Non fu un vero e proprio archeologo a scoprire la città di Troia, bensì un facoltoso commerciante prussiano che dedicò la sua vita e le sue risorse a provare la storicità delle opere di Omero, l’Iliade e l’Odissea. Questo fu Heinrich Schliemann.
Schliemann fu un uomo appassionato di grecità a tal punto da sposare in seconde nozze una donna greca, Sophia Engastromenos, e chiamare i suoi due figli Agamennone e Andromaca: l’uno capo dell’esercito acheo a Troia, l’altra moglie, poi vedova, del prode Ettore.
Dopo alcune delusioni, inconcludenti scavi ad Itaca alla ricerca del Palazzo di Ulisse e un’ostica trattativa col governo turco (Schliemann rifiutava di comprare i terreni ove intendeva scavare), nel 1873 annunciò al mondo una sensazionale scoperta: le rovine di Troia sulla collina di Hissarlik, in Turchia. La città non era più leggenda, esisteva realmente e non bisognava più discutere sulla sua posizione. Fu un azzardo, una scommessa col destino, ciò che cercava poteva comprensibilmente non esistere. Schliemann scoprì un sontuoso tesoro che non tardò entusiasticamente ad attribuire al re troiano Priamo e alla sua famiglia; peccato risalisse a mille anni prima della guerra di Troia, a Troia II (2500 – 2300 a.C.), non all’attuale plausibile candidata Troia VI (1700 – 1250 a.C.). Proprio così, la città non fu una sola: venne più volte distrutta e ricostruita, come una fenice risorge dalle ceneri; l’ultima fu un dominio romano.
Se Troia esistette, vi fu anche la celebre guerra di Troia? Una guerra di Troia in cui una coalizione di Achei, o Micenei, affrontò i Troiani e i loro alleati si verificò, sicuramente non per vendicare il rapimento della bella Elena da parte del principe Paride, ma per ottenere una posizione strategica per il controllo dello Stretto dell’Ellesponto, oggi dei Dardanelli. Dal lavoro degli archeologi sappiamo che Troia VI subì un assedio alla fine del II millennio a.C.: vennero ritrovati, interrati, grandi vasi usati per l’accumulo di generi alimentari, senz’altro posti dalle persone rifugiatasi all’interno delle mura della città per affrontare l’assedio; a prova della guerra e successiva caduta della città vi sono cadaveri non seppelliti, nonché segni di incendi e distruzioni.
E i personaggi mitici? Qualche anno dopo Schliemann si spostò a Micene ove riportò alla luce le tombe a fosse del cosiddetto Circolo A: aveva trovato la tomba di Agamennone e la famosissima omonima maschera funebre in lamina d’oro, o almeno così credeva, anche questa volta le sepolture e gli oggetti rinvenuti dovevano essere retrodatati.
Nel corso della sua impresa Schliemann riscontrò opposizioni e difficoltà, più volte dimostrò di non essere obiettivo e di voler solo dimostrare la propria tesi: vennero disprezzati i suoi metodi di lavoro anticonvenzionali e venne accusato di aver manipolato e danneggiato i reperti; ad esempio l’autenticità della sopracitata maschera funebre venne messa in dubbio: eccessivamente raffinata e stilisticamente curata rispetto alle altre. Nonostante tutto il mondo dell’archeologia deve molto alla passione ostinata di Schliemann cui fornì molte significative scoperte, chissà quanti anni avremmo dovuto aspettare senza di lui.
Bibliografia
- Bianchi Bandinelli, Introduzione all’archeologia classica come storia dell’arte antica, Roma-Bari, Gius. Laterza & Figli, 2011²⁵.
- Cantarella, Meravigliosamente. Mito, epica, altri linguaggi, Milano, Mondadori Education S.p.A., 2011.
- Carlier, Omero e la storia, Roma, Carocci editore s.p.a., 2014.
Referenze fotografiche
- Maschera di Agamennone → Di DieBuche, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=95150