Eccoci qui ancora a parlare di arte e digitale. Lo facciamo perché i tempi sono finalmente maturi, perché c’è una squadra di ragazze là fuori che si sta mettendo in gioco per provare a fare un ponte di comunicazione tra arte e digitale. Ho scelto di non mettermi oggi a fare la lista con nomi e cognomi per evitare di dover poi affrontare ogni singolo caso (ma mi farà piacere fare un pezzo in futuro sempre qui al Motel dove vi segnalo quelle più interessanti da seguire). Credo che emergano al momento alcune caratteristiche comuni tutta la categoria che ci permettano di evidenziare le prime macro peculiarità della questione.
È necessario fare ordine. Cercare di capire se e dove si sta sbagliando, e cosa si può migliorare.
Ho visto ieri diverse storie di Instagram delle più accreditate tra loro, quelle con più seguito dunque (e anche questa cosa per cui chi ha più followers sia più rilevante andrebbe discussa…) che esultavano per la recente apparizione di Chiara Ferragni su Vogue HK. Il suo shooting di qualche mese fa agli Uffizi di Firenze, che già aveva creato tanto scalpore e temi di discussione, oggi ha fatto il pieno di visualizzazioni anche attraverso il magazine. Quindi hanno vinto tutti: Chiara Ferragni, gli Uffizi, la rivista.
Parliamo però di un’influencer extra settore con oltre 20 milioni di followers, dunque di un esempio che c’entra con le nostre ragazze fino a un certo punto. Avesse fatto la stessa cosa una modella americana o una sportiva di grido l’effetto sarebbe stato probabilmente analogo. Perché parliamo di una ragazza celebre che, di fatto, posa accanto a dei quadri.
Li valorizza? Questa è la domanda fondamentale.
In una chat privata con una di queste ragazze mi è stato subito appuntato che loro devono essere chiamate per fare awareness, non conversione (per conversione si intende quanti followers si fanno guadagnare al profilo che si sta segnalando con un post dedicato a una mostra, un artista, un museo).
Ebbene, allora già siamo al primo inghippo. L’awareness, ovvero, la rilevanza del proprio brand (un museo in questo caso, uno dei musei più importanti al mondo), può aumentare quando chi lo sta segnalando è un profilo credibile. Nel caso dell’arte, credibile in questo preciso settore. Quanto queste ragazze (perché di ragazzi al momento ne ho trovati pochi) hanno reale potere di fare da driver autorevole? Quante di queste persone possono sortire un effetto analogo a quello che potrebbe avere un curatore importante, un addetto ai lavori? Personalmente sono cresciuto con la frase di Nanni Moretti “io non parlo di cose che non conosco” stampata nella mente. Le mie competenze in questo settore le ho sviluppate in anni e anni di frequentazione sul campo. Lavorando prima nelle gallerie come assistente, poi aiutando qualche casa d’asta, e sostanzialmente facendo il giornalista per tante riviste specializzate, in oltre 15 anni di viaggi, mostre, biennali… E ancora sento di non sapere nulla. Sono certo di avere lacune pazzesche in tantissimi segmenti. È per questo che esistono gli specialisti. È per questo che se devi vendere una veduta del ‘700 ti devi riferire a uno studioso specializzato, perché un altro magari bravissimo sul Barocco non ne avrà le competenze.
Mi chiedo dunque quale sia la plausibile credibilità delle suddette. Hanno studiato storia dell’arte? ok, questa è la base fondamentale ma non ci consente di giocare su tutti i palloni. Che cosa c’è oltre agli scatti davanti alle opere? Le didascalie frettolose in cui si comunica pane e salame l’oggetto dello scatto?
C’è una banalizzazione assoluta della parola “contenuto”. Pare quasi uno scudo valido per ogni critica. Abbiamo realizzato “un contenuto”. Bene, ma cosa c’è dentro?
L’arte, e quella contemporanea soprattutto, sono terreni che devono decantare, dove il senso delle cose quasi mai è immediato, dove lo spazio che va dedicato alla riflessione non può e non deve essere contenuto in un post di Instagram.
Ma soprattutto, sono fermamente convinto che non si sia ancora trovata la modalità comunicativa più efficace. Mancano delle idee. Delle idee valide per poter allargare il pubblico dell’arte e digitalizzarlo senza banalizzarlo.
Mai visto un post critico da parte di un’influencer d’arte. Anche questo lo registriamo praticamente su tutti i profili presi in esame.
È sempre “tutto bellissimo”, tutto “una grandissima emozione”. Non vedo analisi, solo vetrine.
Se non c’è conversione di pubblico, ma solo “awareness”, verrebbe da dire inoltre che il pubblico di queste influencer sta seguendo i loro profili perché si è affezionato, perché ne è incuriosito, ma non necessariamente per i contenuti che vengono proposti.
I tanti like andranno a colmare l’ego di chi posta, ma in questa maniera non aiuteranno le mostre, gli artisti o le notizie che si stanno segnalando.
Chiaramente sto tagliando il problema con l’accetta, esistono delle splendide eccezioni e sono certo che questo sarà il futuro. I giornali hanno sempre meno spazio e il pubblico lo si trova quasi esclusivamente online. Cerchiamo allora di fare le cose per bene. Cerchiamo di studiare e comunicare. Cerchiamo di specializzarci. Cerchiamo di non essere permalosi ma onesti, e utili a chi ci sta seguendo. Comunicare meno, comunicare meglio.
Non confondiamo il Rinascimento con la carbonara.
Seguitemi per altre ricette.
E se avete da dire la vostra: nicolellamaschietti@gmail.com