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Voci dal Barco Ducale di Urbania. Sperimentazione e conduzione della materia, la ricerca di Luisa Badino

Pierced tablecloth .2, velluto cingiliato, 100 x 70 cm, 2019
Pierced tablecloth .2, velluto cingiliato, 100 x 70 cm, 2019

Dubbi, incertezze, paure. Ma soprattutto network, confronti, legàmi. A seguito del lockdown da Covid 19, l’esigenza di molti artisti emergenti e operatori nel settore artistico era quella di ripartire. Elisa Mossa e il gruppo OTTN hanno creato BAR.co, un progetto di arte contemporanea presso il complesso storico di Urbania (PU). Abbiamo intervistato i 12 artisti protagonisti della residenza artistica, durata circa due settimane.

Luisa Badino (Pisa, 1990)

Parlami di te e della tua formazione

Ho iniziato l’Accademia di Belle Arti di Venezia nel 2010 e lì ho conseguito sia il triennio che il biennio di specializzazione in pittura nell’atelier F con il prof. Carlo di Raco. All’Accademia di Venezia, nel corso che ho frequentato, gli studenti del primo anno e quelli dell’ultimo dipingevano insieme, confrontandosi continuamente. Così mi sono innamorata di questo metodo di insegnamento.

Luisa Badino

In pittura, come in tutte le altre discipline artistiche, la sperimentazione è necessaria per imparare il proprio modo di raccontare e per sviluppare una consapevolezza sempre maggiore nella ricerca. Ecco perché in Accademia stavamo sempre a lavorare. Nel 2016 mi sono laureata e l’anno seguente ho aperto, assieme ad altri 5 artisti, l’associazione culturale zolforosso. Avevamo l’esigenza di riunirci e di continuare a lavorare, spinti dalla necessità di riappropriarci della Venezia fantasma che ci ha formati e con l’intento di portare a galla la realtà artistica emergente, nascosta dalle grandi Istituzioni.

La tua storia, il tuo processo creativo.

Ho iniziato come pittrice e disegnatrice. Prediligevo il collage di vari materiali, perché immediato. Successivamente mi sono interessata anche all’utilizzo di altri materiali, in particolare, alla stoffa, al lattice, o più in generale, alle superfici. Ciò che mi interessa è l’azione che si legge sulle superfici, che ne modifica la struttura, l’immagine e la natura.

Menaidi immobili, svelano il pescato delle maglie di miti, 169 x 150 cm, acrilico e olio su tela, fronte, 2020

Hai prodotto qualcosa in residenza?

Si, ho preso accordi con un negozio locale molto fornito di stoffe e ho scelto questo tessuto in velluto che sto grattando. Vado a levare, ad asportare il retro della superficie e ciò che resta è un disegno che va a deturpare e allo stesso tempo riscrivere la decorazione già esistente. Lavoro per sottrazione, a differenza di quanto faccio solitamente con la pittura. È la materia che ti guida. Diciamo che sono alla ricerca di quella scoperta che si rivela nell’utilizzo non convenzionale di un materiale. Sotto, sul retro, all’interno, sono racchiusi i racconti di quella stoffa che ora ho fra le mani. La storia di questa tappezzeria rimanda al lusso, ma porta con se anche la storia del luogo ed un’infinità di narrazioni che solo a lavoro concluso si faranno più chiare e dettagliate.

Cosa ti ha lasciato questa residenza?

Il prezioso dialogo con altri artisti. Lavorare in un luogo che ti circonda di storia e di quiete come il Barco, rappresenta una grande opportunità di riflessione e confronto.

Rovesci inalterati, 170 x 132 cm, velluto di broccato cinigliato, 2020

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