’azzurro del mar Ligure, sono i protagonisti della Pinacoteca Carlo Levi, progettata da Piero Fontani e Sandra Gatti ed inaugurata nel 2003, ospitata nel seicentesco Palazzo Morteo, nel budello della città alassina, eletta dalla famiglia Levi come residenza estiva dal 1929 al 1975 e luogo di incontro di innumerevoli intellettuali, tra cui Italo Calvino, ritratto in una tela esposta nel percorso espositivo della pinacoteca.

L’edificio che ospita la Pinacoteca fu ereditato nel 1887 dalla Società Agricola di mutuo soccorso di Solva per volere testamentario del conte Luigi Morteo, il quale vincolò il lascito ad esclusivo uso per attività culturali.

Autoritratto con la pipa, 1940.
Autoritratto con la pipa, 1940.

Ventidue i quadri esposti, concessi in comodato d’uso gratuito dalla Fondazione Carlo Levi di Roma, istituita, per volontà testamentaria dell’artista, il 26 giugno 1975 e fondata dalla sua compagna di vita, Linuccia Saba (morta nel 1980), con lo scopo di tutelare, valorizzare e promuovere il patrimonio pittorico e letterario di Carlo Levi.

Tutte queste tele, ad eccezione dell’Autoritratto con pipa, furono realizzate da Levi nell’abitazione alassina, acquistata dal padre Ercole, lasciandosi ispirare dal mare azzurrino e dai viali alberati circostanti la sua abitazione.

Un luogo “trasformato dalla vitalità di Carlo, che diventava bello, sempre più bello, più intenso e stimolante” (Linuccia Saba, Testimonianza, in Carlo Levi, Quaderno a cancelli, cit., pp. IX-XI, in particolare p. XI).

Ma non solo la pittura accompagna il visitatore nelle sale della pinacoteca, ma in apposite bacheche è esposto il Fondo storico di Carlo Levi, che, permette di conoscere lo scrittore, il poeta, ma anche il politico, eletto per due legislature Senatore della Repubblica come indipendente del partito comunista.

Agende, lettere, libri autografati (commoventi sono le dediche a Linuccia Saba, definita amorevolmente “autrice di questo e di tutti i miei libri”), appunti e bozzetti dello scrittore, pittore, politico, antifascista italiano, arrestato nel 1934 per sospetta attività antifascista e condannato al confino nei paesini lucani di Grassano e di Aliano, nel cui cimitero,

Carlo Levi, morto a Roma il 4 gennaio 1975, chiese di essere sepolto.

Da questa esperienza, condivisa da molti suoi cari, nascerà Cristo si è fermato ad Eboli, la scoperta di una diversa civiltà, quella dei contadini del Mezzogiorno.

Contadino ligure, 1953 circa.
Contadino ligure, 1953 circa.

Per Levi, che alla fine del 1928, con il sostegno di Edoardo Persico e Lionello Venturi, prende parte al movimento pittorico cosiddetto dei sei pittori di Torino, insieme a Gigi Chessa, Nicola Galante, Francesco Menzio, Enrico Paulucci e Jessie Boswell, in piena antitesi con il conformismo fascista: la pittura è espressione di libertà e il suo linguaggio pittorico è materico, denso, un continuo serpeggiare cromatico.

Con pennellate oliose, in Francia nel 1940, Levi ritrae se stesso in un bellissimo autoritratto esposto a fine del percorso espositivo: ha una pipa in bocca e gli occhi, scuri, ci guardano e ci interrogano: ci domandano il perché della nostra presenza e ci invitano a conoscere la sua di presenza, la sua persona, la sua arte.

Interrogativi sono anche gli occhi di “Contadino in Liguria”: ritratto di un stanco anziano contadino ligure, ritratto probabilmente da Levi dopo una giornata di duro lavoro nelle terre.

Usciti dalle sale della pinacoteca, un’ampia finestra guarda verso la collina della città ligure: lì si può scorgere l’abitazione del pittore, lì dove all’uomo anche il freddo e la pioggia sono dolci.

“Qui anche il freddo e la pioggia mi sono dolci, dipingo, mi alzo prestissimo e vado a letto alle 11 col rumore della pioggia (…) Ho trovato nelle fasce un riccio, l’ho portato a casa e messo in una stanza chiusa. Stamane non c’era più, l’ho ritrovato poi nascosto nel pianoforte. Ieri sera sono andato con la lucciola e i miei pensieri sul sentiero degli ulivi ed è venuto improvviso un temporale. Sono rientrato in casa tutto inzuppato, bagnato fin nella pelle, nella casa vuota, tra i rumori misteriosi della notte e del vento ho sentito una strana felicità. La casa mi sembrava benedetta, ho mangiato il minestrone che era rimasto in cucina e ho sentito che non avrei voluto partire mai più e ho ringraziato, in cuor mio, le difficoltà materiali che questo luogo oppone ogni anno alla mia partenza con i treni difficili, i quadri ancora bagnati da imballare, le valigie preparate per giorni.”

Alassio, settembre 1969

Carlo Levi

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